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Diabete. L’ipoglicemia del midollo osseo

Il 20 gennaio 2010 è stato pubblicato su questo blog un articolo avente per titolo: “Diabete. Dosaggio insulinico.”

L’articolo riprendeva l’analogo post pubblicato in precedenza su un altro blog sempre dallo stesso autore.

L’articolo citato riveste ancora oggi una grande importanza per poter dosare l’insulina al meglio e per controllare i valori della glicemia nei soggetti diabetici.

Il problema che riguarda il controllo della glicemia mediante l’insulina, cioè il problema del controllo di una grandezza mediante un’altra grandezza, è trattato in modo approfondito nel piano di studi d’ingegneria, quando si studiano i sistemi di regolazione delle grandezze mediante altre grandezze nel corso di “Controlli automatici”.

La regolazione della glicemia mediante l’insulina obbedisce alle stesse regole generali di regolazione di una grandezza mediante un’altra grandezza.

I sistemi di regolazione, che si possono usare nella regolazione della glicemia mediante insulina sono gli stessi che si possono usare nella regolazione mediante corrente di eccitazione degli alternatori nelle centrali elettriche, nella regolazione della velocità dei motori a corrente continua eccitati in serie installati sui treni “freccia rossa” e sui tram, sugli ascensori ad alta velocità, dove è prescritta una dinamo tachimetrica per controllare la velocità di rotazione dei motori, onde evitare che vadano in velocità di fuga.

I sistemi di regolazione sono di tre tipi: tipo statico, tipo astatico, tipo mediante feedback.

Come specificato nel citato articolo del 2010 occorre evitare che il dosaggio dell’insulina corra dietro ai valori della glicemia.

Si avrebbe in tal caso una regolazione di “tipo statico”, che presenta due sole posizioni stabili: la minima e la massima.

Nel caso del diabete si avrebbero due sole posizioni stabili: la minima, cioè l’ipoglicemia, e la massima, cioè l’iperglicemia.

Purtroppo in molti ospedali si ritiene che la dose d’insulina debba seguire la glicemia, per cui è in uso la regolazione statica.

Per non cadere nell’ipoglicemia i pazienti diabetici sono tenuti in iperglicemia con valori di glicemia maggiori di 250 mg/dl.

L’errore nasce dal fatto che si ritiene il dosaggio dell’insulina proporzionale al valore della glicemia.

Se per una glicemia di 150 mg/dl si fanno, per es., 10 unità d’insulina, è sbagliato pensare che per una glicemia di 300 md/dl occorra fare un dosaggio insulinico di 20 unità.

È sbagliato pensare che per un valore doppio della glicemia occorra iniettare un valore doppio dell’insulina.

Si deve tenere presente che l’insulina che si immette nell’organismo dall’esterno deve essere sommata all’insulina secreta dal pancreas.

Non è detto che se raddoppia il valore della glicemia analogo raddoppio si ha da parte dell’insulina secreta dal pancreas.

Generalmente il pancreas immette nell’organismo, in relazione a un valore doppio della glicemia, un valore d’insulina maggiore del doppio, per cui, se si raddoppia il valore dell’insulina iniettata, si finisce in ipoglicemia.

Il secondo sistema di regolazione, quello astatico, presuppone che si considerino i valori delle variazioni della glicemia, delle derivate e non è di facile applicazione.

Il terzo caso di sistema di regolazione è quello “mediante feedback” o “mediante retroazione” ed è preferibile perché tiene conto dell’esperienza del passato in situazioni glicemiche analoghe.

In linea generale dovremo tenere conto dell’esperienza del passato nel trattare il dosaggio dell’insulina per valori analoghi di glicemia.

L’uso del computer facilita il calcolo del dosaggio insulinico, per cui con un pochino di esperienza si riesce a trovare il giusto dosaggio dell’insulina.

In un grande ospedale un paziente ricoverato ha alla sera una glicemia di 246 mg/dl.

L’infermiera gli propone 3 unità d’insulina lenta tipo glargine, che in genere si usa come insulina basale.

Il paziente ha una propria scaletta, che gli indica 14 unità d’insulina di tipo rapido.

Il paziente chiede di parlare con il superiore dell’infermiera.

Dopo un po’ ritorna l’infermiera accompagnata da un’altra infermiera.

“Questa mattina abbiamo fatto una riunione e abbiamo deciso che bastano 9 unità d’insulina lenta”.

Il paziente si rassegna e accetta le 9 unità d’insulina lenta, pur sapendo che l’insulina lenta è un’insulina, che si usa come basale e che entrerà in azione l’indomani.

L’errore che si commette negli ospedali quando si applica a tutti i pazienti la medesima scaletta dei dosaggi dell’insulina è quello di trascurare il fatto che il dosaggio dell’insulina è sempre individuale, cioè varia da paziente a paziente, per cui è un errore gravissimo applicare la stessa scaletta, lo stesso dosaggio a tutti i pazienti per lo stesso valore della glicemia.

La soluzione intelligente è quella di consentire che il paziente diabetico continui ad usare la sua personale scaletta del dosaggio insulinico, la cui validità è stata testata per molto tempo dal medico curante del paziente.

La Medicina definisce il diabete come quella malattia, che è caratterizzata da valori della glicemia a digiuno da almeno otto ore maggiori di 126 mg/dl oppure maggiori di 200 mg/dl in ogni caso.

La glicemia nell’intervallo 70 – 110 mg/dl si definisce come “compensata” e corrisponde circa ai valori di glicemia, che si hanno a digiuno nelle persone sane.

Dopo i pasti la glicemia sale ma interviene l’insulina, secreta dal pancreas, che regola e fa diminuire il valore della glicemia.

Le persone sane non hanno problemi perché l’insulina secreta dal pancreas è sufficiente a controllare il valore della glicemia.

Quando la glicemia non è più ben controllata dalla secrezione d’insulina del pancreas, la Medicina diagnostica una malattia, che chiama “diabete”.

È evidente che, se l’insulina prodotta dal pancreas non è sufficiente, la glicemia non può essere “compensata”

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Ci sono vari metodi per combattere il diabete.

Da principio si tenta di controllare la glicemia con apposita dieta.

In seguito si ricorre alle pillole ipoglicemizzanti, che inducono il pancreas a secernere maggiori quantità d’insulina.

Se i risultati non sono soddisfacenti non rimane che ricorrere a iniezioni d’insulina per riportare i valori della glicemia nei limiti della compensazione.

Se la quantità d’insulina iniettata è maggiore della quantità necessaria, la glicemia scende troppo e si finisce in ipoglicemia.

In ipoglicemia il sistema nervoso ne risente e dapprima si ha il fenomeno della “tremarella” poi si hanno le “idee piuttosto confuse” e occorre ingerire varie bustine di zucchero saccarosio per non rischiare di “perdere conoscenza”.

Non prendere confetture o marmellate perché la pectina in esse contenuta potrebbe impedire la formazione del glucosio e causare la perdita di conoscenza.

L’eccesso di glicemia si configura come iperglicemia ed è rischioso perché potrebbe portare al coma diabetico.

In ogni caso mantenere valori alti della glicemia potrebbe agevolare lo sviluppo batterico, che è assolutamente da evitare.

Il diabete è una malattia, che deve essere ben curata se si vogliono evitare le “complicanze tardive”. che possono essere pericolose perché possono provocare malattie del cuore, infezioni agli arti inferiori, etc.

Ogni diabetico deve essere ben assistito dal proprio medico curante, che lo segue e lo fornisce di una scaletta personale di valori d’insulina da iniettare prima dei pasti in caso di terapia insulinica.

Il glucosio contenuto nel sangue è necessario per nutrire le cellule del corpo umano e per farlo passare attraverso le membrane cellulari è necessario che ci sia disponibile l’ormone insulina.

Ci sono dei sistemi che non hanno bisogno dell’ormone insulina per attingere direttamente il glucosio contenuto nel sangue.

Uno di questi sistemi è il sistema nervoso.

È necessario però che la quantità di glucosio contenuta nel sangue sia sufficiente per essere regolarmente attinta dal sistema nervoso.

Se la glicemia è insufficiente, il glucosio non può essere attinto regolarmente.

Si può definire un valore di “soglia glicemica”, cioè un valore della glicemia al di sotto del quale il sistema nervoso non può attingere il glucosio dal sangue regolarmente.

Il sistema nervoso al di sotto del valore di soglia glicemica ha difficoltà ad attingere il glucosio dal sangue.

Per la soglia glicemica del sistema nervoso si individua un valore compreso tra 50 e 60 mg/dl.

Questo valore è da ritenersi individuale, cioè può variare da persona a persona.

Gli americani della ADA (“Associazione Diabetologica Americana”) hanno ipotizzato che si possa assumere come valore di soglia del sistema nervoso il valore di 54 mg/dl, che si può considerare come un valore medio della glicemia minima per il regolare funzionamento del sistema nervoso.

Un altro sistema che attinge il glucosio dal sangue senza bisogno d’insulina è il sistema circolatorio.

Il midollo osseo, che è il centro di produzione di tutte le particelle contenute nel sangue, ha bisogno che il glucosio sia in quantità superiore al valore di soglia glicemica per portare a termine la preparazione per es. di nuovi globuli rossi.

I globuli rossi contengono l’emoglobina, che è essenziale per il trasporto dell’ossigeno.

Se la glicemia non raggiunge il valore di soglia del midollo osseo non è detto che le particelle del sangue abbiano uno sviluppo completo.

Potrebbero per es. essere messi in circolo globuli rossi difettosi o immaturi.

Per avere una preparazione completa dei nuovi globuli rossi occorre avere una glicemia maggiore del valore di soglia del midollo osseo.

Generalmente nei pazienti diabetici i valori di ematocrito e di emoglobina nel sangue sono inferiori ai valori minimi, riscontrabili nel sangue delle persone sane.

Ciò dimostra che c’è una certa difficoltà nella fabbricazione dei globuli rossi nei soggetti diabetici.

Il valore di soglia della glicosuria può aumentare col tempo tant’è che con valori di glicemia di 200 mg/dl spesso non risulta la presenza di glucosio nelle urine.

Il valore di soglia del midollo osseo è variabile con l’età.

Man mano che procede con l’età il paziente diabetico è affetto da un aumento del valore di soglia del midollo osseo.

Ci possono essere dei casi di pazienti ammalati di diabete da lungo tempo, in cui il valore di soglia è arrivato a 180 mg/dl o più in alto.

La progressione dell’innalzamento della soglia glicemica del midollo osseo segue l’evoluzione della malattia diabetica.

Ogni anno la ADA, che è l’Associazione dei Diabetologi Americani, pubblica “Gli standards per la cura del diabete mellito”.

Il capitolo 13 degli standards 2023, “Old Adults Vecchi adulti cioè Anziani: standard di Cura del diabete- 2023” è dedicato ai malati di diabete da vecchia data e la cosa importante è che per essi è tollerata in alcuni casi anche un’emoglobina glicosilata dell’8%, cui corrisponde secondo una formula approssimata una glicemia media intorno a 190 mg/dl.

Per quanto la formula che lega l’emoglobina glicosilata alla glicemia media potrebbe essere non molto precisa, pur tuttavia il valore della glicemia media si può considerare intorno a 190 mg/dl con buona approssimazione.

I globuli rossi sono generati dal midollo osseo senza problemi quando il valore della glicemia è superiore al valore della soglia glicemica del midollo osseo.

Se il valore della glicemia è inferiore al valore della soglia glicemica del midollo osseo, allora la produzione di nuovi globuli rossi è disturbata e se la differenza di valori glicemici è notevole, non è detto che la produzione di nuovi globuli rossi non rimanga fortemente disturbata.

D’altro canto che il valore vari da 180 mg/dl a 200 mg/dl non ha molta importanza, tenuto anche conto che il valore di soglia glicemica di sofferenza del midollo osseo si ritiene variabile da persona a persona e nel tempo aumenta anche per la medesima persona.

Di fronte all’aumento della soglia glicemica del midollo osseo l’organismo come si comporta?

L’organismo tenta di correggere il difetto che deteriora la produzione di nuovi globuli e per questo aumenta la glicemia per portarla a valori superiori alla soglia glicemica del midollo osseo.

L’organismo comanda al pancreas di secernere una quantità inferiore d’insulina per consentire alla glicemia di aumentare per superare la soglia glicemica del midollo osseo.

La malattia diabetica è anche questo “aumento della glicemia” prodotto dall’organismo per consentire il buon funzionamento del midollo osseo.

Il fatto che la glicemia sia maggiore di quella riscontrabile nelle persone sane secondo la Medicina è una malattia che si chiama “diabete”.

Il diabete non è solo imputabile al cattivo funzionamento del pancreas.

Il pancreas può anche essere il capro espiatorio. cui vengono addebitate tutte le irregolarità del diabete.

In qualche caso forse il pancreas, accusato ingiustamente, potrebbe anche essere innocente.

Quello che potrebbe non funzionare bene è il midollo osseo, che invecchia ed è soggetto all’aumento del valore della soglia glicemica.

È l’invecchiamento del midollo osseo e l’aumento della soglia glicemica che hanno un ruolo importante nella malattia diabetica.

Quando il sistema nervoso è in sofferenza incomincia la tremarella.

Quando in sofferenza è il midollo osseo l’organismo quali segni esteriori dà?

L’esperienza suggerisce di osservare la sudorazione e in particolare quella che interessa la fossetta dello sterno.

La sudorazione si estende alle altre parti del corpo se l’organismo va in sofferenza, per es. per difetto nella circolazione del sangue.

Esaminiamo questa situazione rispetto alla cura del diabete per esaminare i pro o i contro di alcuni provvedimenti della cura.

La compensazione è deleteria se la soglia glicemica del midollo osseo è maggiore del valore della compensazione.

Mantenere la compensazione per le 24 ore non consente il buon funzionamento del midollo osseo, se la soglia glicemica del midollo osseo è superiore ai valori di compensazione.

La glicosuria avviene naturalmente se la glicemia supera i 180 mg/dl.

L’organismo consente la glicosuria se la glicemia supera 180 mg/dl, altrimenti mantiene il glucosio nel sangue, perché serve al buon funzionamento dell’organismo.

Tutti i provvedimenti per abbassare la soglia della glicosuria sotto i 180 mg/dl sono deleteri.

Oggi per abbassare la glicemia si ricorre a medicine che abbassano la soglia glicemica della glicosuria.

L’uso dell’insulina deve essere oculato e lasciare che almeno per qualche ora al giorno la glicemia superi la soglia glicemica del midollo osseo.

L’eccesso d’insulina è dannoso e provoca il fenomeno dell’ipoglicemia, che è molto frequente nei pazienti diabetici specie quelli anziani diabetici di vecchia data.

L’organismo è una macchina molto complessa e deve funzionare perfettamente in tutti i suoi organi.

È molto difficile mantenere un funzionamento ottimale e ben coordinato dell’organismo.

Gli studi e la ricerca lavorano costantemente per migliorare le conoscenze e curare al meglio la malattia diabetica.

Il nuovo diabete.

La Medicina definisce il diabete come quella malattia, che è caratterizzata da valori della glicemia a digiuno maggiori di 126 mg/dl oppure maggiori di 200 mg/dl in ogni caso.

La glicemia nell’intervallo 70 – 110 mg/dl si dice “compensata” e corrisponde ai valori di glicemia, che si hanno a digiuno nelle persone sane.

Dopo i pasti la glicemia sale ma interviene l’insulina, secreta dal pancreas, che regola e fa diminuire il valore della glicemia.

Le persone sane non hanno problemi perché l’insulina secreta dal pancreas è sufficiente a controllare il valore della glicemia.

Quando la glicemia non è più ben controllata dalla secrezione d’insulina del pancreas si parla di “diabete”.

Nelle persone diabetiche la glicemia non è ben controllata e non ritorna spontaneamente nell’intervallo di compensazione.

Ci sono persone per cui il diabete s’instaura già dalla nascita e devono essere curate con l’insulina.

Altre persone possono maturare il diabete in età giovanile, intorno ai 20anni, e sono affette da diabete tipo 1.

Altre persone maturano il diabete in età matura, intorno ai 50 anni, e queste persone sono affette da diabete tipo 2.

La cura consiste nel riportare la glicemia a digiuno ai valori di compensazione (70-110 mg/dl).

Si distinguono tre fasi nel controllo della glicemia: la dieta, le pillole ipoglicemizzanti e l’insulina.

Alcune persone vanno incontro alle complicazioni tardive, che possono essere pericolose come malattie del cuore, infezioni agli arti inferiori, etc.

In genere la durata della vita nei soggetti diabetici è inferiore a quella delle persone sane.

Ogni anno la ADA, che è l’Associazione dei Diabetologi Americani pubblica “Gli standard per la cura del diabete mellito”.

Il capitolo 12 degli standard 2021, “ Old Adults” (Vecchi adulti), è dedicato ai malati di diabete da vecchia data e la cosa importante è che per essi è tollerata anche un’emoglobina glicosilata dell’8%, cui corrisponde secondo una formula approssimata una glicemia media intorno a 190 mg/dl.

Per quanto la formula potrebbe essere non molto precisa, pur tuttavia il valore della glicemia media si può considerare intorno a 190 mg/dl con buona approssimazione

In passato su questo blog sono stati pubblicati vari post con studi di ricerca sull’emoglobina glicosilata.

Sono state esaminate varie formule, che legano l’emoglobina glicosilata alla glicemia media nel periodo della durata in vita dei globuli rossi, circa 90 giorni.

I globuli rossi sono generati dal midollo osseo senza problemi quando il valore della glicemia è superiore al valore della soglia glicemica del midollo osseo.

Se il valore della glicemia è inferiore al valore della soglia glicemica, allora la produzione di nuovi globuli rossi è disturbata e se la differenza di valori glicemici è notevole, non è detto che la produzione di nuovi globuli rossi non rimanga bloccata.

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D’altro canto che il valore vari da 180 mg/dl  a 200 mg/dl non ha molta importanza, tenuto anche conto che il valore di soglia glicemica di sofferenza del midollo osseo si ritiene variabile da persona a persona e nel tempo aumenta anche per la medesima persona.

Prendiamo per buono il valore di 190 mg/dl, pur sapendo che è un valore approssimato, il cui valore vero sta da qualche parte intorno ai 190 mg/dl.

Ciò dà molto da pensare, perché gli standard americani sono considerati molto seri e sono credibili.

D’altro canto nelle analisi del sangue si nota spesso un insufficiente valore dell’ematocrito, un insufficiente valore dell’emoglobina, si nota che, nonostante valori della glicemia al di sopra dei 200 mg/dl nelle urine non risulta la presenza di glucosio.

È normale pensare che avvenga qualche fenomeno nell’apparato circolatorio che non funziona proprio molto bene, come dovrebbe.

Si pensa a un’ipoglicemia del midollo osseo, che dovrebbe influire sulla generazione di nuovi globuli rossi.

Approfondendo il discorso si nota che il midollo osseo  può attingere direttamente il glucosio dal sangue.

Così come fa il sistema nervoso che attinge il glucosio dal sangue direttamente, anche il midollo osseo può attingere il glucosio direttamente dal sangue.

Quando la glicemia scende al di sotto della soglia glicemica del sistema nervoso, il sistema nervoso reagisce dando segni di sofferenza.

Si avverte dapprima la tremarella, successivamente un po’ di confusione mentale, e se non s’interviene subito con qualche bustina di zucchero ci potrebbero essere serie conseguenze.

Il sistema nervoso può attingere direttamente dal sangue il glucosio purché ci sia una glicemia maggiore del valore della soglia glicemica per il sistema nervoso.

Affinché il sistema nervoso possa attingere direttamente dal sangue il glucosio occorre che ci sia una glicemia maggiore di circa 60 mg/dl, che è il valore di soglia glicemica del sistema nervoso.

Il midollo osseo può attingere direttamente il glucosio dal sangue purché la glicemia sia maggiore del valore di soglia glicemica di sofferenza del midollo osseo.

Se la glicemia è insufficiente, cioè minore della soglia glicemica del midollo osseo, il rifornimento del glucosio è disturbato e, se l’ipoglicemia è consistente, la generazione di nuovi globuli rossi può essere bloccata.

Affinchè il midollo osseo possa funzionare correttamente nella generazione di nuovi globuli rossi, ci deve essere una glicemia maggiore della soglia glicemica di sofferenza del midollo osseo.

Se la glicemia è “conpensata”, la glicemia è minore della soglia glicemica e la generazione di nuovi globuli rossi è disturbata.

Occorre che almeno un paio d’ore al giorno i valori della glicemia siano maggiori della soglia glicemica del midollo osseo, in modo da consentire una generazione di nuovi globuli rossi.

I valori insufficienti sia dell’ematocrito che dell’emoglobina potrebbero essere la dimostrazione che il midollo osseo non può produrre regolarmente i nuovi globuli rossi.

Il “diabete” può essere definito come quella malattia che corrisponde a una “ipoglicemia del midollo osseo”, la cui soglia glicemica sia più alta rispetto alla glicemia presente nel sangue delle persone sane.

Il “diabete” è dato dal fatto che la glicemia abbia un valore più basso rispetto al valore della soglia glicemica del midollo osseo e questo ostacola la produzione di nuovi globuli rossi

La soglia glicemica nel sangue delle persone sane è molto bassa, per cui non ci sono difficoltà nel funzionamento del midollo osseo nella generazione di nuovi globuli rossi.

Nelle persone affette da diabete la soglia glicemica del midollo osseo è più alta rispetto al valore della glicemia riscontrabile nel sangue delle persone sane, per cui occcorre che la glicemia aumenti per consentire un buon funzionalento nella produzione di nuovi globuli rossi e quindi di emoglobina.

Se la glicemia non supera il valore di soglia glicemica del midollo osseo allora la produzione di nuovi globuli rossi è disturbata.

Questo difetto è conseguenza dell’ipoglicemia del midollo osseo e dal punto di vista medico si identifica con la malattua, che si chiama “diabete”.

Il diabete può essere tra l’altro di tipo 1 o di tipo 2 o di altra causa.

Al diabete tipo 1 può corrispondere una soglia glicemica di circa 160 mg/dl.

Al diabete tipo 2 può corrispondere una soglia glicemica di circa 140 mg/dl.

Rimane da capire come mai non si riscontra glucosio nelle urine di molti soggetti diabetici.

Quando il corpo umano è soggetto ad un attacco batterico, il corpo reagisce innalzando la temperatura del corpo, allo scopo di limitare lo sviluppo dei batteri.

I medici di una volta dicevano che la febbre deve essere lasciata sfogare.

I medici di una volta usavano la temperatura alta del corpo umano per limitare l’attacco batterico,

Adesso, se la febbre supera i 38.5 gradi, i medici consigliano una medicina, come il paracetamolo, per abbassare la febbre.

Ai batteri ci pensa qualche antibiotico.

Il corpo umano di fronte a qualche anormalità reagisce sempre.

Nel caso in cui la soglia glicemica del midollo osseo sia aumentata e si abbia qualche distirbo nel funzionamento del midollo osseo il corpo reagisce innalzando la glicemia.

La glicemia aumenta per portarla a valori maggiori della soglia glicemica del midollo osseo.

Per fare questo deve fare in modo che la secrezione dell’insulina sia in qualche modo limitata.

Occorre anche che venga inibita almeno in parte la glicosuria, limitando la perdita di glucosio nelle urine e causando così  l’auento della glicemia.

Se  la reazione del corpo umano risulta insufficiente la glicemia, pur aumentando, non supera la soglia glicemica del midollo osseo, il cui funzionamento è disturbato e si ha la condizione di sviluppare la malattia diabetica.

Sarebbe consigliabile avere per qualche ora al giorno un valore della glicemia talmente alto da consentire il buon funzionamento del midollo osseo nella generazione di nuovi globuli rossi e quindi di nuova emoglobina.

Nella rimanemte parte della giornata si può compensare la glicemia per evitare i guai legati alla permanenza di valori alti della glicemia nell’organismo

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Mangiando regolarmente, una persona, che deve ricorrere a quattro iniezioni d’insulina al giorno, può saltare l’insulina serale per fare salire la glicemia.

Alla mattina la glicemia può non superare in genere i 110 mg/dl, per cui si può saltare l’iniezione d’insulina.

A mezzogiorno la glicemia può essere intorno a 150-170 mg/dl per cui si fa un’iniezione di insulina Mix50 (50% di rapida e 50% di ritardata) o altro tipo d’insulina, dosando le unità a seconda del valore della glicemia secondo quanto prescritto dal medico.

Alla sera il valore della glicemia in genere non supera i 110 mg/dl, per cui si può non fare l’iniezione d’insulina.

Al bedtime, al momento prima di andare a letto la glicemia può essere tra i 200 e i 300 mg/dl, per cui si fanno di solito due tipi d’insulina: Si fa un’iniezione di insulina rapida dosando le unità a seconda del valore della glicemia, come stabilito dal medico, e un’iniezione di Lantus nel dosaggio stabilito dal diabetologo.

Con questo nuovo dosaggio in genere si può avere un risparmio nella quantità d’insulina da iniettare nel corso della giornata.

In ogni caso i dosaggi dell’insulina come quelli di altri medicinali è compito della professionalità del diabetologo o del medico curante. Improvvisare può essere molto rischioso.

La ricerca è da considerare ancora in fase  iniziale e deve essere approfondita.

La soglia glicemica del midollo osseo ha valori variabili da persona a persona.

Per le persone sane il valore di soglia si mantiene basso, consentendo il corretto funzionamento del midollo osseo.

Per le persone affette da diabete il valore di soglia glicemica aumenta con l’età e, se la soglia è superiore alla glicemia, il midollo osseo non funziona regolarmente e la produzione di nuovi globuli rossi è disturbata.

Vista la novità dei concetti introdotti occorre procedere all’approfondimento necessario per ben definire il fenomeno del nuovo punto di vista sulla malattia diabetica intesa come “ipoglicemia del midollo osseo”, che produce sofferenza e imperfezioni nella produzione di nuovi globuli rossi.

Per eliminare il difetto nella produzione di nuovi globuli rossi l’organismo fa aumentare la glicemia per portarla a valori maggiori della soglia glicemica del midollo osseo e stabilizzare e ottimizzare la produzione dei nuovi globuli rossi e quindi di emoglobina, che è contenuta nei globuli rossi.

Avanti un altro.

La glicemia è il valore del glucosio presente nel sangue.

Nel sangue delle persone sane normalmente tale valore è compreso tra 70 e 110 mg/dl a digiuno.

Se il valore della glicemia a digiuno supera i 126 mg/dl il medico fa la diagnosi di diabete, che è una grave malattia, caratterizzata da eccesso di glucosio nel sangue.

Il medico giustifica l’aumento della glicemia con una dieta troppo ricca di zuccheri, di amidi, di carboidrati, e con un cattivo funzionamento del sistema di regolazione della secrezione d’insulina da parte del pancreas.

Il medico prescrive una cura per riportare la glicemia nei valori, che si hanno nelle persone non diabetiche.

Ci sono varie fasi: la dieta, le pillole ipoglicemizzanti, l’insulina.

Poi, ad un’età generalmente inferiore a quella delle persone non diabetiche, si passa miglior vita.

La terapia adottata in genere per la cura del diabete non è convincente.

La medicina non chiarisce perché una persona a un certo punto della vita si ammala di diabete.

Non sono i dolci, gli zuccheri, i carboidrati a scatenare il diabete, perché in tal caso la secrezione d’insulina da parte del pancreas è regolata per riportare la glicemia a valori normali.

Se la glicemia aumenta quasi ingiustificatamente il motivo deve essere un altro.

Il diabete non è dovuto all’aumento della glicemia, del glucosio che si accumula nel sangue, per cui il medico deve intervenire per  abbassarla fino a valori simili a quelli delle persone sane.

L’aumento della glicemia è dovuto al fatto che il corpo reagisce a una situazione anormale che si verifica e cerca di correggerla.

La ricerca ha individuato il motivo dell’aumento della glicemia.

I globuli rossi e il midollo osseo per nutrirsi non hanno bisogno d’insulina, ma prelevano il glucosio direttamente dal sangue, così come fa il cervello e tutto il sistema nervoso.

Quando la glicemia, cioè il valore del glucosio nel sangue, si abbassa al di sotto di un certo valore di soglia il sistema nervoso dà segni d’insofferenza, che si manifestano per es. con la tremarella.

Se non si corre ai ripari, ingerendo per es. qualche bustina di saccarosio, le conseguenze potrebbero essere molto serie.

Per il sistema nervoso il valore di soglia della glicemia al di sotto del quale il sistema va in sofferenza è circa 60 mg/dl.

Il midollo osseo e i globuli rossi assumono il glucosio direttamente dal sangue, come fa il sistema nervoso.

Per consentire questo prelievo diretto del glucosio la glicemia deve avere un valore superiore al valore di soglia glicemico previsto per il midollo osseo e per i globuli rossi.

Il valore di soglia glicemico del midollo osseo e dei globuli rossi per ipoglicemia si può manifestare  per es. con un’abbondante sudorazione alla parte bassa dello sterno, poco al di sopra del processo xifoideo.

Nello sterno è presente una certa quantità di midollo osseo.

Il valore della glicemia corrispondente alla soglia di sofferenza del midollo osseo è variabile nel tempo.

Il valore di soglia per il midollo osseo aumenta con il progredire della malattia diabetica.

Dopo circa venti anni dalla diagnosi di diabete il valore di soglia può essere uguale a circa 100 mg/dl.

Dopo quaranta anni dalla diagnosi il valore di soglia può essere uguale a circa 150 mg/dl.

Dopo sessanta anni dalla diagnosi il valore di soglia può essere uguale a 170 mg/dl.

Se il valore della glicemia scende al di sotto del valore di soglia glicemica per il midollo osseo si verifica la cessazione della produzione dei globuli rossi.

Ciò comporta la cessazione della produzione di nuova emoglobina, che è fondamentale per la ossigenazione delle cellule irrorate dal sangue.

Diminuendo il numero di globuli rossi presenti nel sangue, diminuisce la capacità di nutrimento delle cellule irrorate dal sangue.

Dall’esame emocromo si potrebbe notare l’insufficienza dei valori di ematocrito e di emoglobina.

La ricerca è volta a cercare di capire il meccanismo per cui avviene tutto questo.

In presenza di un’aggressione batterica il corpo reagisce innalzando la temperatura del corpo per cercare di eliminare i batteri.

Allo stesso modo in presenza di un livello di glicemia più basso della soglia minima cessa la generazione di nuovi globuli rossi e il corpo reagisce innalzando la glicemia per superare la soglia minima glicemica.

Per risolvere il problema della cessazione della produzione di nuovi globuli rossi il corpo reagisce aumentando la glicemia.

In tal modo la glicemia supera il valore della soglia glicemica e il midollo osseo può riprendere la produzione di nuovi globuli rossi, che era rimasta bloccata perché il valore della glicemia era insufficiente.

Per alzare la glicemia è diminuita la secrezione pancreatica dell’insulina ed è aumentata la soglia d’intervento della glicosuria, per trattenere più glucosio nel sangue per quanto possibile.

La medicina ritiene che il diabete sia in relazione a questo aumento anomalo della glicemia e interviene per correggerlo.

In questo modo si rende vano il tentativo del corpo di correggere l’ipoglicemia del midollo osseo.

Se l’intervento del corpo di aumentare la glicemia è ritenuto anomalo l’azione della medicina è contrastante e riporta il valore della glicemia a valori inferiori alla soglia di sofferenza del midollo osseo.

Si instaura un giochino tra il corpo che vuole aumentare la glicemia e la Medicina che vuole riportare il valore della glicemia al livello di quello presente nel sangue delle persone sane.

Si nota che spesso il corpo riesce a bloccare la glicosuria, nonostante i tentativi di abbassare la glicemia.

Il diabete è l’aumento ritenuto anomalo della glicemia.

La cura del diabete secondo la Medicina consiste nel riportare la glicemia a livello dei valori riscontrabili nelle persone sane.

Allo stesso modo come s’interviene in caso di infezione batterica con febbre alta, si cerca di abbassare la febbre, così nel diabete si cerca di abbassare la glicemia, ignorando il danno che si provoca alla produzione di nuovi globuli rossi

 Il corpo umano reagisce con la febbre in caso di aggressione batterica e la Medicina ostacola questa reazione del corpo umano per riportare alla normalità le condizioni di temperatura del corpo.

Della carica batterica si occuperanno gli antibiotici per distruggerla.

Il corpo umano reagisce aumentando la glicemia, quando la glicemia scende al di sotto della soglia minima di produzione dei globuli rossi.

Anche in questo caso la Medicina reagisce all’azione spontanea del corpo e agisce con medicinali vari, che abbassano il valore della glicemia fino al livello riscontrabile nel sangue delle persone sane.

La Medicina ostacola l’azione di reazione spontanea del corpo umano.

La Medicina non si chiede il perché dell’aumento della glicemia e procede ad abbassarlo, senza capire il perché si verifichi l’aumento della glicemia.

C’è qualcosa che non va, per cui il corpo non se la passa certamente bene se deve contrastare l’anormalità delle proprie condizioni anche contro l’azione del medico.

Quando la Medicina corregge le condizioni anormali dei valori non agisce a favore della salute del corpo umano, perché annulla i motivi di reazione del corpo alle anormalità.

La medicina interviene per annullare i sintomi che nel corpo umano c’è qualcosa che non va.

Intervengono poi le medicine a ristabilire la salute del corpo.

I medici di una volta dicevano che “La febbre deve sfogare, per cui bisogna lasciare il corpo libero di reagire”.

I medici di oggi dicono che occorre intervenire con i medicinali, se la febbre supera un certo valore.

La differenza è che con questo comportamento aumenta la quantità di medicinali, che si consumano e sono contrastate le capacità del corpo umano di combattere le anormalità.

Se la glicemia è mantenuta al di sotto del livello di nutrizione e di sopravvivenza dei globuli rossi, l’ematocrito scenderà sotto i valori normali, i muscoli saranno mal nutriti e il corpo dimagrirà.

I muscoli saranno sottonutriti e fra questi muscoli non bisogna trascurare che c’è il miocardio, il cuore, che ne soffrirà parecchio di questa situazione, di questa cura del diabete.

Il valore di riferimento della glicemia non deve essere quello delle persone sane.

La cura del diabete deve consistere nel mantenere un valore di glicemia un poco al di sopra della soglia minima necessaria per assicurare la produzione dei globuli rossi e il nutrimento dei muscoli.

L’inizio della ricerca deve consistere nel determinare il valore della soglia minima della glicemia da assumere come riferimento per la cura del diabete.

La Medicina ufficiale ritiene che la sola compensazione glicemica sia sufficiente per tenere a bada una malattia terribile come il diabete.

È stata trascurata la compensazione energetica.

Devono essere considerate la compensazione glicemica e la compensazione energetica.

Non si può fare a meno della doppia compensazione.

La Medicina ufficiale ritiene che il diabete sia l’aumento della glicemia dovuta a un difetto degli organi di controllo della glicemia e dell’insulina secreta dal pancreas.

I concetti sono oggi superati, per cui la cura proposta non si adatta alle condizioni della patologia.

Quando il midollo osseo va in sofferenza per una glicemia inferiore alla sua soglia glicemica, produce l’aumento della glicemia, limita la secrezione d’insulina, limita la glicosuria.

L’organismo cerca di rimediare al fatto che la glicemia sia scesa a un livello più basso della soglia di sofferenza del midollo osseo.

L’organismo cerca di rimediare al fatto che è cessata la produzione di nuovi globuli rossi, di nuova emoglobina, per cui viene a diminuire il nutrimento e l’ossigenazione delle cellule del corpo.

Quando si ha un attacco batterico il corpo aumenta la propria temperatura per reagire all’aggressione batterica.

Quando il midollo osseo si trova in difficoltà perché nel sangue c’è una glicemia inferiore alla sua soglia di sofferenza, per cui non può produrre abbastanza globuli rossi come dovrebbe, esso provoca l’innalzamento della glicemia in modo che essa sia maggiore della soglia di sofferenza del midollo osseo.

L’aumento della glicemia è contrastato dai medici, che applicano gli schemi di cura tradizionali, che al momento non trovano riscontro nei giovamenti da parte dei pazienti, ma che vengono caparbiamente adottati, anche se i risultati non ci sono.

La cura del diabete adottata dai medici è sempre la stessa.

Controllo della glicemia prima con la dieta, poi con le pillole ipoglicemizzanti, poi con l’insulina.

I risultati sono sempre gli stessi.

La dieta è ritenuta sufficiente perché il diabete non è ritenuto grave.

I pazienti sono contenti di fare la dieta perché il loro diabete non è grave.

Il diabete se la ride e continua la sua padronanza del corpo umano.

Con la dieta si cerca di limitare i pasti in modo che la quantità d’insulina prodotta dal pancreas sia sufficiente a trattare il glucosio prodotto dal cibo ingerito.

Questo è sbagliato.

Si cerca di utilizzare la quantità d’insulina prodotta dal pancreas, per cui il camionista, che consuma 3200 Kcal al giorno deve accontentarsi delle 1000 Kcal prodotte utilizzando l’insulina prodotta dal suo pancreas. Dopo due giorni le energie sono finite e il camionista deve cambiare mestiere.

La cura tramite la dieta può durare diversi mesi, anche diversi anni.

Nel frattempo il diabete ha fatto il suo corso indisturbato.

Il diabete si è aggravato.

Occorre passare alle pillole ipoglicemizzanti.

C’è l’imbarazzo della scelta.

Tutte le scelte sono volte a fare diminuire la glicemia, con ogni mezzo.

La glicemia dà fastidio, occorre eliminarla. Viva la Medicina.

Viva la Medicina tradizionale, che consegna i diabetici al loro destino.

La malattia se la ride, anzi sghignazza dei tentativi messi in opera.

Si arriva a bloccare la gluconeogenesi, si arriva a scaricare nelle urine il surplus della glicemia.

E il diabete avanza, perché non è questa la cura, che deve essere intrapresa per contrastare il diabete.

La cura messa in atto contrasta la glicemia, non il diabete, che indisturbato avanza e ringrazia l’ignoranza delle persone, che dovrebbero curare il diabete.

I pazienti sono contenti che il loro diabete non è molto grave, per cui non c’è bisogno dell’insulina.

Passa del tempo.

Il paziente è stato abbastanza zelante nel seguire le cure indicate dal medico, ma ci sono brutte notizie.

Il diabete si è aggravato. Occorre passare all’insulina.

Ma come? Ma perché?

Ultimo atto della tragedia. La Medicina pontifica che occorre utilizzare l’insulina somministrata dall’esterno.

In realtà il diabete è arrivato a un punto di gravità tale, per cui il paziente deve raccomandarsi l’anima a Dio.

Tutti gli sforzi messi in atto per curare il diabete sono rivolti alla diminuzione della glicemia confrontandola con i valori ,che hanno le persone sane, quelle non diabetiche.

Non ci vuole molto a capire che la cura è sbagliata.

Che tutti gli sforzi messi in atto sono un totale fallimento?

Che sono state consumate ingenti quantità di medicinali inutilmente.

Che sono stati buttati una marea di soldi in visite mediche a pagamento senza ottenere risultati.

Il paziente ha sempre applicato alla lettera le indicazioni suggerite dal medico, ed ora?

Il paziente si sente tradito, ma si adegua alle cure proposte dal medico.

Non può fare altro.

Il diabete ha fatto la propria strada e sta concludendo la vita del paziente diabetico.

Il diabete è incontrollato occorre amputare, mettere un pò di stent, fare cure estreme.

“Dottore, mi pare che ci vedo un po’ meno.”

La cura riprende rigorosamente.

La malattia comporta sofferenze, amputazioni, forse la cecità, forse piccoli infarti, forse altre sofferenze.

La conclusione della cura è la morte del paziente.

Avanti un altro.

La cura del diabete mellito

La Medicina ufficiale ritiene che il diabete sia dovuto all’aumento della glicemia per difetto di funzionamento degli organi di regolazione dell’insulina pancreatica.

La Medicina ritiene che occorra fare diminuire la glicemia eccessiva per ricondurla ai valori presenti nel sangue delle persone sane.

La glicemia a digiuno deve essere ricondotta nel campo di valori tra 70 mg/dl e 120 mg/dl, con ciò ritenendo che la glicemia sia “compensata”.

Occorre osservare però che la sola compensazione glicemica non è  sufficiente per tenere a bada una malattia come il diabete.

Si ritiene che l’azione della Medicina di limitare l’intervento curativo alla sola compensazione glicemica sia altamente deficitario, privo di efficacia curativa e fuorviante, facendo ritenere che sia in atto una cura del diabete in grado di controllare la malattia.

Ciò è causa di false speranze in tutti quei pazienti, cui è stata diagnosticata una malattia seria come il diabete e che si illudono e sperano che controllare i valori della glicemia sia una buona cura per il diabete.

Non esiste al momento uno screening serio in grado di prevenire l’insorgere della malattia diabetica.

Nel blog è stato proposto uno screening basato sul fatto che il diabete non si instaura di colpo, ma matura nel tempo.

Si ritiene diabetico il paziente che a digiuno abbia una glicemia di almeno 126 mg/dl.

Il blog propone uno screening basato sulla determinazione annuale, sempre nello stesso periodo, con la registrazione dei valori rilevati della glicemia a digiuno per sette giorni consecutivi, sempre alla stessa ora e avendo seguito un’alimentazione particolare, in modo che i valori della glicemia siano confrontabili tra loro.

Occorre prendere nota dei valori misurati e farne la media aritmetica.

Inserendo in una tabella i valori medi misurati nel corso degli anni si può notare se i valori rimangono all’incirca costanti o se aumentano gradatamente.

Riportando sul piano cartesiano, con le date in ascissa e la glicemia media (mg/dl) in ordinata, i valori delle glicemie medie dei vari anni si ottiene un grafico.

Tracciando “la linea di tendenza” del grafico si vede se la linea è crescente e se incontra l’ordinata 126 mg/dl.

Per i pazienti che contrarranno il diabete conclamato in futuro la linea di tendenza sarà crescente e incontrerà l’ordinata 126 mg/dl in corrispondenza di una certa data.

La data indicata dal grafico sarà con sufficiente approssimazione quella in cui il medico farà la diagnosi di diabete.

Il medico, che esaminerà il grafico di screening, potrà determinare la data prevedibile, in cui il paziente potrà contrarre il diabete e prendere i provvedimenti del caso.

Con questo sistema il medico e il paziente saranno avvertiti molto prima e potranno intervenire con notevole anticipo, che può essere di almeno sei o sette anni.

Senza lo screening il diabete sarebbe conclamato quando già è latente da almeno sei o sette anni e la cura sarebbe iniziata con notevole ritardo.

Lo screening è molto importante per prevenire la malattia diabetica.

Secondo le regole attuali la Medicina prescrive che si deve tenere sotto controllo la glicemia.

Tenere sotto controllo solo la glicemia è un provvedimento discutibile.

La cura del diabete non può essere limitata solo alla compensazione della glicemia.

Oltre la compensazione glicemica occorre tenere conto anche della compensazione energetica.

Con la compensazione energetica si devono fornire al paziente con il cibo le Kcal necessarie per compensare le energie necessarie per mantenere in moto la macchina uomo, cioè per vivere, per lavorare, per svagarsi, etc.

In breve, con la compensazione energetica occorre fornire al paziente diabetico tutte le energie di cui ha bisogno per vivere serenamente.

Se un camionista diabetico consuma circa 3200 Kcal al giorno per vivere e lavorare è sbagliato sottoporlo a dieta sfruttando per es. le 1000 Kcal, che il suo corpo può produrre con l’ausilio della sola insulina autoprodotta.

Il camionista non può vivere e lavorare con solo 1000 Kcal al giorno.

Se al camionista non si forniscono le 3200 Kcal necessarie per continuare a fare il proprio lavoro, dopo qualche giorno egli non avrà più le energie per lavorare e dovrà abbandonare il lavoro.

Con la doppia compensazione: glicemica e energetica si fa fronte alle conseguenze del diabete, agli effetti esteriori del diabete, ma non si combatte la causa del diabete.

L’aumento della glicemia è la reazione del corpo umano alla malattia diabetica, non la causa del diabete.

Quando il corpo umano si trova sotto un attacco batterico reagisce aumentando la temperatura del corpo per potersi difendere dai batteri invadenti.

Così quando il corpo umano si trova in difetto di glucosio nel sangue e questo fatto provoca un cattivo funzionamento di organi importanti, allora si accumula glucosio nel sangue, si ostacola la secrezione d’insulina pancreatica, si limita la glicosuria, etc.

L’obiettivo è quello di aumentare la glicemia.

E la Medicina quali provvedimenti suggerisce?

Nel caso in cui la febbre superasse i 38°-39° ci sono le pillole per abbassare la febbre.

Ai batteri, se del caso, ci pensano gli antibiotici.

Nel caso in cui la glicemia dovesse salire, la regola vuole che si intervenga per abbassare la glicemia.

Non esiste una medicina in grado di curare e guarire una malattia come il diabete.

Sembra che l’intervento automatico del corpo umano, che innalza la glicemia, ostacoli la cura del diabete.

Occorrerebbe capire bene perché il corpo umano alza il valore della glicemia.

Sicuramente ci sono dei limiti.

Se i valori messi in atto dal corpo sono ritenuti eccessivi è corretto che le regole intervengano per limitare l’aumento della glicemia?

Forse questo è il sintomo che le idee non sono molto chiare su quello che sta succedendo nel corpo umano quando questi ha bisogno di aumentare la glicemia.

Perché il corpo umano, a un certo punto, decide che occorre aumentare la glicemia?

All’aumento della glicemia provvede il corpo umano per motivi suoi, ma le regole intervengono subito per distruggere l’azione difensiva del corpo umano e contrastare efficacemente l’azione spontanea di difesa dell’organismo.

La Medicina afferma che l’aumento della glicemia è una malattia, che si chiama diabete, e che contrastando questo aumento della glicemia si sta curando il diabete.

La domanda alla quale bisogna rispondere è: “Perché il corpo umano ha bisogno di aumentare la glicemia?”.

La risposta a questa domanda modifica in termini sostanziali la cura del diabete.

La cura del diabete non deve essere l’abbattimento dei valori della glicemia.

Per avere un cura idonea ed efficace occorre capire perché a un certo punto la glicemia aumenta.

L’insulina è l’ormone che serve per fare passare il glucosio attraverso le pareti delle membrane cellulari per il nutrimento e l’ossigenazione delle cellule.

In particolare l’ossigeno è trasportato dall’emoglobina, che è contenuta nei globuli rossi.

È fondamentale la presenza dell’insulina per il nutrimento e l’ossigenazione delle cellule del corpo umano.

Ci sono però degli organi che non hanno bisogno dell’insulina per il loro rifornimento di glucosio dal sangue.

Il sistema nervoso non ha bisogno d’insulina per rifornirsi di glucosio dal sangue.

Quando il glucosio nel sangue scende sotto il valore della soglia minima di alimentazione del sistema nervoso, questi comincia a dare segni di sofferenza.

Il paziente si sente male, si instaura la tremarella, la capacità di ragionamento è fortemente diminuita, può succedere la perdita di conoscenza e, se non si presta aiuto, per es. con il ricovero urgente in ospedale e con un’iniezione per es. di glucagone, può anche sopraggiungere la morte.

Oltre al sistema nervoso ci sono altri organi che non hanno bisogno d’insulina per rifornirsi di glucosio direttamente dal sangue.

Si tratta del midollo osseo, dei globuli rossi, delle altre particelle, che fluttuano nel sangue.

Anche per queste particelle, come per il midollo osseo, c’è una soglia minima glicemica al di sotto della quale sia il midollo osseo che le particelle vanno in sofferenza.

È plausibile  pensare che il valore della soglia di sofferenza glicemica del midollo, come quella dei globuli rossi, non siano costanti nel tempo, ma che varino ed è credibile che questi valori di soglia vadano ad aumentare col tempo.

Se il valore della glicemia scende al di sotto di questi valori di soglia vanno in sofferenza per es. il midollo osseo con ridotta o nulla generazione di nuovi globuli rossi, il che significa minore emoglobina, cioè minore ossigenazione dei muscoli, cioè guai a non finire.

Occorre considerare bene se per caso non sia questa l’essenza della malattia diabetica, cioè l’abbassamento della glicemia sotto la soglia di sofferenza del midollo osseo con blocco della generazione di nuovi globuli rossi e dell’ossigenazione dei muscoli.

Tra i muscoli che vengono a trovarsi in difetto di alimentazione e di ossigenazione c’è anche il miocardio ed ecco spiegate le cardiopatie e le sofferenze del miocardio.

La cura del diabete deve essere volta a fare in modo che ai muscoli, tra cui il cuore, non manchi mai la nutrizione e l’ossigenazione, perché la mancanza di queste funzioni necessarie è possibile che possa essere la causa della malattia diabetica.

Il fatto che la glicemia aumenti è una necessità per salvaguardare la nutrizione e l’ossigenazione delle cellule del corpo umano.

Occorre come prima cura del diabete cercare di sostenere il midollo osseo mantenendogli le condizioni ideali per continuare a produrre i globuli rossi e l’emoglobina necessari al corpo umano.

Occorre salvaguardare il buon funzionamento del midollo osseo per assicurare nutrimento e ossigenazione di tutte le cellule del corpo umano.

Questa potrebbe essere per cominciare una prima cura per la malattia diabetica.

Certamente diminuire la glicemia, anche sotto al soglia di sofferenza del midollo osseo è da evitare.

A questo punto ha primaria importanza tenere sotto osservazione il “coefficiente Hb”, definito come rapporto tra i globuli rossi di nuova formazione rispetto alla media dei globuli rossi in circolazione nei novanta giorni, che si assume approssimativamente possa essere la durata della vita media dei globuli rossi.

La cura del diabete, messa in atto secondo i suggerimenti della Medicina ufficiale, è basata sull’obiettivo di conseguire valori di glicemia compresi nell’intervallo di compensazione.

Se il valore della glicemia di sofferenza del midollo osseo è maggiore della glicemia compresa nell’intervallo di compensazione è evidente che la compensazione glicemica può essere sicuramente dannosa per il funzionamento del midollo osseo.

Occorre che la Medicina ufficiale riveda le regole della cura del diabete.

Occorre tenere in considerazione il fatto che il midollo osseo non deve essere ostacolato nella sua funzione di fornire sempre nuovi globuli rossi, perché se si blocca la generazione i nuovi globuli rossi l’organismo sicuramente non se la passa molto bene.

È necessario assicurare il ricambio per cui nuovi globuli rossi vanno a sostituire i vecchi globuli, che non sono più efficienti e stanno per essere eliminati dal sangue.

È auspicabile che vengano editi nuovi “Standard per la cura del diabete mellito”, in cui si tenga conto della nutrizione e dell’ossigenazione delle cellule dei muscoli e in particolare del miocardio.

La scaletta attuale di cura del diabete prevede: la dieta, le pillole ipoglicemizzanti e l’insulina.

Sono tutti provvedimenti volti a mantenere il valore della glicemia nell’intervallo di compensazione.

Sono tre stadi della cura del diabete, che non portano miglioramenti decisivi per la malattia.

Occorre migliorare le regole per curare il diabete.

La storiella che è sufficiente la dieta perché il diabete non è poi così grave è solo una consolazione per il paziente.

Il paziente è tranquillizzato perché la malattia non è poi così grave.

In realtà si perdono anni preziosi, mentre il diabete fa il suo corso.

La dieta significa mantenere in vita il diabete, che ama vivere nell’ombra e progredire, mentre la dieta può risultare inutile per combatterlo.

Chiaramente quando il diabete peggiora occorre passare alle pillole ipoglicemizzanti, perché il diabete non è poi così grave da richiedere le iniezioni d’insulina, che sono considerate un vera e propria schiavitù.

Il paziente è tranquillizzato che la malattia è sotto controllo e che la stessa non è poi così grave da richiedere le iniezioni d’insulina.

È un’altra perdita di tempo, per cui il diabete seguita a fare il suo corso e il paziente comincia ad essere sottoposto alle prime “complicanze tardive”.

Quando si arriva alle iniezione d’insulina il diabete è diventato così grave da richiedere l’insulina.

Si tratta della terza fase della cura del diabete.

Si tratta di una cura che, se la causa del diabete è nel cattivo funzionamento del midollo osseo è totalmente sbagliata.

La conseguenza è che migliaia o anche milioni di persone sono abbandonate al loro brutto destino, a tante indicibili sofferenze, senza che sia stata prestata loro una giusta terapia.

A questo punto occorre interrogarsi su chi ha tratto giovamento dall’utilizzo di questa cura sbagliata.

Sicuramente i produttori di un numero enorme di medicinali consumati per una cura inutile.

Poi sono da considerare le migliaia di miliardi spesi nel mondo per le visite mediche e gli accertamenti a pagamento nell’illusione che il diabete potesse essere curato a dovere.

I pazienti sottoposti ai dolori e alle menomazioni delle complicanze tardive cercano un qualche miglioramento delle loro condizioni anche con sacrifici economici, a volte anche molto gravi.

Seguire la cura tradizionale ha portato a seguire una storia di speranze, di delusioni e di sofferenze.

La sorte infausta forse era scritta fin dall’inizio per tanta povera gente, che ha contratto il diabete e per questo è stata molto sfortunata.

Occorre chiedersi “Cui prodest”.

Chi trae giovamento dal mantenere in essere questo stato di cose, queste regole fasulle di non cura del diabete?

Diabete. Confronto di verifica tra le formule di emoglobina glicosilata in funzione della glicemia media 2.

Continuazione del post precedente.

Curve a gradini.

Le curve a gradini considerano che l’attività rimanga quasi costante per sette giorni e successivamente cambi valore settimanalmente.

Figura 4. Curve di attività a gradini.

Le curve considerano dei valori in rapida discesa, con valori massimi all’inizio e minimi a novanta giorni.

Si tratta di otto curve, che si differenziano leggermente tra loro.

Dai dati generali di precisione dei risultati si segnala la formula (Hb77) per l’esattezza e dell’(HbMedTot) per lo scarto medio e l’esattezza.

Dai dati approssimati allo 0.3% in valore assoluto, si segnalano la formula (HbMed) e la formula dell’(Hb46).

 Si tratta comunque di risultati non molto significativi, perché si mescolano i dati delle varie curve di attività.

Comunque notevole è il risultato del 93,33% ottenuto dalla curva BS71 nella formula dell’(HbMed).

Curve a campana.

Figura 5. Curve di attività a campana 1.

Le curve a campana sono le più numerose e sono rappresentate su diverse figure.

Figura 6. Curve di attività a campana 2.

Figura 7. Curve di attività a campana 3

Le curve a campana rappresentano un nutrito gruppo di curve di attività sottoposto a test di verifica.

In totale si tratta di cinquantuno curve, che rappresentano vari andamenti delle curve di attività.

Si sono sperimentate curve, che nei primi giorni hanno valori, che partono da uno per arrivare ai massimi valori verso il sesto giorno, per verificare se all’inizio le molecole di emoglobina abbiano problemi di completamento morfologico e non siano nel pieno esercizio delle loro funzioni.

I risultati del test smentiscono questo fatto.

Fin dal primo giorno le molecole di emoglobina sono efficienti e in grado di collegarsi alle molecole di glucosio.

Dopo circa sei settimane le molecole di emoglobina cominciano a essere meno impegnate nella glicazione per arrivare gradatamente a percentuali trascurabili a circa novanta giorni.

Dai dati generali di precisione dei risultati si segnala la formula (Hb77) per l’esattezza e dell’(HbMedTot) per lo scarto medio.

I risultati migliori si hanno per l’(Hb46) e l’(HbMed).

Dai dati approssimati allo 0.3% in valore assoluto, si segnalano le formule (HbMed) e (HbMedTot).

Figura 8. Curve di attività selezionate per gli ottimi risultati.

Per i risultati esatti si segnalano le curve di attività:

La BW75_12 con dodici risultati esatti.

A seguire si segnalano le curve: ES149_11 ed EG137_11 con undici risultati esatti.

Nel campo delle curve con maggiore precisione approssimata allo 0.3% in valore assoluto, si segnala la curva di attività EL142_56 con 56 risultati (somma dei risultati delle cinque formule).

In particolare per (HbMed) e (HbMedTot) la curva EL142_56 ha raggiunto 14 risultati utili con una percentuale del 93.33%.

La curva ES149_11 è stata ottenuta mediando le due curve BW75_12 ed EL142_56.

Per l’ES149_11 i risultati esatti sono stati 11 e i risultati approssimati in totale sono stati 47.

Le cinque formule sono rappresentate graficamente nel piano cartesiano con delle rette.

Figura 9. Rette che rappresentano le cinque formule.

Occorre fare alcune osservazioni.

A parità di HbA1c(%) la glicemia media assume valori diversi secondo la formula di calcolo.

Il valore della glicemia media più piccolo è quello fornito dall’(Hb86) e il maggiore è quello fornito dall’(Hb77).

Fra queste due rette (Hb86) e (Hb77) si ha il tracciato dell’(HbMed), che rappresenta la media tra le due rette.

Occorre osservare che la formula migliore per quanto riguarda l’esattezza dei risultati è stata l’(HB77), anche se i risultati esatti in percentuale hanno valori inferiori al 18%.

I risultati dell’(Hb86) sono stati deludenti.

I risultati dell’(HB46) non sono stati pari alla fama conquistata da questa formula, che alla verifica si è dimostrata anch’essa deludente.

Per la ricerca del valore esatto si fa preferire l’(Hb77), ma per risultati approssimati in maniera accettabile, è da preferire l’(HbMed).

Considerando che i risultati dei referti dei laboratori di analisi possono avere errori anche del 5%, per cui i valori di referto dell’emoglobina glicosilata possono variare dello 0.3% in valore assoluto, è preferibile fare affidamento sulla formula (HbMed).

 (HbMed)          HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 81.89) / 34.44

AG(mg/dl) = 34.44 * HbA1c(%) – 81.89

Diabete. Confronto di verifica tra le formule di emoglobina glicosilata in funzione della glicemia media 1.

Prendiamo in considerazione le formule dell’emoglobina glicosilata HbA1c(%) in funzione della glicemia media in mg/dl.

 (Hb46) HbA1c(%) = (46.7 + AG(mg/dl)) / 28.7

AG(mg/dl) = HbA1c(%) * 28.7 – 46.7

(Hb86)   HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 86) / 33.3

AG(mg/dl) = 33.3 * HbA1c(%) – 86

(Hb77)   HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 77.3) / 35.6

AG(mg/dl) = 35.6 * HbA1c(%) – 77.3

(HbMed) HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 81.89) / 34.44

  AG(mg/dl) = 34.44 * HbA1c(%) – 81.89

(HbMedTot) HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 68.86) / 32.30

        AG(mg/dl) = 32.30 * HbA1c(%) – 68.86

Si precisa che (HbMed) è la media tra (Hb77) e (HB86).

(HbMedTot) è la media tra (Hb77), (HB86) e (Hb46).

Per il Teorema della Media dell’Analisi Matematica le equazioni delle formule, ottenute come media, dovrebbero avere errori inferiori a quelli propri delle singole formule componenti.

Occorre fare una verifica sull’idoneità delle singole formule, prendendo in considerazione le curve di attività dell’emoglobina glicata.

Le curve di attività sono delle curve che, in funzione delle date precedenti in giorni da 1 a 90, danno i valori, che rappresentano l’attività in percentuale delle molecole di emoglobina, che partecipano alla glicazione.

I dati di attività percentuale devono essere divisi per cento.

Si ritiene che le molecole di emoglobina partecipino alla glicazione in funzione della propria età nei novanta giorni precedenti, poiché sembra che le molecole di emoglobina più giovani siano più attive nello stabilire legami con il glucosio.

Occorre individuare l’andamento dei tracciati, che rappresentano le curve delle attività dell’emoglobina glicosilata nei novanta giorni precedenti.

Si considera che novanta giorni sia la vita media dell’emoglobina corrispondente alla vita dei globuli rossi, che la contengono.

Ciascun grafico di attività dell’emoglobina glicata ha alle ascisse i giorni precedenti, da 1 a 90.

Alle ordinate ci sono i parametri percentuali di attività, che saranno successivamente divisi per 100.

Per rendere confrontabili i diversi grafici si è assunta costante l’area sottesa dalle curve di attività e pari a 3000.

Il programma in VBA (Visual Basic Application) di Excel elabora il conteggio della glicemia media assegnando a ciascun giorno un coefficiente di attività dedotto dalla curva di attività.

Sono stati presi in esame settantacinque grafici di attività e si è fatto il confronto dei risultati del calcolo con i dati dei referti forniti da quindici analisi di laboratorio, che sono stati assunti come valori di controllo.

In totale sono stati fatti 5625 controlli di verifica.

I referti dei laboratori di analisi presi in considerazione si riferiscono ad analisi effettuate negli anni 2010 – 2014, sempre dallo stesso laboratorio di analisi e per lo stesso paziente.

Lo stesso laboratorio di analisi garantisce il medesimo procedimento di analisi dell’emoglobina glicosilata, per cui i risultati sono pienamente confrontabili tra loro.

Lo stesso paziente garantisce un’evoluzione glicemica omogenea, i cui risultati sono pienamente confrontabili tra loro.

I quindici risultati dei referti di laboratorio nell’ordine sono stati:

1)  7.1;  2)  6,4;  3)  6,4;  4) 6,7;  5) 6,3;  6) 6,4;  7) 6,4;  8) 5,8;  9) 6,1;  10) 6,3;  11) 6,3;  12) 6,3; 13) 7,1; 14) 6,3; 15) 7,2

Con questi valori di controllo sono stati confrontati i dati forniti dal calcolo in base alle curve di attività per cercare di scoprire quali siano le curve di attività più affidabili.

Inizialmente le curve di attività sono state raggruppate in base alle loro caratteristiche per scegliere il tipo di attività più consono con i risultati dei referti.

In seguito i confronti sono stati affinati in base ai risultati parziali raggiunti.

Sono state analizzate curve di attività relative ad andamenti rettilinei, esponenziali, a gradoni, a gradini e a campana.

Per confrontare le diverse curve di attività occorre fare riferimento ai dati del calcolo da confrontare con i risultati dei referti del laboratorio di analisi.

In funzione del confronto con le cinque formule di calcolo, le verifiche previste riguardano:

1) Le medie degli scarti tra valori di referto e valori calcolati.

2) Gli scarti minimi riscontrati, solo nel totale generale delle curve.

3) Il numero complessivo di risultati esatti, in cui i valori di referto coincidono con i risultati del calcolo.

4) La percentuale sul totale dei risultati.

5) I risultati del calcolo per la curva di maggiore rispondenza dei dati con quelli di referto.

6) La percentuale dei dati della curva di maggiore rispondenza.

Tenendo conto che i risultati di laboratorio sono affetti da errori non superiori al 5%, si è fatto un altro confronto tra dati dei referti e dati di calcolo e in particolare si sono considerati come abbastanza precisi i dati, che differiscono al massimo dello 0.3% in valore assoluto ed errati i dati che differiscono per più dello 0.3% in valore assoluto.

Per ciascuna delle cinque formule di calcolo sono stati determinati:

1) Il numero totale dei risultati del calcolo, che differiscono dai dati di referto al massimo dello 0.3% in valore assoluto.

2) La percentuale di tali risultati in confronto al totale dei dati analizzati.

3) I dati corrispondenti a quelli della curva di attività, che ha fornito i migliori risultati, intesi come numero di dati rientranti nel campo di 0.3 in valore assoluto.

4) La percentuale di detti dati rispetto ai dati possibili.

5) Il numero dei dati, che hanno dato esito negativo per la stessa curva di attività.

6) La percentuale di questi dati rispetto ai risultati possibili.

Per ciascun gruppo di curve di attività e per ciascuna delle cinque formule di calcolo sono state fatte le verifiche sopra specificate.

I grafici sono tutti quotati.

Curve rettilinee.

Figura 1. Curve di attività rettilinee.

Si tratta di sei rette con leggere variazioni del coefficiente angolare, più la retta di colore verde, che rappresenta il legame covalente tra le molecole di emoglobina e quelle di glucosio.

La retta di colore verde è quella che corrisponde all’ipotesi che il legame tra emoglobina e glucosio sia stabile e indissolubile, per cui le molecole partecipano al legame tutte allo stesso modo, quelle del primo giorno di vita come quelle del novantesimo giorno di vita.

Permangono forti dubbi sul fatto che ciò sia plausibile, perché le molecole più giovani sono nel pieno del loro vigore e completezza morfologica e indubbiamente si prestano meglio al legame con il glucosio rispetto alle molecole, che hanno 90 giorni di vita e che possono essere abbastanza malandate, poiché sono prossime alla fine.

Assumendo i valori della retta verde nelle funzioni, che legano l’emoglobina glicata alla glicemia media, si arriva a risultati inverosimili, per cui la retta di colore verde non trova riscontro nei referti dei laboratori e ciò comporta che il legame tra le molecole di emoglobina e quelle di glucosio non può essere di tipo covalente, ma deve essere necessariamente un legame di altra natura.

Tutte le rette sottendono la stessa area, cioè hanno lo stesso integrale da 1 a 90 uguale a tremila.

Le formule sono sinteticamente indicate con le lettere Q, O, S, m e M, che indicano rispettivamente le formule  (Hb46), (Hb86), (Hb77), (HbMed) e (HbMedTot).

Dai dati generali di precisione dei risultati si segnala la formula (Hb77) e per lo scarto minimo si segnala l’(HbMedTot).

Dai dati approssimati allo 0.3% in valore assoluto si segnalano le formule (Hb46), (Hb77), (HbMed) e (HbMedTot).

Si tratta comunque di risultati non molto significativi, perché si mescolano i dati relativi alle varie curve di attività.

Curve esponenziali.

Figura 2. Curve di attività esponenziali.

Dai dati generali di precisione dei risultati si segnala la formula (Hb77) per l’esattezza e dell’(HbMedTot) per lo scarto medio minimo.

Dai dati approssimati allo 0.3% in valore assoluto, si segnala la formula (HbMed).

 Si tratta comunque di risultati non molto significativi, perché si mescolano i dati relativi alle varie curve di attività.

Curve a gradoni.

Figura 3. Curve di attività a gradoni.

Tutte le curve hanno un’area sottesa di 3000, affinché siano confrontabili tra loro.

I grafici sono quotati e i valori sono desumibili dalle quotature.

La curva di colore rosso considera che i valori si possano considerare costanti nell’arco di un mese, per cui si avranno tre valori, uno per il primo mese, uno per il secondo e un altro per il terzo mese.

I valori del primo mese sono i maggiori tra i coefficienti di attività.

I valori di glicemia media e di HbA1c (%) forniti dal programma assumendo la distribuzione dell’attività della curva di colore rosso non corrispondono ai dati rilevati dai laboratori di analisi, per cui la curva di colore rosso deve essere ritenuta poco idonea a rappresentare i coefficienti di attività nei novanta giorni precedenti.

La curva di colore blu considera che i valori dell’attività possano rimanere costanti per una quindicina di giorni, per cui si avrà un valore per i primi quindici giorni, uno per i secondi quindici giorni e così via.

Nei primi quindici giorni si hanno i valori massimi, che vanno diminuendo man mano che ci si sposta verso le date antecedenti.

I risultati forniti dal programma, tenendo per buona la curva di attività di colore blu, migliorano notevolmente rispetto a quelli che si hanno con le curve di colore rosso.

La curva GBN66 blu è tenuta in evidenza per il confronto con le migliori curve, che saranno esaminate in seguito.

Dai dati generali di precisione dei risultati si segnala la formula (Hb77) per l’esattezza e dell’(HbMedTot) per lo scarto medio.

Dai dati approssimati allo 0.3% in valore assoluto, si segnala la formula (HbMed).

 Si tratta comunque di risultati non molto significativi, perché si mescolano i dati delle varie curve di attività.

Notevole è il risultato del 93,33% ottenuto dalla curva BN66 nella formula dell’(HbMed).

Data la notevole quantità di risultati sottoposti a verifica, la trattazione continua nel prossimo post.

Diabete. Confronto di verifica tra le formule di emoglobina glicosilata HbA1c(%) in funzione della glicemia media GA(mg/dl).

Scritte le formule dell’HbA1c percentuale in funzione della glicemia media in mg/dl, occorre fare una verifica seria ed accurata sulla bontà delle formule, soprattutto in funzione delle curve di attività dell’emoglobina glicata.

Ciascun grafico dell’attività dell’emoglobina glicata ha alle ascisse i giorni precedenti, da 1 a 90.

Alle ordinate ci sono i parametri di attività, che saranno successivamente divisi per 100.

Per rendere confrontabili i diversi grafici si è assunta costante l’area sottesa dalle curve di attività e pari a 3000.

Il programma in VBA (Visual Basic Application) di Excel elabora il conteggio della glicemia media assegnando a ciascun giorno un coefficiente di attività dedotto dalla curva di attività.

Sono stati presi in esame trentadue grafici di attività e si è fatto il confronto dei risultati del calcolo con i dati dei referti forniti da quindici analisi di laboratorio, che sono stati assunti come valori di controllo.

I referti dei laboratori di analisi presi in considerazione si riferiscono ad analisi effettuate negli anni 2010- 2014, sempre con lo stesso laboratorio di analisi e lo stesso paziente.

I quindici risultati dei referti nell’ordine sono stati:

1) 7,1;  2) 6,4;  3) 6,4; 4)6,7; 5)6,3; 6)6,4; 7)6,4; 8)5,8; 9)6,1; 10)6,3; 11)6,3; 12)6,3; 13)7,1; 14)6,3; 15)7,2

Con questi valori di controllo saranno confrontati i dati forniti dal calcolo in base alle curve di attività per cercare di scoprire quale sia la curva di attività più affidabile.

Le curve di attività sono state raggruppate in base alle loro caratteristiche per poter scegliere il tipo di attività più consono con i risultati dei referti.

Sono state analizzate curve di attività relative ad andamenti:

a gradoni; a gradini; rette; esponenziali; a campana.

Le figure riportano gli andamenti delle curve di attività e attraverso le quote si possono determinare i valori per ciascuna curva.

Le curve di attività sono state analizzate al fine di determinare la curva, che desse maggiore affidamento dal punto di vista dei risultati.

Curve a gradoni.

Figura 1. Andamento a gradoni dell’emoglobina attiva in funzione dei 90 giorni precedenti.

Tutte le curve avranno un’area sottesa di 3000, affinché siano confrontabili tra loro.

I grafici sono quotati e i valori sono desumibili dalle quotature.

La retta di colore verde è quella che corrisponde all’ipotesi che il legame sia stabile e indissolubile, per cui le molecole partecipano al legame tutte allo stesso modo, quelle del primo giorno di vita come quelle del novantesimo giorno di vita.

Permangono forti dubbi sul fatto che ciò sia plausibile, perché le molecole più giovani sono nel pieno del loro vigore e completezza morfologica e indubbiamente si prestano meglio al legame rispetto alle molecole che hanno 90 giorni di vita e che possono essere abbastanza malandate, poiché sono prossime alla fine della loro vita.

Assumendo i valori della retta verde nelle funzioni che legano l’emoglobina glicata alla glicemia media si arriva a risultati inverosimili, per cui la retta di colore verde non trova riscontro nei referti dei laboratori e ciò comporta che il legame tra le molecole di emoglobina e quelle di glucosio non può essere di tipo covalente, ma sarà un legame di altra natura.

La curva di colore rosso considera che i valori si possano considerare costanti nell’arco di un mese, per cui si avranno tre valori, uno per il primo mese, uno per il secondo e un altro per il terzo mese.

I valori del primo mese sono i maggiori tra i coefficienti di attività.

I valori di glicemia media e di HbA1c forniti dal programma assumendo la distribuzione dell’attività della curva di colore rosso non coincidono con i dati rilevati dai laboratori di analisi, per cui la curva di colore rosso deve essere ritenuta poco idonea a rappresentare i coefficienti di attività nei novanta giorni precedenti..

La curva di colore blu considera che i valori dell’attività possano rimanere costanti per una quindicina di giorni, per cui si avrà un valore per i primi quindici giorni, uno per i secondi quindici giorni e così via.

Nei primi quindici giorni si hanno i valori massimi, che vanno diminuendo man mano che ci si sposta verso le date antecedenti.

I risultati forniti dal programma, tenendo per buona la curva di attività di colore blu, migliorano rispetto a quelli che si hanno con le curve di colori verde e rosso ma non sono soddisfacenti.

La curva di colore giallo considera che i valori dell’attività possano rimanere costanti per una settimana, per cui si avrà un valore per i primi sette giorni, uno per i secondi sette giorni e così via.

Nei primi sette giorni si hanno i valori massimi, che vanno diminuendo man mano che ci si sposta verso le date antecedenti.

I risultati forniti dal programma, tenendo per buona la curva di attività di colore giallo, non sono soddisfacenti.

La retta di colore verde sarà considerata successivamente tra le curve rette, mentre la curva di colore giallo sarà considerata successivamente tra le curve a gradini.

Tra le curve a gradoni rimangono le curve di colore rosso e quella di colore blu.

Curve a gradini.

Le curve a gradini considerano che l’attività rimanga costante per sette giorni e successivamente cambi valore settimanalmente.

Figura2. Andamento a gradini dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Curve rette.

Figura 3. Andamento secondo rette dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Figura 4. Andamento secondo rette intersecantisi dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Curve esponenziali.

Figura 5. Andamento esponenziale dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Figura 6. Andamento esponenziale (altre curve) dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Curve a campana.

Figura 7. Andamento a campana (primo esempio) dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Figura 8. Andamento a campana (secondo esempio) dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

Figura 9. Andamento a campana (terzo esempio) dell’emoglobina attiva rispetto ai 90 giorni precedenti.

L’indagine è stata abbastanza approfondita.

Occorre procedere al confronto tra i risultati reali delle analisi e quelli previsti dalle varie curve allo scopo di individuare la curva dell’emoglobina attiva, che più si avvicina ai risultati reali delle analisi.

Diabete. Formule dell’emoglobina glicata in funzione della glicemia media.

È molto importante nel diabete considerare l’emoglobina glicata (o glicosilata) come un indice dell’andamento della glicemia nel periodo di vita dei globuli rossi, che contengono l’emoglobina.

I globuli rossi vivono in genere da 90 a 120 giorni.

La presenza contemporanea nel sangue sia dell’emoglobina sia del glucosio fa sì che alcune molecole di emoglobina si leghino ad alcune molecole di glucosio.

Le molecole di emoglobina combinate con quelle del glucosio si dicono glicate o glicosilate.

Il numero di molecole di emoglobina glicate è indubbiamente influenzato dalla concentrazione del glucosio nel sangue e da quella dell’emoglobina.

Si può ritenere che le molecole di emoglobina glicate siano un indice dell’andamento della glicemia media negli ultimi tre mesi.

L’emoglobina per tutta la sua vita è soggetta alla glicazione, nel senso che una certa percentuale di molecole di emoglobina è legata al glucosio.

La maggior parte dei legami si ha per le molecole di emoglobina più giovani e una parte minima per le molecole di emoglobina, che hanno una certa età e sono prossime a finire.

L’andamento dell’emoglobina glicosilata dipende dalla media della glicemia.

Il problema consiste nel modo di calcolare la glicemia media.

Il legame, che lega le molecole dell’emoglobina a quelle del glucosio, è ritenuto da molti come un legame covalente, indissolubile e che dura finché le molecole di emoglobina sono in vita, cioè circa tre mesi.

Questo fatto si ritiene scarsamente plausibile.

Più credibile sembra che il legame tra emoglobina e glucosio non sia di tipo covalente e che le molecole glicate si legano e, dopo un tempo limitato, si slegano.

Si ritiene che il legame tra emoglobina e glucosio non duri a lungo.

Mentre alcune molecole si slegano, altre molecole si legano, per cui la percentuale di molecole glicate rimane pressoché costante.

Il legame considerato di tipo covalente non convince e molti studiosi ipotizzano altri tipi di legame.

Personalmente penso che il legame non sia indissolubile e che le molecole di emoglobina e quelle di glucosio si leghino e si sleghino in continuazione, rimanendo costante la percentuale di molecole, che istante per istante sono legate.

Il legame emoglobina-glucosio è attivo solo per una piccola parte di molecole, per una percentuale, che è quella che è indicata come emoglobina glicosilata percentuale, che assume valori dal 5% al 10% o poco più.

Certamente le molecole, che partecipano al legame, quelle più attive non sono indistinte, ma si ritiene che il legame interessi di preferenza le molecole più giovani, ritenendo che le molecole, che hanno già una certa età, possano essere in condizioni non ottimali per legarsi al glucosio.

Il problema è di considerare la distribuzione in percentuale delle molecole, che si legano in base alla loro età.

Un altro fatto da considerare è se una glicemia uguale a 100 mg/dl si comporta allo stesso modo di una glicemia uguale a 200 mg/dl o a 300 mg/dl ai fini della glicazione.

Sembra evidente che all’aumentare della glicemia si rende disponibile una maggior quantità di molecole di glucosio nel sangue e quindi deve aumentare il numero di molecole di emoglobina glicosilate.

Gli studiosi hanno preparato alcune formule, che legano l’emoglobina glicosilata HbA1c(%) alla glicemia media (AG = Average Glucose).

Da qualche anno sembra che la formula più moderna della glicemia media in funzione dell’emoglobina glicata sia rappresentata dalla seguente:

AG(mg/dl) = HbA1c(%) * 28.7 – 46.7

che è la formula proposta dall’americana ADAG (A1c-Derived Average Glucose).

Da questa formula si ricava il valore dell’emoglobina glicata in funzione della glicemia media:

HbA1c(%) = (46.7 + AG(mg/dl))  / 28.7

Nelle formule figura la glicemia media AG(mg/dl), che non deve essere considerata come media aritmetica dei valori della glicemia negli ultimi tre mesi, ma deve essere elaborata tenendo presente le condizioni di variabilità della glicemia media in funzione del valore della glicemia e dell’età delle molecole di emoglobina, cioè dell’attività delle molecole di emoglobina, che è variabile lungo i novanta giorni di vita dell’emoglobina.

Per tenere conto dell’attività delle molecole di emoglobina occorre moltiplicare il valore della glicemia per il coefficiente di attività dedotto dalle curve di attività, che tengono conto dei diversi valori di attività dell’emoglobina in base alla sua età.

Sono stati sperimentati settantacinque tracciati di curve di attività percentuale in funzione dei novanta giorni precedenti.

La glicemia da introdurre nella formula è influenzata dai singoli valori della glicemia misurata con l’autocontrollo.

Se i valori della glicemia, moltiplicati per i coefficienti di attività, sono sommati e alla fine divisi per il numero di valori di glicemia considerati, non si determina un valore valido della glicemia media, per cui la formula non fornisce un valore accettabile dell’emoglobina glicosilata.

Il discorso deve essere approfondito considerando che all’aumentare della glicemia, cioè delle molecole di glucosio presenti nel sangue, in un volume costante che è quello del sangue, aumenta il numero dei contatti tra emoglobina e glucosio con conseguente aumento delle molecole di emoglobina glicate.

L’aumento della glicemia si traduce in un aumento del valore dell’emoglobina glicosilata.

Non si può tuttavia ipotizzare una proporzionalità diretta tra emoglobina glicosilata e valore della glicemia.

Per glicemia nel sangue capillare maggiore di 105 mg/dl nel calcolo della glicemia media occorre introdurre un fattore, che sia proporzionale alla glicemia e controllato da un coefficiente K1 di riduzione.

Il valore del coefficiente K1 è stato determinato per approssimazioni successive e si può ritenere uguale a circa 0.01.

In definitiva il singolo valore della glicemia nel sangue capillare, ottenuto con l’autocontrollo, tenendo conto di quanto detto, ha effetto sulla glicemia media nel modo seguente.

Indicando con:

G = singolo valore della glicemia nel sangue capillare.

CA = Coefficiente di attività percentuale, che deve essere diviso per 100.

Ceq = Coefficiente d’equilibrio dipendente dal numero dei valori di glicemia considerati nei novanta giorni.

Il singolo valore G della glicemia nel sangue capillare dà un contributo:

Se G <106 mg/dl:

G* CA / (100 * Ceq)

          Altrimenti:

K1 * G2 * CA / (100 * Ceq)

Nel sangue venoso la glicemia media (AG (mg/dl)) da introdurre nella formula dell’emoglobina glicosilata è:

AG (mg/dl) = KCV + [K /(100 * NvalG)] * {Σm(G* CA) + K1 *ΣM(G2 * CA )}

dove:

G è il valore della glicemia misurata sul sangue capillare.

KCV è uguale alla differenza tra glicemia misurata nel sangue venoso e glicemia misurata nel sangue capillare.

Il valore di KCV è da considerarsi valore individuale, soggettivo dipendente dal singolo paziente, ma in prima approssimazione tale valore si può considerare uguale a venti.

NvalG = Numero dei valori di glicemia nel sangue capillare considerati nei 90 giorni, con più valori nello stesso giorno.

K = Coefficiente di bilanciamento del valore di NvalG.

K si può ritenere uguale circa a 3.06.

Il valore di K è stato determinato per successive approssimazioni su un numero molto grande di test e il valore si ritiene ormai abbastanza stabilizzato.

CA = Coefficiente di attività percentuale variabile di giorno in giorno, tratto dalle curve di attività e che deve essere diviso per 100.

Σm è la sommatoria estesa a tutti i valori di G minori di 106 mg/dl.

ΣM è la sommatoria estesa a tutti i valori di G maggiori di 105 mg/dl.

Complessivamente la somma delle sommatorie (Σm + ΣM)è estesa a tutti i valori delle glicemie misurate nei novanta giorni.

Introducendo l’AG(mg/dl) così calcolata come glicemia media nella formula (Hb46) si hanno valori di HbA1c(%) plausibili con i valori misurati dedotti dai referti dei laboratori di analisi.

(Hb46)   HbA1c(%) = (46.7 + AG(mg/dl)) / 28.7

Per indicare questa formula usiamo la sigla (Hb46), prendendo spunto dal termine noto 46.7.

La formula considerata è quella proposta dall’ADAG.

Esistono altre formule, che legano l’HbA1c% alla glicemia media AG(mg/dl).

La glicemia media AG(mg/dl) deve essere calcolata come sopra per essere introdotta nelle diverse formule.

Un’altra formula tratta dai testi in uso nella Facoltà di Medicina (Chimica Clinica) si presenta nella forma seguente:

AG(mg/dl) = 33.3 * HbA1c(%) – 86

da cui:

(Hb86)   HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 86) / 33.3

Questa formula è contraddistinta dalla sigla (Hb86) con riferimento al termine noto.

Un’altra formula, da Rohlfing CL e collaboratori Diabetes Care, si presenta nella forma:

AG(mg/dl) = 35.6 * HbA1c(%) – 77.3

da cui:

(Hb77)   HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 77.3) / 35.6

Questa formula è contraddistinta dalla sigla (Hb77) con riferimento al termine noto.

I risultati, che le varie formule comportano, sono leggermente diversi.

Si ritiene necessario fare un confronto approfondito per verificare quale delle tre formule risponda meglio ai dati contenuti nei referti di laboratorio.

In ottemperanza al teorema della media dell’Analisi Matematica si considerano altre due formule:

La seguente formula considera la media tra la (Hb77) e la (Hb86).

AG(mg/dl) = 34.44 * HbA1c(%) – 81.89

da cui:

(HbMed)           HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 81.89) / 34.44

La formula seguente considera la media delle formule (Hb46), (Hb86) e (Hb77):

AG(mg/dl) = 32.30 * HbA1c(%) – 68.86

da cui:

(HbMedTot)     HbA1c(%) = (AG(mg/dl) + 68.86) / 32.30

Le formule rappresentano equazioni di primo grado nelle due variabili HbA1c(%) e AG(mg/dl), che nel piano cartesiano si rappresentano con delle rette.

Il coefficiente angolare è positivo, per cui le rette sono crescenti e l’HbA1c cresce con la glicemia AG(mg/dl).

Non esiste una proporzionalità diretta tra emoglobina glicosilata e valori della glicemia, nel senso che a un raddoppio della glicemia non corrisponde un raddoppio dell’emoglobina glicosilata.

Il termine noto positivo sta a indicare che, per glicemia uguale a zero, l’HbA1c ha un valore positivo un poco maggiore di due.

Questa condizione non è da prendere in considerazione, perché l’emoglobina glicosilata non può prendere valori minori di quattro e la glicemia media non può assumere valori inferiori a 70 mg/dl, che sono un limite ipoglicemico teorico non raggiungibile.

La glicemia media minima raggiungibile è di circa 90 mg/dl, che rappresenta un valore minimo, perché non si può ritenere che il paziente permanga nello stato ipoglicemico per lunghi periodi, tali da abbassare il valore della glicemia media.

Figura 1. Rette che rappresentano le formule dell’emoglobina glicosilata in funzione della glicemia media.

Le rette in figura sono anche distinguibili per la colorazione.

I colori sono: il verde per (Hb77), rosso per (HbMed), il marrone per (Hb46), il nero per (HbMedTot) e il blu per (Hb86).

Sono tratteggiate le rette (Hb46) e (Hb86).

Dalle equazioni delle rette (Hb77), (Hb86) e (HbMed) si può notare che le tre rette hanno quasi lo stesso coefficiente angolare: 0.0281 per (Hb77), 0.0300 per (Hb86) e 0.0290 per (HbMed), per cui si possono ritenere all’incirca parallele tra di loro.

Dall’equazione della retta (Hb46) si nota che la stessa ha un coefficiente angolare di 0.0348, che è maggiore dei coeffcienti angolari delle tre rette indicate prima, per cui la retta di (Hb46) è maggiormente inclinata rispetto alle tre rette (Hb77), (Hb86) e (HbMed).

Dall’andamento delle curve si nota che intorno a 125 mg/dl di glicemia si hanno quasi gli stessi valori di HbA1c(%) uguali a circa il 6% per le rette delle formule (Hb46), (HbMed), (HbMedTot), mentre (Hb77) dà valori inferiori (circa 5.7%) e (Hb86) dà valori maggiori (circa 6.3%).

Dal grafico si vede come (HbMed), la retta di colore rosso si trova in mezzo tra (Hb77) , la retta di colore verde e (Hb86), la retta tratteggiata di colore blu.

Si nota anche che la retta tratteggiata di colore marrone, che rappresenta l’(Hb46), all’aumentare della glicemia si discosta sempre di più dalle altre rette dando valori di HbA1c(%) sempre maggiori rispetto a quelli previsti dalle altre rette.

La retta di colore nero (HbMedTot) è influenzata dalla retta tratteggiata di colore marrone (Hb46) e cresce un poco rispetto alla retta di colore rosso (HbMed) all’aumentare della glicemia.

In corrispondenza del valore della glicemia media di 250 (mg/dl) i valori di HbA1c(%) tra le varie rette differiscono, avendo: (Hb77) 9.2, (HbMed) 9.7, (HbMedTot) 9.9, (Hb86) 10, (Hb46) 10.3.

Con valori di glicemia media di 250 (mg/dl) si ha una differenza tra i valori massimo (Hb46) e minimo (Hb77) di HbA1c (%) uguale a 1.1 (%), che è più del 10%.

Per una HbA1c(%) uguale al 6% la glicemia media ha valori diversi secondo la formula considerata.

Il valore più piccolo lo dà la retta (Hb86) 114 mg/dl, (HbMed) 125 mg/dl, (HbMedTot) 125 mg/dl, (Hb46) 126, (Hb77) 136 mg/dl.

Per una HbA1c(%) uguale all’8% la glicemia media varia secondo la formula considerata.

Si hanno i seguenti valori della glicemia media: (Hb86) 180 mg/dl, (HbMed) 194 mg/dl, (HbMedTot) 190 mg/dl, (Hb46) 182, (Hb77) 207 mg/dl.

Di fronte alla diversità dei risultati di queste formule si può rimanere disorientati e chiedersi quale sia la formula da preferire nel calcolo.

Occorre ricercare quale sia la formula, che dia i risultati maggiormente attendibili, per cui occorre sottoporre a verifica le varie equazioni confrontando i risultati forniti dal calcolo con i risultati dei referti di laboratorio.

Diabete. Errori teorici e operazionali.

Il diabete è una malattia cronica, che affligge una grande quantità di pazienti e, purtroppo, essa è in costante continuo aumento nel mondo.

Ciò significa che le cure, che la medicina offre, sono insufficienti.

Non ci sono all’orizzonte speranze di miglioramento.

I medici sono attanagliati nei criteri di cura usuali e non possono fornire un aiuto migliore per la cura del diabete.

Indubbiamente ci sono degli errori, in parte teorici e in parte operazionali.

Si concentra l’attenzione, ad es., sulla glicemia, cioè sul contenuto di glucosio nel sangue.

Il glucosio presente nel sangue non è la causa della malattia, è una sua conseguenza.

La causa della malattia deve essere cercata nel fatto che il diabetico, contrariamente alle persone sane, alla fine della glicolisi dal piruvato sviluppa, oltre all’Acetil-coenzimaA, una certa quantità di acido lattico sotto forma di lattato, che è un ione dell’acido lattico.

Questo lattato con la gliconeogenesi è trasformato ancora in glucosio, che ritorna in circolo per essere in parte ancora trasformato in lattato.

Questo ciclo del lattato è tipico dei pazienti diabetici.

Si è notato che la formazione dell’acido lattico diminuisce con l’ossigenazione del tessuti e con una buona compensazione del diabete.

Mantenere un’emoglobina glicosilata intorno al valore 6%, sfavorisce la formazione di acido lattico.

L’acido lattico si accumula nei muscoli e, se è eccessivo, finisce per bloccarli, con manifestazioni dolorifiche molto fastidiose.

Parte fondamentale della cura del diabete dovrebbe essere l’ossigenazione dei tessuti, che è fondamentale per contrastare la formazione dell’acido lattico, che si forma dal piruvato in difetto di ossigeno.

L’ossigeno è trasportato dal sangue e occorre prestare molta attenzione ai valori messi in risalto dalle analisi e intervenire per correggere eventuali difetti a livello di ossigenazione dei tessuti.

Un errore molto evidente sta nel dosaggio dell’insulina.

Si è più volte parlato di regolazione statica, assolutamente da evitare, cioè di regolazione dell’insulina in base al valore della glicemia.

È un errore il dosaggio dell’insulina in base al valore della glicemia.

Maggiore è il valore della glicemia, maggiore è il dosaggio dell’insulina.

Questo è sbagliato, perché crea instabilità nella glicemia e non tiene conto che, per es., per valori alti della glicemia, c’è il fenomeno della glicosuria e che il pancreas è stimolato a produrre più insulina naturale, per cui può anche diminuire il fabbisogno dell’insulina da iniettare dall’esterno.

La regolazione statica è instabile e porta a forti oscillazione della glicemia tra alti e bassi, per cui si passa da stati iperglicemici a rischi di forti ipoglicemie, assai pericolose.

L’unica regolazione accettabile è quella mediante feedback, cioè quella che osserva l’andamento della glicemia con un certo dosaggio dell’insulina e poi regola l’insulina a seconda della risposta in termini di glicemia.

Per poter fare questo lavoro e migliorare considerevolmente la compensazione della glicemia occorre l’autocontrollo della glicemia e l’elaborazione al computer dei valori glicemici.

L’autocontrollo deve consistere in almeno quattro analisi al giorno a digiuno della glicemia e nell’inserimento dei valori della glicemia nel computer, che con un apposito software elabora i valori e stabilisce il dosaggio ottimale dell’insulina.

Il software riceve in input i valori della glicemia misurati a digiuno sul sangue capillare quattro volte al giorno mediante autocontrollo e in particolare la mattina, a mezzogiorno, la sera e la notte prima di coricarsi.

Il software elabora i dati e fornisce una tabella in cui in funzione del tempo (mattina, mezzogiorno, sera, notte) si hanno, suddivisi in scaglioni glicemici (<70-90-120-140-160-180>) i dosaggi dell’insulina.

Il software è in grado di stabilire se un certa dose insulinica è appropriata o deve essere variata.

La verifica avviene ogni dieci giorni e, quando il dosaggio è stabilizzato, accade raramente che si verifichino variazioni nel dosaggio e in ogni caso la variazione consigliata comporta una sola unità d’insulina in più o in meno nel settore in cui è necessario aggiornare il dosaggio.

Le variazioni nel dosaggio insulinico devono essere sempre preventivamente approvate dal medico curante, che deve avere il pieno controllo della terapia e giovarsi dell’ausilio del computer.

Quando il dosaggio è stabilizzato accade raramente che si verifichino delle variazioni, anche se si deve notare che il fabbisogno d’insulina decresce dopo due o tre anni.

La tabella dei dosaggi è inizialmente continuamente ottimizzata, finché si arriva a un dosaggio ottimale dell’insulina.

Al dosaggio ottimale corrisponde una compensazione intorno ai valori di glicemia di 125 mg/dl e una certa costanza dei valori glicemici, tanto che la deviazione specifica, calcolata dal computer, si assesta su valori intorno ai 30 mg/dl.

Raggiunta la compensazione, si raggiunge un’emoglobina glicosilata che si attesta intorno al 6%, valore al limite per le persone sane non diabetiche.

L’autocontrollo ha quindi un valore fondamentale per la cura del diabete e non può essere trascurato.

L’autocontrollo ha anche un effetto psicologico, perché in base al valore rilevato della glicemia il paziente mangia di meno, se la glicemia è alta, o si può permettere qualche piccola leccornia, se la glicemia è bassa.

Il computer stabilisce la dose d’insulina, che è quella dose che il pancreas non riesce a secernere a causa della malattia.

Il pancreas non può secernere tutta l’insulina necessaria, di cui il paziente ha bisogno e allora si inietta dall’esterno la parte mancante nella dose esatta suggerita dal computer.

Il diabete in queste condizioni risulta molto ben controllato o, come dicono i medici, molto ben compensato.

Si è notato che le complicanze diabetiche spariscono mantenendo un’emoglobina glicosilata intorno al 6%.

Tenere una buona compensazione intorno a una glicemia media di 125 mg/dl è al momento la condizione migliore per combattere il diabete.

Oggi i medici stabiliscono il dosaggio dell’insulina con metodi empirici e i pazienti sono afflitti da altissimi valori di glicemia, seguiti da forti ipoglicemie e questo non è certamente l’ideale per la salute dei pazienti.

Normalmente è un dosaggio eccessivo d’insulina, che provoca instabilità nella glicemia con forti iperglicemie e ipoglicemie molto rischiose.

L’eccesso d’insulina provoca delle forti ipoglicemie per cui il paziente si ciba di zuccheri per far salire la glicemia, che sale oltre il normale e si va incontro a forti iperglicemie.

Il paziente va dal medico e gli dice la glicemia è arrivata a 300 mg/dl e il medico gli aumenta il dosaggio dell’insulina.

Peggio che andar di notte.

Il fenomeno degli alti e bassi nella glicemia si esalta e il paziente soffre di questa instabilità glicemica.

Il medico dovrebbe approfondire il discorso e farsi spiegare le circostanze per cui la glicemia è arrivata così in alto e invitare il paziente ad assumere minori quantità di zuccheri per l’ipoglicemia e diminuire il dosaggio dell’insulina, che è la causa prima dell’alternanza dei valori alti e bassi della glicemia.

L’instabilità glicemica è uno dei peggiori inconvenienti nella cura del diabete.

Dall’esame delle pessime statistiche, che si riferiscono ai pazienti diabetici viene da chiedersi se vale la pena di avere una spesa sanitaria così eccessiva per avere un servizio largamente deficitario legato al modo sbagliato di affrontare la cura del diabete.

Il concetto è semplice.

Nel diabete mellito il pancreas non ce la fa a produrre tutta l’insulina, che sarebbe necessaria, per cui bisogna iniettare dall’esterno quella parte d’insulina, che il pancreas non riesce a produrre.

Il problema sta nel dosaggio.

Il dosaggio in termini empirici è fallimentare, mentre il dosaggio computerizzato è largamente accettabile per la compensazione ottimale del diabete.

Una volta raggiunto l’obiettivo di fermare lo sviluppo delle complicanze diabetiche risulta inutile sottoporsi a visite ravvicinate da parte di specialisti per esaminare lo stato degli occhi, del cuore e di tutte le altre patologie, cui sarebbe soggetto il paziente diabetico non ben compensato

Si avrebbe un notevolissimo risparmio nella spesa sanitaria, perché se il problema del diabete è ben risolto, è inutile spendere delle risorse per visite specialistiche, che con l’andar del tempo rischiano di risultare inutili.

Occorre riposizionare le specialistiche mediche e mobilitare i medici di base, per affrontare correttamente la patologia diabetica.

Se si forniscono al medico di base i risultati dell’elaborazione al computer dei valori della glicemia durante il giorno e i referti di analisi del sangue, il medico è in grado di fronteggiare la malattia con tutto quello, che serve per una buona cura.

Ci possono essere pazienti che hanno già conseguito complicanze diabetiche e per essi è necessario far fare visite specialistiche per arginare le complicanze, ma si sa che mantenendo ben compensata la glicemia le complicanze sono destinate a scomparire.

Da questo quadro ne esce un risparmio enorme nella spesa sanitaria, non solo quella sostenuta dallo Stato ma anche quella a carico dei pazienti, per es., per visite in intramoenia.

Nelle sale d’attesa degli ambulatori dei medici di base i pazienti colloquiano tra di loro e vengono fuori pregi e difetti nel comportamento di alcuni medici.

Il proprio medico di base è ritenuto sempre “il migliore” nel giudizio della stragrande maggioranza dei pazienti, che si sono espressi sulla professionalità del proprio medico.

Una signora del sud ha citato un proverbio dell’antica saggezza popolare: “U mericu, sa ci anzetta è bonu, sa nun ci anzetta è sceccu”, che tradotto in italiano vuol dire: “Se il medico indovina è bravo, se sbaglia è un asino.”

Non si sa quanto di vero ci sia in questo proverbio al giorno d’oggi, ma sicuramente l’espressione è abbastanza colorita.

 Alcuni pazienti denunciano che certi medici tenderebbero a non fare guarire completamente i pazienti per effettuare una serie infinita di visite di controllo private a pagamento.

È stato raccontato che alcuni medici specialisti s’inventerebbero patologie anche gravi inesistenti allo scopo di assicurarsi una sicura rendita per visite a pagamento.

Non penso che siano così numerosi questi cattivi soggetti in termini tali da rendere un servizio, che getterebbe discredito su tutta la categoria.

La generalità dei medici è molto ben preparata e coscienziosa e segue al meglio i propri pazienti.

Quando un medico riesce a guarire un paziente con le cure appropriate riceve una certa forma di gratifica per il proprio lavoro.

Purtroppo ciò non è possibile per le malattie croniche, che per definizione non sono guaribili, però si può fare in modo di mettere in atto cure moderne in grado di migliorare le condizioni generali dei pazienti e fornire lo stesso una certa forma di gratifica per i medici.

Da quanto sopra si evince l’importanza dell’autocontrollo, sia in termini psicologici sul paziente, sia in termini di aggiustamento e controllo della cura, onde ottimizzarla ad opera dei medici.

È necessario un salto di qualità.

Occorre che i pazienti abbiano a disposizione l’ausilio del computer per curare al meglio la propria patologia.

Non sempre è compresa l’importanza dell’autocontrollo.

Molti medici ritengono che la glicemia sia una grandezza costante, che varia poco da un giorno all’altro, da un momento all’altro.

La glicemia è una grandezza istantanea, i cui valori sono istantanei e ciò significa che il valore della glicemia varia istante per istante e dipende soprattutto da quello che si mangia.

Un pasto abbondante spinge in alto i valori della glicemia, mentre un pasto molto scarso può provocare un’ipoglicemia.

Un pasto equilibrato è fondamentale per un buon andamento nella cura del diabete.

Occorre imparare a dosare bene i pasti in modo da bilanciare perfettamente le energie, che è prevedibile spendere durante la giornata.

L’energia che si spende durante il giorno deve essere fornita tramite i pasti.

Se si mangia di più s’ingrassa e si va in iperglicemia

Se si mangia di meno si dimagrisce e si va verso l’ipoglicemia.

Il buon mantenimento dei valori glicemici è legato al sapiente dosaggio dei pasti e al controllo constante della glicemia mediante computer, che fornisce il valore più appropriato del dosaggio dell’insulina.

La terapia insulinica di maggior effetto sembra essere quella del basal bolus, che prevede quattro iniezioni d’insulina al giorno.

Tre iniezioni sono previste ai pasti, la quarta è prevista prima di andare a dormire.

Mantenendo un’emoglobina glicosilata intorno al 6% si osserva che a poco a poco il fabbisogno giornaliero dell’insulina diminuisce.

La diminuzione del dosaggio insulinico può raggiungere anche il 30% dopo due o tre anni.

Sembra che il sistema di regolazione della glicemia funzioni meglio con valori di emoglobina glicosilata intorno al 6% e che il pancreas secerni una maggior quantità d’insulina, quasi riprendendo a funzionare bene e avviandosi al completo funzionamento ottimale, qual è quello delle persone sane.

Per quanto riguarda l’autocontrollo occorre notare le discrepanze enormi che ci sono tra le varie Asp nel concedere i presidi per le analisi di autocontrollo.

C’è una certa confusione, che dimostra come molti medici non tengano nel dovuto conto l’autocontrollo della glicemia, con ciò facendo mancare un valido aiuto nella cura del diabete.

Mentre alcune Asp prevedono un numero anche di 125 strisce al mese  per le analisi di autocontrollo, in certe Asp si concede un numero irrilevante di 25 strisce ogni quattro mesi.

Intervengono gli assessori regionali alla salute, che prescrivono l’acquisizione di analisi di emoglobina glicosilata e di richieste dettagliate da parte dei medici curanti.

Rendere più complicata la prescrizione dei presidi per l’autocontrollo sicuramente farà diminuire la spesa sanitaria per i presidi, ma a lungo andare aumenterà la spesa sanitaria per l’aumentare delle complicanze, che si instaureranno per il cattivo controllo del diabete.

C’è una certa confusione nel comportamento delle varie Asp e questa confusione è deleteria per la cura dei pazienti diabetici.

Occorrerebbe lasciare i medici curanti liberi di stabilire i termini e le modalità dell’autocontrollo, sempre nell’interesse delle cure ottimali dei pazienti.

Se l’autocontrollo serve per inserire i dati nel computer per un corretto dosaggio dell’insulina, non si dovrebbero porre dei limiti, che rischiano di causare danni irreparabili nella cura del diabete.

La spesa sanitaria trova sicuramente giovamento se si eliminano le complicanze tardive, che comportano anche interventi in sala operatoria e l’impegno di molti medici specialisti.

Penalizzare l’autocontrollo significa peggiorare la spesa sanitaria per la cura del diabete mellito e peggiorare le condizioni mediche dei pazienti diabetici.

Il risparmio nella spesa sanitaria non deve portare a un peggioramento nella cura dei pazienti.

I pazienti che vanno incontro a complicanze avranno bisogno di cure specialistiche e di visite, che in parte saranno in intramoenia e in parte anche visite specialistiche private a pagamento.

Se il paziente non dispone di mezzi finanziari, che gli consentano di ricorrere alle cure specialistiche a pagamento, può significare anche un pessimo andamento della malattia e guai a non finire.

Potrebbe risultare che il limitare la spesa per l’autocontrollo comporti in realtà un probabile peggioramento nella spesa sanitaria, per gli interventi necessari a seguito delle complicanze.

Quello che si vuole ottenere è il miglioramento continuo delle condizioni di salute del pazienti diabetici, con cure sperimentate e certe senza rischiare salti nel buio.

L’autocontrollo rappresenta un mezzo fondamentale per progredire nella cura della patologia diabetica e non può essere trascurato senza peggiorare le condizioni di salute dei pazienti.

Occorre rivedere i sistemi di cura attualmente in vigore eliminando  tutte quelle limitazioni inutili verso questa o quella sostanza nell’alimentazione.

L’alimentazione deve essere il più possibile completa e ben bilanciata per fornire quelle  calorie di cui si ha bisogno.

Mangiare poco o mangiare assai è sbagliato.

Occorre mangiare per acquisire le calorie, che si consumano, cercando di fare pasti che comprendano tutte quelle sostanze di cui il corpo umano ha bisogno per la sua vita quotidiana, senza abusare.

L’autocontrollo, l’alimentazione e il dosaggio insulinico sono gli elementi fondamentali nella cura della patologia diabetica.

Diabete. Dieta, pillole e insulina

Il diabete è una malattia cronica, che affligge sempre un maggior numero di persone.

Il diabete è una malattia, per la quale non è prevedibile una guarigione.

Si può solo cercare di mitigare gli effetti della malattia e di ritardare le complicanze tardive, che sono molto pericolose.

La malattia è caratterizzata dalla presenza di una quantità di glucosio nel sangue maggiore di quella, che si riscontra nelle persone sane.

Nelle fasi iniziali la terapia prevista, prevede la dieta, che comporta una riduzione dei carboidrati (zuccheri) ingeriti con i pasti.

In seguito la malattia presenta un certo aggravamento e i medici prescrivono pillole ipoglicemizzanti, che riducono la glicemia, cioè la quantità di glucosio presente nel sangue.

Quando le pillole non riescono a controllare efficacemente la glicemia, i medici prescrivono le iniezioni d’insulina da fare prima dei pasti.

Il diabete, con il passare del tempo, è caratterizzato dalle complicanze tardive con guai molto seri a carico del cuore, delle arterie, della vista, etc.

La terapia in atto per il diabete è rivolta a ritardare il più possibile le complicanze tardive.

L’evoluzione storica del diabete e tutta qui.

Il paziente diabetico è destinato a passare tutta una serie di guai, che lo porteranno a peggiorare il proprio stato di salute.

Ci si pone la domanda: “È possibile migliorare la terapia del diabete?”

Per rispondere a questa domanda occorre approfondire il trattamento terapeutico riservato al paziente diabetico e vedere se ci sono possibilità di miglioramento della terapia.

La cura del diabete oggi si basa sulla “compensazione glicemica”.

La compensazione glicemica, cioè la compensazione del glucosio che è presente nel sangue, consiste nel controllo abbastanza continuo della glicemia e nel tentativo di mantenerla sotto controllo, per es. tra 70 e 110 mg/dl.

Una quarantina di anni fa un mio amico, al quale era stato diagnosticato il diabete, chiese consiglio a un suo parente, che faceva il medico a Milano.

Il medico gli diede un libro dalla copertina rossa, edito a Bologna, scritto da un autore statunitense, dal titolo “Il diabete mellito” e gli disse: “Comincia a leggere, perché solo la cultura ti può aiutare a capire la tua malattia”.

In questo libro si trattava della dieta.

La particolarità era che si assumeva una certa quantità di pane (circa 50 grammi) come “unità pane”.

L’unità pane aveva un peso (50 grammi) e un contenuto di KiloCalorie (Kcal), 100 Kcal.

Moltissimi cibi erano elencati in base al loro peso corrispondente all’unità pane, assunta come unità di misura.

Per indirizzare il paziente diabetico a controllare la quantità di cibo da ingerire con i pasti, si stabiliva una certa quantità di Kcal da assumere ai pasti in base all’energia spendibile durante la giornata e in particolare in base al lavoro, che il paziente era chiamato a fare.

In base al consumo di Kcal giornaliero si stabiliva il numero delle unità pane da assumere con i pasti.

Durante la giornata una persona, che fa vita sedentaria o un lavoro molto leggero, consuma circa 1800 Kcal, che è la quantità di Kcal che la persona deve assumere con i pasti giornalieri.

Le energie che si consumano durante la giornata devono corrispondere alle energie che si assumono con i pasti.

In tal caso si ha la “compensazione energetica”.

Per ciascun pasto il paziente diabetico deve ingerire il numero di unità pane corrispondenti alle Kcal previste per quel pasto.

Una persona che fa un lavoro non molto faticoso può consumare circa 2400 Kcal durante la giornata.

Una persona che fa un lavoro molto faticoso, con grande dispendio di energie, consuma circa 2800 Kcal al giorno.

Essendo l’unità pane uguale a 100 Kcal, il calcolo delle unità pane è facile, perché basta dividere per 100 il numero delle Kcal giornaliere necessarie per la compensazione energetica.

A 1800 Kcal corrispondono 18 unità pane, a 2400 Kcal corrispondono 24 unità pane e a 2800 Kcal corrispondono 28 unità pane.

La mattina il paziente, che fa colazione con 250 grammi di latte e due biscotti per il latte, consuma 3 unità pane.

Se il paziente aggiunge un caffè zuccherato con una bustina di zucchero, le unità pane salgono a 4.

In genere la mattina occorre consumare il 15% delle unità pane giornaliere, a pranzo circa di 45% delle unità pane e a cena il restante 40% delle unità pane.

Il sistema, che si basa sulle unità pane, consente di controllare in modo agevole le Kcal, che s’immettono nell’organismo con i pasti.

Con le “unità pane”’l’autore ha introdotto un sistema per rendere facile il controllo energetico dei pasti corrispondente all’attività, all’energia spendibile durante il giorno.

Se il paziente supera le unità pane previste per la giornata, assume più energia di quella che consuma, e il sovrappiù finisce per accumularsi sotto forma di grasso.

Se il paziente mangia di meno, si mantiene energeticamente più basso di quello che consuma e dimagrisce.

Occorre sforzarsi di conseguire la compensazione energetica con una certa costanza resa più facile dall’abitudine.

Oggi la compensazione energetica, tuttora validissima, è stata sostituita con la “compensazione glicemica”.

I motivi di questa sostituzione non sono molto chiari.

La compensazione glicemica non garantisce la corrispondenza tra energia spendibile con il lavoro ed energia disponibile acquisita con i pasti.

Un paziente, chiaramente obeso, uscì dall’ambulatorio, dove aveva sostenuto una visita con il diabetologo, tutto euforico, gridando: “Me li posso mangiare.” “Me li posso mangiare 150 grammi di pasta “. “Il dottore mi ha detto che me li posso mangiare.”

Chiaramente il paziente doveva aumentare la quantità d’insulina da iniettare, con il risultato di aumentare ancora la sua obesità.

Avendo aumentato il dosaggio dell’insulina, la glicemia è stata compensata, ma l’eccesso di cibo non necessario è andato a rimpinguare l’adipe già di per sé abbondante.

La compensazione glicemica può avere significato soltanto se è associata al controllo dell’Indice di Massa Corporea, che è il rapporto tra il peso corporeo in Kg e il quadrato dell’altezza misurata in metri.

L’Indice di Massa Corporea non deve superare il valore di 25, perché in tal caso si è in sovrappeso.

L’energia assunta con i pasti deve essere uguale o molto vicina all’energia spendibile, consumabile durante la giornata con il lavoro, le attività hobbistiche, e tutte le attività, che comporta il vivere.

La compensazione glicemica è meno affidabile, meno controllabile della compensazione energetica e comporta rischi maggiori per la salute del paziente diabetico.

Poiché l’altezza del paziente si può ritenere constante dai 20 ai 70 anni, l’Indice di Massa Corporea può essere controllato attraverso il peso corporeo.

Per es., un paziente che è alto 1.75 metri, per avere un Indice di Massa Corporea di 25 deve avere un peso uguale a 25*altezza2 = 25 * altezza * altezza = 76.56 kg.

Controllando che il peso corporeo per un paziente alto 1.75 metri non superi i 77 kg, si controlla automaticamente che l’Indice di Massa Corporea non superi 25 e non si vada in sovrappeso.

Quando si ricorre alla compensazione glicemica, è fondamentale controllare il peso del paziente.

La compensazione energetica è più facile e sicura rispetto alla compensazione glicemica.

La glicemia varia durante la giornata e il paziente non è in grado di capire facilmente come sta andando la sua malattia.

Ogni tre mesi il paziente può fare l’esame dell’emoglobina glicata e il medico può controllare grosso modo com’è andato nel periodo di tre mesi appena trascorso.

Permangono forti dubbi che la compensazione glicemica sia idonea a controllare al meglio la malattia diabetica.

Allo stesso modo è criticabile tutta la gestione terapeutica del paziente diabetico.

Occorre fare chiarezza su quello che accade al paziente diabetico nel corso della terapia consigliata dal medico.

Il medico ha a disposizione tre strumenti terapeutici: la dieta, le pillole ipoglicemizzanti e l’insulina.

All’inizio il medico prescrive la dieta.

Si nota una forte limitazione dei carboidrati (zuccheri), pane e pasta in particolare, con l’esclusione dei dolciumi.

In tal modo si limitano le Kcal e gli zuccheri ingeriti con i pasti.

La dieta, che limita l’apporto dei carboidrati, ha un grave difetto.

Ci si chiede se la dieta è in grado di apportare tutte quelle calorie che sono necessarie per bilanciare quelle consumate durante la giornata.

I medici prescrivono la dieta e non si chiedono se la dieta possa fornire quelle calorie che è necessario spendere durante la giornata.

Il diabetico, che è sottoalimentato in questo caso, dimagrisce e va incontro a peggioramenti nella patologia.

Sappiamo che i cibi che immettiamo nel nostro organismo con i pasti, sono elaborati, trasformati e resi idonei a essere assimilati dalle cellule, che formano tutto l’organismo umano.

Le cellule dell’organismo si nutrono assumendo una sola sostanza, il glucosio.

I carboidrati (pane, pasta, dolci), i protidi (carne, pesce) e i lipidi (olio, lardo, grasso animale, burro) sono tutti trasformati in glucosio.

Le cellule sono rivestite da membrane e il glucosio deve attraversare queste membrane per passare all’interno delle cellule.

Per attraversare le membrane cellulari occorre la presenza di un ormone, che si chiama insulina.

L’ormone insulina è prodotto dal pancreas sotto lo stimolo della glicemia presente nel sangue ed è immesso nel sangue in modo che possa raggiungere tutte le cellule, consentendo al glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule.

La glicemia s’innalza per le sostanze ingerite con i pasti, il pancreas secerne l’ormone insulina e, in presenza d’insulina, il glucosio oltrepassa le membrane cellulari e nutre le cellule dell’organismo.

Ragioniamo su questo fenomeno, che è fondamentale, perché se non si nutrono le cellule, l’organismo muore.

Supponiamo che a seguito del pasto ci sia stato un innalzamento della glicemia, per cui occorre la presenza di una certa quantità d’insulina nel sangue.

Supponiamo che occorra una quantità d’insulina di 50 unità, per fare oltrepassare le membrane cellulari a tutto il glucosio presente nel sangue.

Le persone sane, sotto lo stimolo della glicemia, sono in grado di avere la quantità d’insulina necessaria, secreta dal pancreas.

Le persone diabetiche sono tali perché la quantità d’insulina secreta dal loro pancreas non è sufficiente per consentire a tutto il glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule.

Supponiamo che il paziente diabetico possa avere 46 unità d’insulina a fronte delle 50 unità necessarie.

Ciò significa che non tutto il glucosio presente nel sangue passerà le membrane cellulari e che una certa parte di glucosio rimarrà nel sangue.

Per questo motivo la glicemia aumenta.

Se la glicemia dovesse superare i 180 mg/dl circa le reni, mediante la glicosuria verseranno nelle urine la quantità di glucosio in eccesso.

La glicemia rimarrà almeno di 180 mg/dl.

Il medico capirà che occorre fare una certa dieta e darà le necessarie indicazioni sulla composizione della dieta.

Le 50 unità d’insulina che erano necessarie senza la dieta, si ridurranno, supponiamo, a 45 unità.

Il paziente che ha le 45 unità, trova profitto dalla dieta e controlla bene la glicemia, per cui tutto il glucosio può attraversare le membrane cellulari e non ci sono problemi.

Le cose si complicano se il paziente invece di avere le 46 unità d’insulina, ha  40 unità d’insulina.

La dieta riduce le calorie immesse nell’organismo, ma non può ridurle più di tanto, perché occorre comunque assicurare l’energia necessaria per vivere.

Se durante la giornata il paziente ha bisogno di 45 unità d’insulina, come minimo, è chiaro che la sola dieta non basta.

Se il paziente ha 40 unità d’insulina, è chiaro che tutte le Kcal immesse nell’organismo con i pasti non possono passare nelle cellule, ma solo una loro parte.

La parte di Kcal che può nutrire le cellule dell’organismo è inferiore a quella disponibile nel sangue.

Non tutto il glucosio disponibile nel sangue può oltrepassare le membrane cellulari e rimane nel sangue.

È come se il paziente che mangia 50 grammi di pasta ne può utilizzare solo 30 grammi perché non ha l’insulina necessaria per utilizzare tutti i 50 grammi di pasta, ma solo 30 grammi.

È come se il paziente mangiasse soltanto 30 grammi di pasta, invece dei 50 grammi, che, in effetti, ha mangiato.

In questo caso il paziente non assume con i pasti tutte le Kcal di cui ha bisogno e non può fare altro che dimagrire.

Il dimagrimento, che è tipico del diabetico, sta a indicare che il paziente non ha la quantità minima d’insulina necessaria per nutrire le cellule, per cui il paziente non assimila tutto il cibo necessario, non utilizza tutta la quantità necessaria di cibo, trasformato in glucosio, e dimagrisce. perché è sottoalimentato.

Il dimagrimento indica che il paziente non ha la quantità minima d’insulina necessaria per nutrire l’organismo.

In questo caso il medico prescrive in aggiunta alla dieta anche le pillole ipoglicemizzanti.

Le pillole ipoglicemizzanti spingono il pancreas a secernere più insulina.

Se il pancreas stimolato dalle pillole può fornire le 45 unità d’insulina necessarie, si può raggiungere la compensazione della glicemia e il paziente è “compensato”.

Può darsi il caso che il pancreas del paziente, sia pur stimolato dalle pillole ipoglicemizzanti, non riesca a produrre la quantità necessaria d’insulina.

Se il fabbisogno è di 45 unità d’insulina e il pancreas stimolato può produrre al massimo 40 unità d’insulina, nonostante le pillole, le cose non vanno bene.

Non c’è la quantità minima d’insulina necessaria per consentire al glucosio presente nel sangue di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire le cellule, per cui una parte del glucosio rimane nel sangue e, se la glicemia supera 180 mg/dl, la parte eccedente è espulsa con le urine (glicosuria).

Se il paziente assume con i pasti il cibo necessario a compensare le energie spese durante la giornata, ma non ha tutta l’insulina necessaria per elaborare il glucosio e nutrire le cellule, è chiaro che il paziente, nonostante le pillole, non assimila tutto quello che ha mangiato e non è compensato, per cui egli dimagrisce.

Il dimagrimento diventa notevole perché il paziente non riesce a mettere a frutto quello che ha mangiato e non raggiunge le quantità minime di energia necessarie per bilanciare le energie spendibili per vivere.

A questo punto è il medico che deve cambiare immediatamente la terapia e passare alle iniezioni d’insulina.

L’insulina da iniettare è solo quella che manca al paziente per raggiungere l’equilibrio energetico e quindi anche quello glicemico.

Se il pancreas può fornire 40 unità d’insulina e ne servono 45 è chiaro che, per raggiungere l’equilibrio, occorre iniettare 5 unità d’insulina.

Il paziente è in genere restio a iniettare insulina, perché vede le iniezioni d’insulina come una schiavitù, e, se il medico tarda a convincerlo, il paziente va incontro a guai molto seri.

La mancanza di compensazione non solo è causa del dimagrimento ma produce anche tutta una serie di complicanze, molto gravi, cui va incontro il paziente.

Ci possono essere danni agli occhi, con danneggiamento della retina e necessità d’intervento con il laser.

Ci possono essere danni al cuore con possibilità d’ischemia, cioè di scarsa irrorazione sanguigna del muscolo cardiaco, con conseguenze disastrose come l’infarto.

Ci possono essere danni ai nervi, la cosiddetta neuropatia diabetica.

Ci possono essere incrostazioni nelle arterie con conseguente aterosclerosi.

Ci può essere tutta una serie di complicanze dovute alla scarsa compensazione sia energetica sia glicemica.

Quando necessarie occorre passare al più presto alle iniezioni d’insulina per immettere nell’organismo la quantità d’insulina necessaria, che è mancante perché non prodotta dal pancreas.

Com’è stato suesposto è evidente che non è la volontà del medico o quella del paziente che sceglie la terapia tra dieta, pillole e insulina.

Sono le condizioni oggettive dello stato del pancreas del paziente, che impongono la dieta, se la mancanza d’insulina è minima.

Si rendono necessarie le pillole ipoglicemizzanti se il pancreas stimolato dalle pillole può fornire tutta l’insulina necessaria.

Se il pancreas, per quanto stimolato dalle pillole, non può fornire tutta l’insulina necessaria, occorre passare subito a iniettare quella quantità d’insulina, che manca per completare il fabbisogno d’insulina.

Si tratta di poche unità d’insulina, che aggiunte a quelle prodotte dal pancreas rendono possibile il nutrimento delle cellule e quindi escludere tutte quelle sofferenze legate all’insufficiente nutrimento delle cellule.

Questo è quello che è necessario fare per la terapia del paziente diabetico.

I guai sorgono da altre considerazioni.

Il paziente diabetico deve tenere un livello glicemico leggermente superiore a quello delle persone sane.

Questo perché se il livello glicemico si abbassa c’è una certa difficoltà a ossigenare il sangue e quindi a fornire ossigeno alle cellule.

In regime di scarsezza di ossigeno, nell’elaborazione del glucosio, in quella che si chiama la glicolisi, il glucosio è soggetto a tutta una serie di reazioni chimiche, o meglio biochimiche, e al termine si forma il piruvato.

Dal piruvato le persone sane formano normalmente una sostanza, che si chiama Acetil-Coenzina A (AcetilCoA), mentre il diabetico oltre all’AcetilCoA forma una certa parte di lattato, che è un ione dell’acido lattico, cioè è l’acido lattico che ha perduto un ione H+ (un protone).

Il lattato dovrebbe andare al fegato, dove mediante la gluconeogenesi è riconvertito in glucosio e rimesso nel sangue.

Le cose non vanno così semplicemente, perché con la glicemia alta si ha la glicolisi, e si fabbrica altro lattato, mentre la gluconeogenesi non può avere luogo, perché la gluconeogenesi è incompatibile con la glicolisi e ha luogo quando la glicemia è bassa o molto bassa e questo è raro che possa avvenire nel paziente diabetico, se non in caso d’ipoglicemia dovuta a insufficiente alimentazione in presenza d’insulina o di pillole ipoglicemizzanti.

C’è da dire che le pillole ipoglicemizzanti hanno anche effetti secondari non trascurabili.

Per es., uno dei farmaci più usati sotto forma di pillole ipoglicmissanti è capace se non di inibire, di limitare la gluconeogenesi.

Questo effetto secondario è molto grave, perché consente al lattato di rimanere nel sangue.

Il lattato è tossico e se incontra il sodio, è capace di formare il lattato di sodio, che può essere eliminato con le urine e in parte con il sudore.

Il lattato di sodio è usato come conservante nel commercio della carne e del pesce.

Le urine hanno quell’odore caratteristico, che si avverte quando si mangia la carne o il pesce.

C’è da osservare che il lattato sottrae sodio all’equilibrio sodio-potassio e la cosa è aggravata dalle pillole per il controllo della pressione, le pillole antiipertensive, che possono aumentare il potassio nel sangue, per cui è alterato l’equilibrio sodio-potassio.

La conseguenza è che i muscoli possono risentire del difetto di sodio e dare luogo a effetti crampiformi.

Occorre che i medici controllino gli effetti indesiderati delle pillole antiipertensive, per il controllo della pressione, avvertendo i pazienti degli spiacevoli effetti secondari, cui possono andare incontro.

Un altro farmaco antiipertensivo rilascia ioni di calcio, che andando in giro in modo incontrollato nel sangue possono dare origine a effetti indesiderati.

Altri farmaci hanno effetti beta bloccanti, ace inibitori, etc.

Altri farmaci possono indebolire le pareti dei vasi e creare emorragie.

Sono tutti effetti che i medici devono ben valutare attentamente prima di prescrivere farmaci ai pazienti diabetici.