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Diabete. Dieta, pillole e insulina

Il diabete è una malattia cronica, che affligge sempre un maggior numero di persone.

Il diabete è una malattia, per la quale non è prevedibile una guarigione.

Si può solo cercare di mitigare gli effetti della malattia e di ritardare le complicanze tardive, che sono molto pericolose.

La malattia è caratterizzata dalla presenza di una quantità di glucosio nel sangue maggiore di quella, che si riscontra nelle persone sane.

Nelle fasi iniziali la terapia prevista, prevede la dieta, che comporta una riduzione dei carboidrati (zuccheri) ingeriti con i pasti.

In seguito la malattia presenta un certo aggravamento e i medici prescrivono pillole ipoglicemizzanti, che riducono la glicemia, cioè la quantità di glucosio presente nel sangue.

Quando le pillole non riescono a controllare efficacemente la glicemia, i medici prescrivono le iniezioni d’insulina da fare prima dei pasti.

Il diabete, con il passare del tempo, è caratterizzato dalle complicanze tardive con guai molto seri a carico del cuore, delle arterie, della vista, etc.

La terapia in atto per il diabete è rivolta a ritardare il più possibile le complicanze tardive.

L’evoluzione storica del diabete e tutta qui.

Il paziente diabetico è destinato a passare tutta una serie di guai, che lo porteranno a peggiorare il proprio stato di salute.

Ci si pone la domanda: “È possibile migliorare la terapia del diabete?”

Per rispondere a questa domanda occorre approfondire il trattamento terapeutico riservato al paziente diabetico e vedere se ci sono possibilità di miglioramento della terapia.

La cura del diabete oggi si basa sulla “compensazione glicemica”.

La compensazione glicemica, cioè la compensazione del glucosio che è presente nel sangue, consiste nel controllo abbastanza continuo della glicemia e nel tentativo di mantenerla sotto controllo, per es. tra 70 e 110 mg/dl.

Una quarantina di anni fa un mio amico, al quale era stato diagnosticato il diabete, chiese consiglio a un suo parente, che faceva il medico a Milano.

Il medico gli diede un libro dalla copertina rossa, edito a Bologna, scritto da un autore statunitense, dal titolo “Il diabete mellito” e gli disse: “Comincia a leggere, perché solo la cultura ti può aiutare a capire la tua malattia”.

In questo libro si trattava della dieta.

La particolarità era che si assumeva una certa quantità di pane (circa 50 grammi) come “unità pane”.

L’unità pane aveva un peso (50 grammi) e un contenuto di KiloCalorie (Kcal), 100 Kcal.

Moltissimi cibi erano elencati in base al loro peso corrispondente all’unità pane, assunta come unità di misura.

Per indirizzare il paziente diabetico a controllare la quantità di cibo da ingerire con i pasti, si stabiliva una certa quantità di Kcal da assumere ai pasti in base all’energia spendibile durante la giornata e in particolare in base al lavoro, che il paziente era chiamato a fare.

In base al consumo di Kcal giornaliero si stabiliva il numero delle unità pane da assumere con i pasti.

Durante la giornata una persona, che fa vita sedentaria o un lavoro molto leggero, consuma circa 1800 Kcal, che è la quantità di Kcal che la persona deve assumere con i pasti giornalieri.

Le energie che si consumano durante la giornata devono corrispondere alle energie che si assumono con i pasti.

In tal caso si ha la “compensazione energetica”.

Per ciascun pasto il paziente diabetico deve ingerire il numero di unità pane corrispondenti alle Kcal previste per quel pasto.

Una persona che fa un lavoro non molto faticoso può consumare circa 2400 Kcal durante la giornata.

Una persona che fa un lavoro molto faticoso, con grande dispendio di energie, consuma circa 2800 Kcal al giorno.

Essendo l’unità pane uguale a 100 Kcal, il calcolo delle unità pane è facile, perché basta dividere per 100 il numero delle Kcal giornaliere necessarie per la compensazione energetica.

A 1800 Kcal corrispondono 18 unità pane, a 2400 Kcal corrispondono 24 unità pane e a 2800 Kcal corrispondono 28 unità pane.

La mattina il paziente, che fa colazione con 250 grammi di latte e due biscotti per il latte, consuma 3 unità pane.

Se il paziente aggiunge un caffè zuccherato con una bustina di zucchero, le unità pane salgono a 4.

In genere la mattina occorre consumare il 15% delle unità pane giornaliere, a pranzo circa di 45% delle unità pane e a cena il restante 40% delle unità pane.

Il sistema, che si basa sulle unità pane, consente di controllare in modo agevole le Kcal, che s’immettono nell’organismo con i pasti.

Con le “unità pane”’l’autore ha introdotto un sistema per rendere facile il controllo energetico dei pasti corrispondente all’attività, all’energia spendibile durante il giorno.

Se il paziente supera le unità pane previste per la giornata, assume più energia di quella che consuma, e il sovrappiù finisce per accumularsi sotto forma di grasso.

Se il paziente mangia di meno, si mantiene energeticamente più basso di quello che consuma e dimagrisce.

Occorre sforzarsi di conseguire la compensazione energetica con una certa costanza resa più facile dall’abitudine.

Oggi la compensazione energetica, tuttora validissima, è stata sostituita con la “compensazione glicemica”.

I motivi di questa sostituzione non sono molto chiari.

La compensazione glicemica non garantisce la corrispondenza tra energia spendibile con il lavoro ed energia disponibile acquisita con i pasti.

Un paziente, chiaramente obeso, uscì dall’ambulatorio, dove aveva sostenuto una visita con il diabetologo, tutto euforico, gridando: “Me li posso mangiare.” “Me li posso mangiare 150 grammi di pasta “. “Il dottore mi ha detto che me li posso mangiare.”

Chiaramente il paziente doveva aumentare la quantità d’insulina da iniettare, con il risultato di aumentare ancora la sua obesità.

Avendo aumentato il dosaggio dell’insulina, la glicemia è stata compensata, ma l’eccesso di cibo non necessario è andato a rimpinguare l’adipe già di per sé abbondante.

La compensazione glicemica può avere significato soltanto se è associata al controllo dell’Indice di Massa Corporea, che è il rapporto tra il peso corporeo in Kg e il quadrato dell’altezza misurata in metri.

L’Indice di Massa Corporea non deve superare il valore di 25, perché in tal caso si è in sovrappeso.

L’energia assunta con i pasti deve essere uguale o molto vicina all’energia spendibile, consumabile durante la giornata con il lavoro, le attività hobbistiche, e tutte le attività, che comporta il vivere.

La compensazione glicemica è meno affidabile, meno controllabile della compensazione energetica e comporta rischi maggiori per la salute del paziente diabetico.

Poiché l’altezza del paziente si può ritenere constante dai 20 ai 70 anni, l’Indice di Massa Corporea può essere controllato attraverso il peso corporeo.

Per es., un paziente che è alto 1.75 metri, per avere un Indice di Massa Corporea di 25 deve avere un peso uguale a 25*altezza2 = 25 * altezza * altezza = 76.56 kg.

Controllando che il peso corporeo per un paziente alto 1.75 metri non superi i 77 kg, si controlla automaticamente che l’Indice di Massa Corporea non superi 25 e non si vada in sovrappeso.

Quando si ricorre alla compensazione glicemica, è fondamentale controllare il peso del paziente.

La compensazione energetica è più facile e sicura rispetto alla compensazione glicemica.

La glicemia varia durante la giornata e il paziente non è in grado di capire facilmente come sta andando la sua malattia.

Ogni tre mesi il paziente può fare l’esame dell’emoglobina glicata e il medico può controllare grosso modo com’è andato nel periodo di tre mesi appena trascorso.

Permangono forti dubbi che la compensazione glicemica sia idonea a controllare al meglio la malattia diabetica.

Allo stesso modo è criticabile tutta la gestione terapeutica del paziente diabetico.

Occorre fare chiarezza su quello che accade al paziente diabetico nel corso della terapia consigliata dal medico.

Il medico ha a disposizione tre strumenti terapeutici: la dieta, le pillole ipoglicemizzanti e l’insulina.

All’inizio il medico prescrive la dieta.

Si nota una forte limitazione dei carboidrati (zuccheri), pane e pasta in particolare, con l’esclusione dei dolciumi.

In tal modo si limitano le Kcal e gli zuccheri ingeriti con i pasti.

La dieta, che limita l’apporto dei carboidrati, ha un grave difetto.

Ci si chiede se la dieta è in grado di apportare tutte quelle calorie che sono necessarie per bilanciare quelle consumate durante la giornata.

I medici prescrivono la dieta e non si chiedono se la dieta possa fornire quelle calorie che è necessario spendere durante la giornata.

Il diabetico, che è sottoalimentato in questo caso, dimagrisce e va incontro a peggioramenti nella patologia.

Sappiamo che i cibi che immettiamo nel nostro organismo con i pasti, sono elaborati, trasformati e resi idonei a essere assimilati dalle cellule, che formano tutto l’organismo umano.

Le cellule dell’organismo si nutrono assumendo una sola sostanza, il glucosio.

I carboidrati (pane, pasta, dolci), i protidi (carne, pesce) e i lipidi (olio, lardo, grasso animale, burro) sono tutti trasformati in glucosio.

Le cellule sono rivestite da membrane e il glucosio deve attraversare queste membrane per passare all’interno delle cellule.

Per attraversare le membrane cellulari occorre la presenza di un ormone, che si chiama insulina.

L’ormone insulina è prodotto dal pancreas sotto lo stimolo della glicemia presente nel sangue ed è immesso nel sangue in modo che possa raggiungere tutte le cellule, consentendo al glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule.

La glicemia s’innalza per le sostanze ingerite con i pasti, il pancreas secerne l’ormone insulina e, in presenza d’insulina, il glucosio oltrepassa le membrane cellulari e nutre le cellule dell’organismo.

Ragioniamo su questo fenomeno, che è fondamentale, perché se non si nutrono le cellule, l’organismo muore.

Supponiamo che a seguito del pasto ci sia stato un innalzamento della glicemia, per cui occorre la presenza di una certa quantità d’insulina nel sangue.

Supponiamo che occorra una quantità d’insulina di 50 unità, per fare oltrepassare le membrane cellulari a tutto il glucosio presente nel sangue.

Le persone sane, sotto lo stimolo della glicemia, sono in grado di avere la quantità d’insulina necessaria, secreta dal pancreas.

Le persone diabetiche sono tali perché la quantità d’insulina secreta dal loro pancreas non è sufficiente per consentire a tutto il glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule.

Supponiamo che il paziente diabetico possa avere 46 unità d’insulina a fronte delle 50 unità necessarie.

Ciò significa che non tutto il glucosio presente nel sangue passerà le membrane cellulari e che una certa parte di glucosio rimarrà nel sangue.

Per questo motivo la glicemia aumenta.

Se la glicemia dovesse superare i 180 mg/dl circa le reni, mediante la glicosuria verseranno nelle urine la quantità di glucosio in eccesso.

La glicemia rimarrà almeno di 180 mg/dl.

Il medico capirà che occorre fare una certa dieta e darà le necessarie indicazioni sulla composizione della dieta.

Le 50 unità d’insulina che erano necessarie senza la dieta, si ridurranno, supponiamo, a 45 unità.

Il paziente che ha le 45 unità, trova profitto dalla dieta e controlla bene la glicemia, per cui tutto il glucosio può attraversare le membrane cellulari e non ci sono problemi.

Le cose si complicano se il paziente invece di avere le 46 unità d’insulina, ha  40 unità d’insulina.

La dieta riduce le calorie immesse nell’organismo, ma non può ridurle più di tanto, perché occorre comunque assicurare l’energia necessaria per vivere.

Se durante la giornata il paziente ha bisogno di 45 unità d’insulina, come minimo, è chiaro che la sola dieta non basta.

Se il paziente ha 40 unità d’insulina, è chiaro che tutte le Kcal immesse nell’organismo con i pasti non possono passare nelle cellule, ma solo una loro parte.

La parte di Kcal che può nutrire le cellule dell’organismo è inferiore a quella disponibile nel sangue.

Non tutto il glucosio disponibile nel sangue può oltrepassare le membrane cellulari e rimane nel sangue.

È come se il paziente che mangia 50 grammi di pasta ne può utilizzare solo 30 grammi perché non ha l’insulina necessaria per utilizzare tutti i 50 grammi di pasta, ma solo 30 grammi.

È come se il paziente mangiasse soltanto 30 grammi di pasta, invece dei 50 grammi, che, in effetti, ha mangiato.

In questo caso il paziente non assume con i pasti tutte le Kcal di cui ha bisogno e non può fare altro che dimagrire.

Il dimagrimento, che è tipico del diabetico, sta a indicare che il paziente non ha la quantità minima d’insulina necessaria per nutrire le cellule, per cui il paziente non assimila tutto il cibo necessario, non utilizza tutta la quantità necessaria di cibo, trasformato in glucosio, e dimagrisce. perché è sottoalimentato.

Il dimagrimento indica che il paziente non ha la quantità minima d’insulina necessaria per nutrire l’organismo.

In questo caso il medico prescrive in aggiunta alla dieta anche le pillole ipoglicemizzanti.

Le pillole ipoglicemizzanti spingono il pancreas a secernere più insulina.

Se il pancreas stimolato dalle pillole può fornire le 45 unità d’insulina necessarie, si può raggiungere la compensazione della glicemia e il paziente è “compensato”.

Può darsi il caso che il pancreas del paziente, sia pur stimolato dalle pillole ipoglicemizzanti, non riesca a produrre la quantità necessaria d’insulina.

Se il fabbisogno è di 45 unità d’insulina e il pancreas stimolato può produrre al massimo 40 unità d’insulina, nonostante le pillole, le cose non vanno bene.

Non c’è la quantità minima d’insulina necessaria per consentire al glucosio presente nel sangue di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule, per cui una parte del glucosio rimane nel sangue e, se la glicemia supera 180 mg/dl, la parte eccedente è espulsa con le urine (glicosuria).

Se il paziente assume con i pasti il cibo necessario a compensare le energie spese durante la giornata, ma non ha tutta l’insulina necessaria per elaborare il glucosio e nutrire le cellule, è chiaro che il paziente, nonostante le pillole, non assimila tutto quello che ha mangiato e non è compensato, per cui egli dimagrisce.

Il dimagrimento diventa notevole perché il paziente non riesce a mettere a frutto quello che ha mangiato e non raggiunge le quantità minime di energia necessarie per bilanciare le energie spendibili per vivere.

A questo punto è il medico che deve cambiare immediatamente la terapia e passare alle iniezioni d’insulina.

L’insulina da iniettare è solo quella che manca al paziente per raggiungere l’equilibrio energetico e quindi anche quello glicemico.

Se il pancreas può fornire 40 unità d’insulina e ne servono 45 è chiaro che, per raggiungere l’equilibrio, occorre iniettare 5 unità d’insulina.

Il paziente è in genere restio a iniettare insulina, perché vede le iniezioni d’insulina come una schiavitù, e, se il medico tarda a convincerlo, il paziente va incontro a guai molto seri.

La mancanza di compensazione non solo è causa del dimagrimento ma produce anche tutta una serie di complicanze, molto gravi, cui va incontro il paziente.

Ci possono essere danni agli occhi, con danneggiamento della retina e necessità d’intervento con il laser.

Ci possono essere danni al cuore con possibilità d’ischemia, cioè di scarsa irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco, con conseguenze disastrose come l’infarto.

Ci possono essere danni ai nervi, la cosiddetta neuropatia diabetica.

Ci possono essere incrostazioni nelle arterie con conseguente aterosclerosi.

Ci può essere tutta una serie di complicanze dovute alla scarsa compensazione sia energetica sia glicemica.

Quando necessarie occorre passare al più presto alle iniezioni d’insulina per immettere nell’organismo la quantità d’insulina necessaria, che è mancante perché non prodotta dal pancreas.

Com’è stato suesposto è evidente che non è la volontà del medico o quella del paziente che sceglie la terapia tra dieta, pillole e insulina.

Sono le condizioni oggettive dello stato del pancreas del paziente, che impongono la dieta, se la mancanza d’insulina è minima.

Si rendono necessarie le pillole ipoglicemizzanti se il pancreas stimolato dalle pillole può fornire tutta l’insulina necessaria.

Se il pancreas, per quanto stimolato dalle pillole, non può fornire tutta l’insulina necessaria, occorre passare subito a iniettare quella quantità d’insulina, che manca per completare il fabbisogno d’insulina.

Si tratta di poche unità d’insulina, che aggiunte a quelle prodotte dal pancreas rendono possibile il nutrimento delle cellule e quindi escludere tutte quelle sofferenze legate all’insufficiente nutrimento delle cellule.

Questo è quello che è necessario fare per la terapia del paziente diabetico.

I guai sorgono da altre considerazioni.

Il paziente diabetico deve tenere un livello glicemico leggermente superiore a quello delle persone sane.

Questo perché se il livello glicemico si abbassa c’è una certa difficoltà a ossigenare il sangue e quindi a fornire ossigeno alle cellule.

In regime di scarsezza di ossigeno, nell’elaborazione del glucosio, in quella che si chiama la glicolisi, il glucosio è soggetto a tutta una serie di reazioni chimiche, o meglio biochimiche, e al termine si forma il piruvato.

Dal piruvato le persone sane formano normalmente una sostanza, che si chiama Acetil-Coenzina A (AcetilCoA), mentre il diabetico oltre all’AcetilCoA forma una certa parte di lattato, che è un ione dell’acido lattico, cioè è l’acido lattico che ha perduto un ione H+ (un protone).

Il lattato dovrebbe andare al fegato, dove mediante la gluconeogenesi è riconvertito in glucosio e rimesso nel sangue.

Le cose non vanno così semplicemente, perché con la glicemia alta si ha la glicolisi, e si fabbrica altro lattato, mentre la gluconeogenesi non può avere luogo, perché la gluconeogenesi è incompatibile con la glicolisi e ha luogo quando la glicemia è bassa o molto bassa e questo è raro che possa avvenire nel paziente diabetico, se non in caso d’ipoglicemia dovuta a insufficiente alimentazione in presenza d’insulina o di pillole ipoglicemizzanti.

C’è da dire che le pillole ipoglicemizzanti hanno anche effetti secondari non trascurabili.

Per es., uno dei farmaci più usati sotto forma di pillole ipoglicmissanti è capace se non di inibire, di limitare la gluconeogenesi.

Questo effetto secondario è molto grave, perché consente al lattato di rimanere nel sangue.

Il lattato è tossico e se incontra il sodio, è capace di formare il lattato di sodio, che può essere eliminato con le urine e in parte con il sudore.

Il lattato di sodio è usato come conservante nel commercio della carne e del pesce.

Le urine hanno quell’odore caratteristico, che si avverte quando si mangia la carne o il pesce.

C’è da osservare che il lattato sottrae sodio all’equilibrio sodio-potassio e la cosa è aggravata dalle pillole per il controllo della pressione, le pillole antiipertensive, che possono aumentare il potassio nel sangue, per cui è alterato l’equilibrio sodio-potassio.

La conseguenza è che i muscoli possono risentire del difetto di sodio e dare luogo a effetti crampiformi.

Occorre che i medici controllino gli effetti indesiderati delle pillole antiipertensive, per il controllo della pressione, avvertendo i pazienti degli spiacevoli effetti secondari, cui possono andare incontro.

Un altro farmaco antiipertensivo rilascia ioni di calcio, che andando in giro in modo incontrollato nel sangue possono dare origine a effetti indesiderati.

Altri farmaci hanno effetti beta bloccanti, ace inibitori, etc.

Altri farmaci possono indebolire le pareti dei vasi e creare emorragie.

Sono tutti effetti che i medici devono ben valutare attentamente prima di prescrivere farmaci ai pazienti diabetici.

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