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Diabete. Alimentazione con le unità pane.

Il diabete è una malattia cronica, da cui non si può guarire.

Il paziente diabetico ha nel proprio sangue un contenuto di glucosio (la glicemia) maggiore di quello riscontrabile nel sangue delle persone sane.

La terapia attualmente prescritta dai medici di famiglia e dai diabetologi è volta a controllare la glicemia.

Il glucosio presente nel sangue deriva dagli alimenti, che sono ingeriti durante i pasti.

Tutte le sostanze contenute nel cibo sono trasformate in glucosio, che è l’unica sostanza che le cellule del nostro organismo accettano per il loro nutrimento.

Nel cibo sono contenuti i glucidi (pane, pasta, zuccheri), i protidi (le proteine della carne) i lipidi (grassi animali e vegetali) e sali minerali.

Tutte queste sostanze sono trasformate in glucosio.

La terapia nella fase iniziale prevede la dieta per fare diminuire la quantità di glucosio prodotta nell’elaborazione del cibo ingerito.

In seguito la terapia prosegue con le pillole ipoglicemizzanti per stimolare il pancreas a secernere una maggiore quantità d’insulina, che è l’ormone necessario per consentire al glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e arrivare all’interno delle cellule del corpo umano.

Si trovano sul mercato farmaci, che non agiscono sul pancreas per aumentare la produzione d’insulina, ma che servono a scaricare nelle urine l’eccesso di glicemia, che si trova nel sangue.

In caso di bisogno la terapia prosegue con le iniezioni d’insulina, quando, nonostante le pillole, non si raggiunge una quantità d’insulina sufficiente a fare oltrepassare le membrane cellulari a tutto il glucosio presente nel sangue.

Il glucosio, che dovesse rimanere nel sangue, si accumula e, quando supera i 180 mg/dl, è riversato nelle urine (glicosuria) ed eliminato.

Oggi si fa grande affidamento sulla “compensazione glicemica”, cioè si tende a dosare pillole e insulina in modo che la glicemia risultante nel sangue sia compresa tra 70 e 110 mg/dl.

Se si raggiunge questo risultato, si dice che il paziente è “compensato “ e che si ha la “compensazione glicemica”.

Ogni tre mesi si controlla il valore dell’”emoglobina glicosilata”, che indica come si è mantenuta la glicemia negli ultimi tre mesi.

L’emoglobina glicata o glicosilata si considera dipendente dalla glicemia media negli ultimi tre mesi.

L’uso della compensazione glicemica nella terapia diabetica è molto discutibile.

La compensazione glicemica non garantisce che il paziente raggiunga l’equilibrio nel mantenere il proprio peso corporeo sia come aumento incontrollato, sia come dimagrimento eccessivo.

Il paziente può dimagrire eccessivamente o aumentare il proprio peso corporeo, in particolare può sviluppare il cordone di massa grassa intorno all’ombelico, che è molto pericoloso per i guai di natura cardiaca.

La compensazione glicemica deve considerare anche il controllo dell’indice di massa corporea, che si può ridurre al controllo del peso corporeo, poiché l’altezza del paziente si può considerare circa costante tra i 20 e i 70 anni.

Il peso ottimale deve corrispondere al valore dell’indice di massa corporea uguale a 25, cioè il peso ottimale deve essere:

Peso (kg) = 25 * altezza2 (m) = 25* altezza (m)* altezza (m).

Una persona alta 1,75 m deve cercare di mantenere un peso corporeo di 25*1,75*1,75= 76,56 kg.

Il controllo del peso corporeo garantisce che i pazienti, che adottano la compensazione glicemica, non rimangano delusi dai risultati.

In alternativa alla “compensazione glicemica” occorre considerare la “compensazione energetica”, che consiste nel mantenere l’equilibrio energetico giorno per giorno tra le energie consumate durante la giornata e quelle immesse nell’organismo con i pasti.

L’organismo umano è una macchina, che sviluppa energia ed è alimentata dal cibo, che è ingerito durante i pasti.

Per agevolare il computo delle energie ingerite con i pasti, moltissimi anni fa, i medici hanno escogitato un metodo semplice per il calcolo delle energie ingerite con i pasti, cioè delle kilocalorie contenute nel cibo, che costituisce l’alimentazione giornaliera.

Si sono prese come riferimento le kilocalorie contenute in 50 grammi di pane integrale (100 Kcal) e questo contenuto energetico è stato assunto come unità di misura delle Kcal ingerite con i pasti.

Quest’unità di misura delle Kcal è stata denominata ”unità pane” (UP).

Le unità pane.

Ogni unità pane (UP) corrisponde a 100 Kcal.

Le KCal da assumere nella giornata, divise per 100, rappresentano il numero delle unità pane, che devono essere ingerite con i pasti durante la giornata.

Per determinare quante siano le energie da assumere per la giornata occorre fare riferimento all’energia consumata durante la giornata.

Al calcolo concorrono prevalentemente tre elementi:

1) Il metabolismo basale, che costituisce l’energia minima per compiere le funzioni vitali;

2) L’azione dinamica specifica, che è l’energia necessaria per digerire gli alimenti;

3) L’attività fisica.

Secondo i vari elementi si determina il numero di Kcal necessarie per equilibrare le Kcal consumate durante la giornata.

Generalmente il fabbisogno calorico nella giornata va da 1600 a 3000 Kcal.

In particolare, per es., un bambino ha bisogno di circa 1700 Kcal;

Un’adolescente di sesso femminile ha bisogno di circa 2100 Kcal;

Un adolescente si sesso maschile arriva a consumare 2600 Kcal;

Una persona, che fa vita sedentaria, ha bisogno di almeno 1800 Kcal;

Una persona, che svolge un lavoro leggero, ha bisogno di circa 2400 Kcal;

Una persona, che svolge un lavoro pesante, può anche superare le 3000 Kcal;

Un atleta, che fa sforzo prolungato, può anche superare le 10000Kcal il giorno.

Dividendo per 100 le Kcal giornaliere necessarie si ottiene il numero delle “unità pane” da immettere nell’organismo durante la giornata per equilibrare le Kcal consumate.

Ci deve essere equilibrio tra le energie consumate e le energie acquisite con i pasti.

Esistono nella letteratura medica e pubblicate in internet le tabelle, che considerano le Kcal apportate dai vari alimenti riferite alle rispettive quantità, che generalmente sono di 100 grammi.

È possibile associare a ciascun alimento un coefficiente in funzione del rapporto tra le Kcal fornite da 50 grammi di quell’elemento rispetto a 50 grammi di pane integrale, che rappresentano una UP.

Il coefficiente rappresenta per ciascun alimento il numero delle unità pane corrispondenti a 50 grammi di quell’alimento.

Per es., a 50 grammi di pasta cruda di semola di grano, che danno circa 150 Kcal, si associa un coefficiente 1.5, che indica che 50 grammi di pasta corrispondono a 1.5 “unità pane” (UP).

Ciò significa che 100 grammi di pasta cruda di semola sono considerati come 3 UP.

Alla pasta di semola cotta si associa un coefficiente di 0.7, cioè 50 grammi di pasta cotta sono 0.7 unità pane (UP).

100 grammi di pasta cotta sono 1.4 UP.

Elenchiamo gli alimenti in ordine per unità pane crescenti e riferite a 50 grammi di alimento.

Unità pane in ordine crescente.

0.1 Ortaggi; 0.2 Latte e frutta anche spremuta; 0.3 Crostacei, latte, uova e vino; 0.4 Crostacei e pesci; 0.5 Pesci e carne da arrosto; 0.6 Carne; 0.7 Carne di spalla, pollo, uova; 0.8 Carne da arrosto, pollo arrosto, uovo intero; 0.9 Salsiccia e coscia di pollo, sgombro; 1.0 Lingua, castagne, pane integrale, salmone; 1.1 Mozzarella, tonno e anatra; 1.2 Pane, carne, prugne e fichi secchi; 1.3 Formaggi, fagioli, salsiccia; 1.4 Legumi, salmone affumicato; 1.5 Panna, salsiccia di maiale; 1.6 Lenticchie, miele, fontina; 1.7 Fecole, mortadella, braciole; 1.8 Olive, gorgonzola, provolone; 1.9 Bel paese, prosciutto crudo, parmigiano, Emmental; 2.0 Muesli; 2.1 Gruviera, zucchero; 2.2 Wisky; 2.3 Mascarpone; 2.9 Mandorle, arachidi; 3.0 Pistacchio; 3.1 Pancetta affumicata; 3.2 Nocciole; 3.3 Noci; 3.4 Pinoli; 3.6 Margarina; 3.8 Burro, Maionese; 4.3 Pancetta; 4.5 Oli, strutto;

 Unità pane per generi di alimenti.

Elenchiamo gli alimenti di uso comune, indicando il numero di unità pane per 50 grammi di tali alimenti con l’avvertenza che i valori indicati sono puramente indicativi non essendo stato possibile verificare la rispondenza alla realtà, data la mancanza di riferimenti alle fonti e la variabilità dei dati per ogni singolo elemento in natura.

Per es., per la pasta all’uovo manca il riferimento alla composizione, cioè possono variare il peso della farina e il peso delle uova, per cui il valore indicato deve intendersi come un valore medio, che costituisce un valido riferimento.

Bevande, acqua, vino, tè, caffè: 0,0 Acqua naturale, 0,3 Acqua tonica, 0,2 Birra leggera, 0,3 Birra forte, 0,0 Caffè, 0,0 Camomilla, 0,4 Champagne, 2,1 Chinotto, 1,9 Coca Cola, 2,0 Fanta Aranciata, 0,5 Gatorade, 0,3 Latte di mandorla, 1,2 Red Bull, 0,6 Sherry secco, 0,4 Spumante secco, 0,0 Tè verde, 0,3 Vino bianco, 0,3 Vino bianco secco, 0,3 Vino rosso, 0,3 Vino rosso secco, 1,1 Vodka, 2,2 Whisky,

Carne: 0.8 Abbacchio, 1,4 Agnello, 1,1 Anatra, 0,8 Arrosto (carne bovina), 0,6 Arrosto (carne di vitello), 0,6 Braciola (carne di vitello), 1,7 Braciola (carne ovina), 0,8 Braciola (carne suina), 1,6 Cappone, 0,6 Capretto, 0,5 Carne di cavallo, 0,6 Cinghiale, 0,7 Coniglio, 0,7 Coscia (carne bovina), 0,5 Coscia (carne di vitello), 1,2 Coscia (carne ovina), 1,4 Coscia (carne suina), 0,9 Coscia di pollo con pelle, 0,6 Coscia di pollo senza pelle, 1,6 Cotoletta alla milanese, 1,0 Cotoletta, 0,6 Cuore (carne bovina), 0,6 Cuore (carne di vitello), 0,8 Cuore (carne ovina), 0,4 Cuore (carne suina), 0,7 Fagiano, 0,8 Faraona, 0,6 Fegato (carne bovina), 0,7 Fegato (carne di vitello), 0,7 Fegato (carne ovina), 0,7 Fegato (carne suina), 0,6 Filetto (carne bovina), 0,5 Filetto (carne di vitello), 0,6 Filetto (carne ovina), 0,5 Filetto (carne suina), 1,4 Kebab, 4,1 Lardo, 0,6 Lepre, 1,0 Lingua (carne bovina), 0,6 Lingua (carne di vitello), 1,0 Lingua (carne ovina), 1,0 Lingua (carne suina), 0,3 Lumache, 1,1 Macinato (carne bovina), 1,4 Macinato (carne suina), 1,6 Maiale grasso, 0,8 Maiale macro, 1,4 Manzo grasso, 0,6 Manzo magro, 0,7 Manzo salato, 1,7 Oca, 0,9 Ossobuco, 1,2 Paté d’oca,

1,2 Petto (carne bovina), 0,6 Petto (carne di pollo), 0,7 Petto (carne di vitello), 1,0 Pollo, 1,2 Pollo arrosto, 1,3 Pollo da brodo, 0,8 Quaglia, 0,7 Roastbeef, 0,6 Rognone (carne di vitello), 0,5 Rognone (carne suina), 1,5 Salsiccia di maiale, 0,9 Salsiccia di pollo, 1,3 Salsiccia di vitello, 0,5 Scaloppina (carne di vitello), 0,7 Scaloppina (carne ovina), 0,5 Scaloppina (carne suina), 0,8 Spalla (carne bovina), 1,4 Spalla (carne suina), 0,5 Stinco (carne di vitello), 0,9 Stinco (carne suina), 1,1 Tacchino adulto, 0,5 Trippa, 0,9 vitello grasso, 0,6 Vitello magro,

Cereali, pane, pasta e prodotti da forno: 1,4 Baguette, 2,3 Biscotti frollini, 2,3 Biscotti integrali,

1,6 Biscotti all’uovo, 1,8 Cous cous, 2,2 Cracker integrali, 2,3 Cracker, 0,9 Crusca di grano,

1,7 Farina di mais integrale, 1,6 Farro, 1,7 Fecola di mais, 1,7 Fecola di patate, 2,0 Fette biscottate,

1,8 Fiocchi di avena, 1,7 Grissini, 2,1 Lingue di gatto (biscotti), 1,6 Orzo, 1,2 Pane al latte, 1,2 Pane bianco, 1,1 Pane cassetta, 1,0 Pane integrale di grano, 1,2 Pane tipo 00, 0,7 Panino rosetta, 1,4 Pasta alimentare, 0,6 Pasta alimentare (cotta), 1,5 Pasta all’uovo,0,6 Pasta all’uovo (cotta), 0,7 Pasta di semola (cotta),0,6 Pasta integrale (cotta), 2,3 Pasta sfoglia, 1,1 Pizza Margherita, 0,6 Riso (cotto), 0,5 Riso integrale (cotto), 0,7 Spaghetti,

Crostacei e molluschi: 0,4 Aragosta, 0,4 Astice, 0,3 Calamari, 0,5 Capesante, 0,3 Cozze,

0,4 Gamberetti, 0,3 Gamberi, 0,4 Mazzancolle, 0,3 Ostriche, 0,2 Polpo, 0,5 Riccio di mare,

0,3 Scampi, 0,4 Seppia, 0,4 Totani, 0,3 Vongole,

Dolci: 2,3 Amaretti, 1,3 Babà al rum, 1,5 Bavarese, 1,9 Bignè alla crema, 2,0 Bombolone,

1,7 Brioche, 2,0 Brioche alla cioccolata, 2,0 Brioche alla crema, 1,9 Brioche alla marmellata,

1,8 Brioche vuota, 2,6 Canestrelli, 2,3 Cantuccini, 1,1 Cassata siciliana, 2,6 Cioccolato al latte,

2,9 Cioccolato alle nocciole, 2,7 Cioccolato bianco, 2,6 Cioccolato fondente, 2,0 Colomba pasquale,

3,3 Crema Chantilly, 1,5 Crema pasticcera, 0,9 Creme caramel, 2,4 Croccante, 1,7 Crostata di frutta, 0,9 Gelato al latte, 0,6 Ghiacciolo, 1,0 Marmellata, 2,5 Marzapane, 2,1 Pandoro, 1,8 Panettone, 2,2 Panforte, 1,8 Panna cotta, 2,3 Pasta brisè, 2,4 Pasta di mandorle, 2,2 Pasta frolla, 1,9 Strudel, 1,9 Tiramisù, 2,5 Torrone, 2,3 Wafer.

Dolcificanti: 2,0 Aspartame, 1,5 Fruttosio, 1,5 Miele, 1,4 Sciroppo d’acero, 2,1 Zucchero bianco, 2,0 Zucchero grezzo,

Frutta fresca, succhi di frutta e spremute: 0,2 Albicocca, 0,2 Ananas fresco, 0,3 Ananas in scatola.

0,1 Anguria, 0,2 Arancia, 0,1 Succo d’arancia, 0,2 Aranciata, 1,0 Avocado, 0,5 Banana, 0,3 Ciliegia,

0,2 Cocomero, 0,3 Fico, 0,3 Kiwi, 0,2 Lamponi, 0,2 Limone, 0,2 Mandarini, 0,3 Mango, 0,3 Mela,

0,2 Mirtilli, 0,2 More, 0,2 Papaya, 0,3 Pera, 0,2 Pesca, 1,8 Polpa di cocco, 0,2 Pompelmo, 0,3 Prugna, 0,2 Ribes, 0,2 Spremuta d’arancia, 0,2 Spremuta di pompelmo, 0,4 Uva,

Frutta secca, ortaggi secchi: 2,9 Arachidi, 1,0 Castagne, 1,4 Datteri secchi, 1,2 Fico secco, 2,8 Mandorle, 3,2 Nocciole, 3,0 Noci, 3,4 Pinoli, 3,0 Pistacchio, 0,6 Porcino secco, 1,2 Prugna secca, 1,4 Uva secca,

Latte, yogurt e formaggi: 1,9 Bel Paese, 1,6 Brie, 1,5 Caciotta, 1,4 Camembert, 1,1 Crescenza,

1,9 Emmental, 1,6 Fontina, 1,8 Formaggio di Capra, 1,3 Formaggio fresco, 1,6 Formaggio grana,

1,8 Gorgonzola, 2,0 Gruviera, 0,3 Latte intero, 0,2 Latte parzialmente scremato, 0,2 Latte scremato,

0,2 Latte non pastorizzato, 2,3 Mascarpone, 1,3 Mozzarella di bufala, 1,1 Mozzarella di mucca,

1,9 Parmigiano, 1,5 Pecorino, 1,1 Pecorino fresco, 1,8 Provolone, 0,7 Ricotta di mucca, 1,0 Ricotta di pecora, 1,4 Taleggio, 0,4 Yogurt frutta, 0,3 Yogurt intero, 0,2 Yogurt magro, 0,2 Yogurt naturale,

Legumi: 1,3 Fagioli secchi, 1,6 Lenticchie, 1,4 Piselli secchi,

Olio, burro, margarina, condimenti: 0.0 Aceto, 0,9 Besciamella, 1,9 Bottarga, 3,8 Burro, 4,5 Burro fuso, 1,5 Corn flakes, 0,9 Dado per brodo, 0,5 Ketchup, 3,6 Maionese, 3,6 Margarina vegetale, 2,0 Muesli, 4,5 Olio di cocco, 4,0 Olio di oliva, 4,5 Olio di palma, 4,0 olio di semi, 4,5 Olio vegetale, 1,8 Olive nere in salamoia, 0,7 Olive verdi in salamoia, 1,1 Panna da cucina, 1,5 Panna dolce, 4,5 Strutto di maiale,

Ortaggi: 0,7 Aglio, 0,1 Asparagi, 0,2 Barbabietola, 0,1 Broccoli, 0,1 Carciofo, 0,1 Carota,

0,1 Cavolfiore, 0,2 Cavolini di Bruxelles, 1,4 Ceci, 0,1 Cetriolo, 1,7 Chicchi di mais, 0,1 Cicoria, 0,1 Cipolla, 0,4 Fagioli verdi, 0,2 Fagiolini verdi, 0,1 Finocchio, 0,2 Fragola, 0,1 Funghi freschi, 0,4 Funghi secchi, 0,1 Lattuga, 0,5 Mais in scatola, 0,1 Melanzana, 0,3 Melone, 0,4 Patate, 0,1 Peperone, 0,3 Piselli freschi, 0,1 Pomodoro, 0,1 Porcino fresco, 0,1 Porro, 0,1 Ravanelli, 0,1 Sedano, 2,9 Semi di zucca, 1,6 Soia, 0,1 Spinaci freschi, 0,3 Tartufo, 0,1 Verza, 0,1 Zucca, 0,1 Zucchine,

Pesce: 0,5 Acciuga, 1,0 Aringa, 0,5 Branzino, 0,6 Carpa, 0,4 Dentice, 0,4 Filetti di merluzzo, 0,4 Luccio, 0,4 Merluzzo, 0,5 Nasello, 0,6 Orate, 0,4 Pesce Persico, 0,6 Pesce spada, 0,8 Ricciola,

1,4 Salmone affumicato, 1,0 Salmone, 0,6 Sardina, 0,9 Sardine in scatola, 0,5 Scorfano,

0,9 Sgombro, 0,4 Sogliola, 0,4 Stoccafisso, 1,1 Tonno sott’olio, 0,5 Tonno al naturale,0,6 Triglia,

0,7 Trota affumicata, 0,5 Trota di fiume,

Prodotti di cucina: 0,0 Brodo magro, 0,6 Carpaccio, 1,6 Cheesecake, 0,7 Gnocchi di patate, 0,8 Gnocchi di semolino, 1,8 Insalata russa, 0,6 Involtino, 0.3 Minestra, 2,2 Patate fritte, 2,5 Pesto, 1,7 Polenta, 2,0 Popcorn, 0,5 Ragù bolognese, 0,3 Salsa di pomodoro, 0,3 Salsa di soia, 3,1 Salsa rosa, 0,5 Salsa tartara, 4,0 Salsa tonnata, 1,6 Semolino di grano, 1,8 Semolino, 0,0 Sottaceti, 0,1 Succo di pomodoro scondito, 1,3 Tortellini freschi, 1,1 Zabaione,

Salumi: 0,8 Bresaola, 2,0 Coppa, 2,0 Cotechino, 1,6 Mortadella, 3,1 Pancetta affumicata, 4,3 Pancetta, 2,0 Porchetta, 1,0 Prosciutto cotto, 1,9 Prosciutto crudo, 2,0 Salame (tipo Milano), 2,1 Salame, 1,2 Salami di manzo, 2,0 Soppressata, 1,5 Speck, 1,3 Wurstel, 1,5 Zampone,

Uova: 0.2 Albume,1.6 Tuorlo, 0,8 Uovo intero,

Alcuni esempi applicativi.

Colazione:

Latte parzialmente scremato 250 g; 250/50*0.2= 1.0 UP

Biscotti per il latte (frollini, integrali) 50 g; 50/50*2.3= 2.3 UP

Caffè (con un cucchiaino di zucchero) = 5/50*2.1= 0.2 UP

Totale unità pane a colazione = 1.0+2.3+0.2= 3.5 UP

Spuntino:

Un frutto (mela, pera, …) 150 g; 150/50*0.3= 0.9 UP

Pranzo:

Pasta (a crudo) 80 g; 80/50*1.4= 2.24 UP

Carne (bovina arrosto) 100 g; 100/50*0.8= 1.6 UP

Insalata 50 g; 50/50*0.1= 0.1 UP

Pane integrale 100 g; 100/50*1.0= 2.0 UP

Frutta (mela, pera, …) 150 g; 150/50*0.3= 0.9 UP

Vino rosso 100g; 100/50*0.3= 0.6 UP

Acqua 250 g; 250/50*0.0= 0.0 UP

Dolce (crostata alla frutta) 50 g; 50/50*1.7= 1.7 UP

Totale unità pane a pranzo = 2.24+1.6+0.1+2.0+0.9+0.6+1.7= 7.44 UP

Merenda:

Tè verde (una tazza con due cucchiaini di zucchero) 125g= 10/50*2.1= 0.4 UP

Biscotti 50g; 50/50*2.3= 2.3 UP

Frutta 150g; 150/50*0.3= 0.9 UP

Totale merenda =2.3+0.9= 3.6 UP

Cena:

Minestra 200g= 200/50*0.3= 1.2 UP

Pesce 150g; 150/50*0.5= 1.5 UP

Insalata 50g; 50/50*0.1= 0.1 UP

Pane integrale 100 g; 100/50*1.0= 2.0 UP

Frutta (mela, pera, …) 150 g; 150/50*0.3= 0.9 UP

Vino rosso 100g; 100/50*0.3= 0.6 UP

Acqua 250 g; 250/50*0.0= 0.0 UP

Dolce (crostata alla frutta) 50 g; 50/50*1.7= 1.7 UP

Totale cena = 1.2+1.5+0.1+2.0+0.9+0.6+1.7= 8 UP

Totale unità pane nella giornata: 3.5+0.9+7.44+3.6+8= 23.44 UP

 Il pasto della giornata fornisce 2344 Kcal.

I pasti dovrebbero prevedere il 20% di Kcal a colazione, il 5% allo spuntino di metà mattina, il 40% a pranzo, il 5% allo spuntino di metà pomeriggio, il 30% a cena.

I pasti dovrebbero contenere il 60% di carboidrati, il 15% – 20% di proteine e il 20% – 25% di grassi.

Può sembrare strano considerare i dolci nell’alimentazione dei pazienti diabetici.

Le Kcalorie fornite dai dolci sono state considerate nel totale della Kcalorie della giornata.

Le insuline rapide moderne agiscono entro 10 minuti dall’iniezione.

Se l’iniezione si pratica mezzora prima del pasto, va a finire che l’insulina entra in azione 20 minuti prima di iniziare a mangiare, con possibile ipoglicemia.

L’insulina rapida deve essere iniettata subito dopo il pasto, anche 10 o 20 minuti dopo, e i dolci servono per avere subito disponibile una certa quantità di glucosio da elaborare.

Può capitare che la digestione del pasto possa iniziare qualche tempo dopo, per es., in caso di consumazione di pesce azzurro, che è ricco di omega3 ma che per alcuni pazienti può essere scarsamente digeribile e in tal caso i dolci servono a fornire glucosio in modo da non andare in ipoglicemia postprandiale.

Comunque è bene abituarsi a prendere il caffè senza zucchero.

Diabete. Unità pane speciale.

Il diabete è una malattia cronica largamente diffusa nel mondo.

La patologia diabetica affligge un numero di persone in continuo aumento, il che vuol dire che le terapie per contrastarla non sono molto efficaci.

Il paziente diabetico ha nel proprio sangue un contenuto di glucosio, (la glicemia), maggiore di quello riscontrabile in genere nel sangue delle persone sane.

Ciò significa che non tutto il glucosio, sviluppato dal cibo ingerito, è utilizzato per nutrire le cellule dell’organismo, per cui una parte significativa di glucosio rimane inutilizzata nel sangue.

Per fare penetrare il glucosio all’interno delle cellule occorre avere la disponibilità dell’ormone insulina, che è secreto dal pancreas.

Nel paziente diabetico il pancreas non secerne l’ormone insulina in quantità sufficiente a trattare tutto il glucosio presente nel sangue ma solo una sua parte.

I medici di famiglia e i diabetologi concentrano la loro attenzione sulla glicemia del paziente diabetico, cioè sul contenuto di glucosio nel sangue.

La glicemia dovrebbe essere mantenuta nel campo 70-110 mg/dl.

Se ciò avviene, si dice che si ha la “compensazione glicemica” e il paziente è “compensato”.

Nel paziente diabetico purtroppo la glicemia è al di fuori di questo campo e sicuramente è più alta di 110 mg/dl.

Per fare abbassare il livello della glicemia occorre poter disporre dell’insulina necessaria.

I medici di famiglia e i diabetologi concentrano la loro attenzione sulla glicemia, mentre sarebbe necessario prestare maggiore attenzione sul fabbisogno d’insulina.

La glicemia è funzione dell’insulina disponibile nel sangue.

La cura del diabete deve portare a confrontare la glicemia con l’insulina disponibile.

Occorre agire sulla quantità d’insulina disponibile piuttosto che sulla glicemia.

Controllare la glicemia in modo da mantenerla tra 70 e 110 mg/dl può essere un falso obiettivo, che non risolve il problema principale, che è quello di assicurare al paziente diabetico un assorbimento di glucosio nelle cellule del corpo, come avviene nelle persone sane.

Tutte le sostanze contenute nel cibo sono elaborate e trasformate in glucosio, che è l’unica sostanza, che le cellule del nostro organismo accettano per il loro nutrimento.

Nel cibo sono contenuti i glucidi (carboidrati, pane, pasta, zuccheri), i protidi (le proteine della carne) i lipidi (grassi animali e vegetali) e sali minerali, vitamine, etc..

Tutte queste sostanze sono trasformate in glucosio, che rimane nel sangue in attesa di oltrepassare le membrane cellulari, per essere elaborato all’interno delle cellule.

Le linee guida applicate dai medici prevedono varie fasi terapeutiche.

Nella fase iniziale la terapia prevede la dieta per fare diminuire la quantità di glucosio prodotta nell’elaborazione del cibo ingerito.

Ciò può essere valido nel caso in cui il cibo acquisito con la dieta sia sufficiente a garantire la quantità di glucosio necessaria per l’alimentazione delle cellule dell’organismo.

Se la quantità di glucosio acquisita con la dieta è inferiore a quella necessaria per il nutrimento delle cellule allora la sola dieta non è indicata per garantire il corretto nutrimento delle cellule.

In seguito la terapia prevede l’assunzione delle pillole ipoglicemizzanti, per stimolare il pancreas a secernere una maggiore quantità d’insulina.

Se l’insulina prodotta dal pancreas è insufficiente per l’elaborazione della glicemia, allora si prova a stimolare il pancreas a produrre una maggiore quantità d’insulina per elaborare tutto il glucosio presente nel sangue.

Quando, nonostante le pillole, l’insulina rimane insufficiente, la necessità della terapia richiede le iniezioni d’insulina.

Tutta l’insulina che manca deve essere introdotta dall’esterno tramite iniezioni.

Si trovano sul mercato farmaci, che non agiscono sul pancreas per aumentare la produzione d’insulina, ma che servono a facilitare lo scarico nelle urine dell’eccesso della glicemia.

La glicemia, cioè la quantità di glucosio nel sangue, diminuisce perché è scaricata nelle urine, abbassando la soglia della glicosuria.

La compensazione glicemica in questo caso è ottenuta eliminando la glicemia in eccesso.

La glicemia si abbassa ma l’insulina a disposizione rimane la stessa e la quantità di glucosio elaborata rimane la stessa.

Se la quantità di glucosio elaborata è insufficiente, il paziente dimagrisce e deve rallentare il consumo di glucosio indipendentemente dal fabbisogno energetico, di cui ha bisogno.

La soluzione non sembra abbastanza corretta.

Questi farmaci non influenzano la capacità del glucosio di nutrire le cellule, che rimane insufficiente, ma si limitano ad abbassare la glicemia.

I vantaggi sono soltanto apparenti.

Questa pratica può essere valida se il glucosio acquisito nelle cellule è sufficiente ad assicurarne il nutrimento per il fabbisogno energetico.

In caso contrario questa tecnica è assolutamente da evitare, perché rallenta le potenzialità energetiche dell’organismo.

Il glucosio contenuto nelle urine aumenta notevolmente ed espone le vie di eliminazione dell’urina a infezioni varie, essendo le vie glucosate un valido terreno di coltura per funghi e batteri.

I guai possono capitare, ma andare a cercarseli è da evitare.

L’equivoco può nascere dal fatto che si presta molta attenzione alla glicemia e si trascura, per es., l’indice di massa corporea.

Occorre considerare il peso dell’organismo che deve essere mantenuto costante su valori accettabili.

Occorre considerare che oggi si fa grande affidamento sulla “compensazione glicemica”, cioè si tende a dosare pillole e insulina in modo che la glicemia risultante nel sangue sia compresa tra 70 e 110 mg/dl.

Se si raggiunge questo risultato, ci si appaga e si dice che il paziente è “compensato “ e che si ha la “compensazione glicemica”.

Ogni tre mesi si controlla il valore dell’”emoglobina glicosilata”, che indica come si è mantenuta la glicemia media negli ultimi tre mesi.

L’uso della compensazione glicemica nella terapia diabetica è molto discutibile e poco affidabile.

La compensazione glicemica non garantisce che il paziente mantenga in equilibrio il proprio peso corporeo, per cui il paziente può avere un aumento di peso eccessivo oppure un dimagrimento incontrollato.

Il controllo del peso corporeo può sostituire il controllo dell’indice di massa corporea, poiché l’altezza può essere considerata costante ed è abbastanza facile ricavare il peso corporeo per mantenere un indice di massa corporea uguale a venticinque.

Peso (kg) = 25 * altezza2 (m) = 25* altezza (m)* altezza (m).

Una persona alta 1,75 m deve cercare di mantenere un peso corporeo di 25*1,75*1,75= 76,56 kg.

Il controllo del peso corporeo garantisce che i pazienti, che adottano la compensazione glicemica, possano lo stesso controllare la glicemia in modo accettabile.

Se il peso corporeo aumenta, vuol dire che l’alimentazione è eccessiva, anche se la glicemia è ben compensata.

In questo caso il cibo ingerito è in esubero e l’insulina iniettata concorre a riportare la glicemia a valori accettabili, però il peso corporeo è fuori controllo.

Da qui deriva che molti pazienti diabetici sono obesi, perché mangiano troppo e s’iniettano dosi eccessive d’insulina per compensare la glicemia.

Se il peso corporeo diminuisce, vuol dire che l’alimentazione è insufficiente e l’insulina iniettata è sufficiente a garantire la compensazione glicemica.

Il dimagrimento eccessivo però sta a indicare che la compensazione glicemica è raggiunta ma che l’organismo va in sofferenza e la terapia non può essere ritenuta regolare.

Anche in questo caso il peso corporeo è fuori controllo e l’organismo è sottoalimentato con conseguenze certamente non buone.

Il fatto che la compensazione glicemica sia raggiunta non garantisce la qualità della terapia.

La compensazione glicemica è un modo indiretto di controllare l’efficacia della secrezione d’insulina da parte del pancreas ma non è in grado di garantire un perfetto controllo del meccanismo di nutrimento cellulare, che può essere assicurato solo dal controllo insulinico in relazione all’indice di massa corporea.

Il discorso vero è che quello che conta è garantire che le energie spese durante la giornata siano equilibrate dalle energie acquisite con il cibo ingerito nei pasti.

In alternativa alla “compensazione glicemica” occorre considerare la “compensazione energetica”, che consiste nel mantenere l’equilibrio energetico giorno per giorno tra le energie consumate durante la giornata e quelle immesse nell’organismo con i pasti.

Occorre assicurare all’organismo le energie, che sono spese durante la giornata.

Se le energie acquisite con i pasti superano quelle spese allora il paziente utilizza il sovrappiù energetico per mettere un po’ di grasso.

Se al contrario le energie acquisite sono in difetto, allora il paziente dimagrisce.

Anche in questo caso è fondamentale il controllo dell’indice di massa corporea, riconducibile al controllo costante del peso corporeo a esso proporzionale.

Normalmente il paziente non è soggetto a un pareggio rigoroso delle energie, per cui un giorno può avere un eccesso di energia e un altro può essere in difetto.

Nella media la somma delle energie acquisite con i pasti può ben compensare le energie spese, per cui si ha una compensazione energetica apprezzabile.

Non si può pretendere di avere sempre l’equilibrio energetico tutti i giorni, ma un giorno si può avere un eccesso di energia acquisita con i pasti e un altro giorno un eccesso di energia spesa.

In ogni caso la media dell’energia acquisita con i pasti deve bilanciare la media dell’energia spesa, per cui si ha un equilibrio tra le due energie.

Se si raggiunge l’equilibrio energetico, si ha la “compensazione energetica”, che può sostituire con maggiore efficacia la compensazione glicemica.

L’organismo umano è una macchina, che sviluppa energia ed è alimentata per mezzo del cibo assunto con i pasti.

Per rendere calcolabile le energie assunte con il cibo durante la giornata i medici nutrizionisti e quelli dietologi possono ricorrere alle “unità pane”, la cui definizione è propria della cultura del medico e non può essere facilmente assimilata nella cultura del paziente.

Il paziente si deve guardare bene dallo scimmiottare la cultura del medico, perché gli mancano sia gli anni di studi universitari nella facoltà di medicina, sia gli anni di pratica professionale, per cui prendiamo atto che esistono queste unità pane, che sono usate appropriatamente dai medici.

I medici nutrizionisti riferiscono l’ ”unità pane” al contenuto calorico e considerano una unità pane come 12 grammi di carboidrati contenuti in un pezzo di pane scuro del peso di 25 grammi.

È molto difficile usare l’unità pane così definita per calcolare le calorie ingerite con il cibo.

Occorre procedere a una semplificazione, che consenta ai pazienti diabetici di poter calcolare facilmente le energie contenute nei pasti.

L’unità pane, che usano i medici, è difficilmente adottabile dalla cultura del paziente, perché di difficile comprensione.

Il paziente ha bisogno di un sistema semplice e facilmente applicabile per calcolare la quantità di energia, la quantità di Kcal, che assume con i pasti.

Il riferimento alle quantità di carboidrati contenute nei cibi può essere laborioso.

La “cultura del paziente” impone di trovare un metodo più semplice per calcolare le energie assunte con i pasti, il che impone definire delle “unità pane speciali”, che funzionino adeguatamente, senza sconfinare nei calcoli complessi propri della cultura del medico.

Occorre introdurre delle unità pane definite in modo più semplice, ma utilissime per il calcolo dell’energia acquisita con il cibo.

Le unità pane speciali.

Si definisce “unità pane speciale” (UPS), un’unità di pane, non specificato come qualità e quantità, che fornisce 100 KCal di energia.

Le Kcal fornite dal pane variano con la qualità del pane a parità di peso.

L’unità pane speciale non è legata a una specifica qualità e quantità di pane, ma, per definizione, fornisce 100 KCal di energia.

Ogni unità pane (UPS) corrisponde a 100 Kcal di energia, per cui è un’unità di energia, un’unità energetica.

Il riferimento al pane è puramente ideale.

L’unità pane speciale è introdotta per semplificare i calcoli e non fa riferimento a un tipo specifico di pane o a una qualità specifica di pane.

L’uso dell’unità pane speciale (UPS) è giustificato dal fatto che per ricavare le unità pane speciali da ingerire durante la giornata basta dividere il fabbisogno energetico giornaliero in Kcal per 100 e si ottengono le UPS da assumere durante la giornata.

Le KCal da assumere nella giornata, divise per 100, rappresentano il numero delle unità pane, speciali, che devono essere ingerite con i pasti durante la giornata.

Se il fabbisogno giornaliero è di 2400 Kcal vuol dire che durante la giornata occorre alimentarsi con 24 UPS.

L’adozione delle UPS semplifica moltissimo il calcolo delle energie da assumere durante la giornata e rende il calcolo facile e sicuramente alla portata dei pazienti, senza volere sconfinare nella cultura dei medici, che è giustamente riservata ai medici.

Le unità pane speciali sono riservate alle culture dei pazienti, perché sono state create per essere usate dai pazienti, data la loro semplicità di applicazione.

Per determinare quante sono le energie da assumere per la giornata occorre fare riferimento all’energia consumata durante la giornata.

Al calcolo concorrono prevalentemente tre elementi:

1) Il metabolismo basale, che costituisce l’energia minima per compiere le funzioni vitali;

2) L’azione dinamica specifica, che è l’energia necessaria per digerire gli alimenti;

3) L’attività fisica.

Secondo i vari elementi si determina il numero di Kcal necessarie per equilibrare le Kcal consumate durante la giornata.

Il numero delle UPS necessarie si ottiene dividendo per 100 il numero delle Kcal giornaliere.

Generalmente il fabbisogno calorico nella giornata va da 1600 a 3000 Kcal, cioè da 16 a 30 UPS.

In particolare, per es., un bambino ha bisogno di circa 1700 Kcal, 17 UPS ;

Un’adolescente di sesso femminile ha bisogno di circa 2100 Kcal, 21 UPS;

Un adolescente si sesso maschile arriva a consumare 2600 Kcal, 26 UPS;

Una persona, che fa vita sedentaria, ha bisogno di almeno 1800 Kcal, 18 UPS;

Una persona, che svolge un lavoro leggero, ha bisogno di circa 2400 Kcal, 24 UPS;

Una persona, che svolge un lavoro pesante, può anche superare le 3000 Kcal, 30 UPS;

Un atleta, che fa sforzo prolungato, può anche superare le 10000 Kcal il giorno, 100 UPS.

I dati suesposti sono da considerarsi alquanto indicativi.

Il paziente diabetico chiederà al proprio medico curante o al proprio diabetologo di fiducia quante siano le Kcal di energia, che, in base ai propri dati, devono essere assunte durante il giorno per equilibrare le energie spese nella giornata.

Dividendo per 100 le Kcal giornaliere necessarie si ottiene il numero delle “unità pane speciali” da immettere nell’organismo durante la giornata per equilibrare le Kcal consumate.

Ci deve essere equilibrio tra le energie consumate e le energie acquisite con i pasti.

Le unità pane speciali semplificano il calcolo delle energie da assumere durante la giornata, perché basta dividere per 100 il numero delle Kcal da assumere durante la giornata per ottenere il numero delle unità pane speciali da assumere durante il giorno.

L’utilizzo delle “unità pane speciali” è giustificato dalla semplicità di utilizzo.

Esistono nella letteratura medica e pubblicate in internet le tabelle, che considerano le Kcal apportate dai vari alimenti riferite alle rispettive quantità, che generalmente sono di 100 grammi.

È possibile associare a ciascun alimento un coefficiente in funzione del rapporto tra le Kcal fornite da quell’elemento rispetto alla quantità dell’elemento.

Nelle tabelle sono indicate le Kcal fornite per ciascuna sostanza in relazione alla quantità indicata di quella sostanza, che di solito sono 100 grammi.

Dividendo le Kcal per le quantità si ottengono le Kcal fornite per un grammo di quella sostanza (Kcal/g).

 Dividendo ancora per 100 le Kcal fornite da un grammo della sostanza, si ottengono le unità pane fornite da un grammo di quella costanza (PRS/g).

Se nelle tabelle originali le Kcal delle varie sostanze sono riferite a 100 grammi della sostanza, basta dividere per diecimila (10000) i valori indicati delle Kcal per ottenere i coefficienti che indicano le UPS/g, le unità pane speciali riferite a un grammo della sostanza.

Le tabelle così ricalcolate forniscono per ciascuna sostanza il numero delle unità pane speciali, che fornisce un grammo della sostanza in esame, per cui basta moltiplicare la quantità della sostanza assunta nel pasto per questi coefficienti per trovare il numero delle unità pane speciali ingerite riguardo a quella sostanza.

Per es., il latte parzialmente scremato ha un coefficiente pari a 0,005 (UPS/g).

Se a colazione si assume una quantità di latte parzialmente scremato di 250 g, moltiplicando 250 g per 0;005 UPS/g, si ricava il numero di UPS corrispondenti a 250 g di latte parzialmente scremato uguale a 250*0.005= 1,25 UPS.

Non occorre fare ogni volta il calcolo delle UPS in considerazione del fatto che a colazione si consuma di solito la stessa quantità di latte parzialmente scremato, per es. 250 g, e si sa già che corrisponde a !,25 UPS.

Si associa a 250 g di latte parzialmente scremato una quantità di UPS pari a 1,25.

Dalle tabelle che riportano le Kcal fornite da quantità specifiche indicate delle varie sostanze dividendo per le quantità e per 100 KCal si ottengono i coefficienti che rappresentano le UPS corrispondenti a un grammo delle varie sostanze.

L’applicazione di questo coefficiente è molto semplice perché basta moltiplicare questo coefficiente per il peso in grammi di quell’elemento per ricavare il numero delle UPS, corrispondenti alla quantità di quell’elemento.

Per es., 100 grammi di pasta di semola cruda danno circa 365 Kcal. un grammo di pasta darà 365/100=3,65 Kcal. Le UPS/g corrispondenti a un grammo di pasta sono 3,65/100= 0.0365 UPS/g.

Alla pasta di semola di grano duro si associa il coefficiente 0,0365 UPS/g.

Questo significa che se nel pasto di mezzogiorno sono previsti 50 g di pasta, a essi corrispondono 0,0365 (UPS/g)*50 (g) = 1,825 UPS.

Il paziente diabetico può farsi una tabella dei coefficienti UPS/g, in cui a ogni sostanza, che è presente nei suoi pasti, è associato un coefficiente UPS/g che, moltiplicato per le quantità presenti nei pasti, fornisce il numero di UPS che si riferisce a quell’elemento.

Unità pane speciali in ordine crescente, riferite a un grammo di alimento (UPS/g) (valori approssimati).

0.002 Ortaggi; 0.004 Latte e frutta anche spremuta; 0.006 Crostacei, latte, uova e vino; 0.008 Crostacei e pesci; 0.010 Pesci e carne da arrosto; 0.012 Carne; 0.014 Carne di spalla, pollo, uova; 0.016 Carne da arrosto, pollo arrosto, uovo intero; 0.018 Salsiccia e coscia di pollo, sgombro; 0.02 Lingua, castagne, pane integrale, salmone; 0.022 Mozzarella, tonno e anatra; 0.024 Pane, carne, prugne e fichi secchi; 0.026 Formaggi, fagioli, salsiccia; 0.028 Legumi, salmone affumicato; 0.03 Panna, salsiccia di maiale; 0.032 Lenticchie, miele, fontina; 0.034 Fecole, mortadella, braciole; 0.036 Olive, gorgonzola, provolone; 0.038 Bel paese, prosciutto crudo, parmigiano, Emmental; 0.04 Muesli; 0.042 Gruviera, zucchero; 0.044 Wisky; 0.046 Mascarpone; 0.058 Mandorle, arachidi; 0.06 Pistacchio; 0.062 Pancetta affumicata; 0.064 Nocciole; 0.066 Noci; 0.068 Pinoli; 0.072 Margarina; 0.076 Burro, Maionese; 0.086 Pancetta; 0.09 Oli, strutto;

Alcuni esempi applicativi.

Colazione:

Latte parzialmente scremato 250 g; 250*0.005= 1.25 UPS

Biscotti per il latte (frollini, integrali) 50 g; 50*0.0353= 1.765 UPS

Caffè amaro = 5*0.0004= 0.002 UPS

Un cucchiaino di zucchero (5 g) = 5*0.0362= 0.181 UPS

Totale unità pane a colazione senza zucchero = 1.25+1.765+0.002= 3.017 UPS

Totale unità pane a colazione con lo zucchero = 1.25+1.765+0.002+0.181= 3.198 UPS

Spuntino:

Un frutto (mela, pera, …) 150 g; 150*0.0048= 0.72 UPS

Pranzo:

Pasta (a crudo) 80 g; 80*0.0371= 2.968 UPS

Carne (bovina arrosto) 100 g; 100*0.0198= 1.98 UPS

Insalata 50 g; 50*0.0016= 0.08 UPS

Pane integrale 100 g; 100*.0.0247= 2.47 UPS

Frutta (mela, pera, …) 150 g; 150*0.0048= 0.72 UPS

Vino rosso 100g; 100*0.0083= 0.83 UPS

Acqua 250 g; 250*0.0= 0.0 UPS

Dolce (crostata alla frutta) 50 g; 50*0.034= 1.7 UPS

Totale unità pane a pranzo = 2.968+1.98+0.08+2.47+0.72+0.83+1.7= 10.748 UPS

Senza dolce: 9.048 UPS

Merenda:

Tè verde (una tazza con due cucchiaini di zucchero) 125g= 125*0.0001+10*0.0387= 0.4 UPS

Biscotti 50g; 50*0.0353= 1.765 UPS

Frutta 150g; 150*0.0048= 0.72 UPS

Totale merenda =0.4+1.765+0.72= 2.885 UPS

Cena:

Minestra 200g= 200*0.0051= 1.02 UPS

Diabete e autocontrollo

L’autocontrollo è la pratica messa in atto dalle persone affette da diabete per conoscere quanto glucosio ci sia nel proprio sangue. La cosiddetta glicemia.

Normalmente sono interessanti le determinazioni effettuate prima dei pasti, quindi a digiuno, ma ci possono essere altre determinazioni relative per esempio a due ore dopo i pasti.

Importante è la determinazione effettuata la mattina a digiuno.

Normalmente viene presa come riferimento dai medici per determinare la cura del diabete.

Prima che la persona si svegli, il suo cervello, in previsione di un bisogno di energia dovuto ai primi movimenti del corpo dopo una notte di riposo, ordina al fegato di mettere in circolo un po’ di glicogeno, una sostanza che si trasforma facilmente in glucosio.

E’ il “fenomeno dell’alba”, per cui il livello glicemico si innalza un po’.

Una volta, quarant’anni fa, l’analisi della glicemia si era soliti farla ogni mese, la mattina rigorosamente a digiuno.

Il medico in base al dato dell’analisi stabiliva la dieta, cui si doveva sottoporre il paziente e nei casi più gravi, prescriveva anche l’assunzione di pillole per bocca.

Le pillole in genere sono composte da sulfaniluree, che stimolano il pancreas a secernere una maggiore quantità d’insulina e, in genere, da metformina, che è un composto che consente di utilizzare al meglio l’insulina presente nel sangue.

Nei casi più gravi si passava alle iniezioni di insulina, in genere ultralenta da assumere per via sottocutanea una volta al giorno.

Quando poi il pancreas non era più in grado di fornire insulina, allora si procedeva con più iniezioni di insulina, di solito di tipo rapido, da effettuarsi circa una mezzora prima dei pasti.

La dieta consisteva in quantità limitate, da pesare scrupolosamente, di alimenti in genere scelti tra quelli più poveri di carboidrati e da zuccheri per limitare l’apporto di glucosio con il cibo.

Una ventina di anni fa le analisi del sangue per determinare il glucosio presente si facevano ogni quindici giorni e ogni volta il medico di famiglia adattava la dieta o anche la dose delle pillole ipoglicemizzanti o modificava le dosi d’insulina da iniettarsi giornalmente.

Si sentì il bisogno di conoscere il livello glicemico nel sangue con una maggiore frequenza per potere seguire meglio il diabete.

Oggi si determina facilmente la glicemia con dei semplici apparecchi in cui si mettono delle strisce sensibili, che venendo a contato con una semplice goccia di sangue, sono in grado di determinare il livello glicemico nel sangue (glicemia).

Esistono in commercio anche delle strisce con dei piccoli tamponi trattati con delle sostanze che, a contatto delle urine, cambiano colore.

Queste strisce servono per la determinazione della glicosuria, cioè del glucosio presente nelle urine.

Se il glucosio presente nel sangue supera una determinata soglia (180-200 mg/dl) i reni non riescono più a filtrare il glucosio, che si riversa nelle urine.

Se si tratta di urine prodotte al momento la determinazione è relativa al momento e può avere un certo valore.

Se le urine sono state prodotte in tutta una nottata, la presenza di glucosio nelle urine è poco indicativa, perché il glucosio può essere traboccato dopo il pasto serale e poi durante la notte la glicemia è scesa e si potrebbe essere anche in lieve ipoglicemia.

In un paese, che per fortuna non è il nostro, un ministro benpensante abolì il controllo del sangue capillare e si limitò a ordinare l’uso delle strisce per la misura della glicosuria.

Fu un disastro perché chi aveva glicosuria non riusciva a “compensare”, cioè a mantenere la glicemia nell’intervallo 80-120 mg/dl, mentre gli altri, che non presentavano glicosuria, nella maggior parte si convinsero di essere guariti dal diabete e si diedero alla pazza gioia.

Fu prodotto un danno enorme alla popolazione diabetica.

Ogni volta che si ostacola la cura del diabete, riducendo per es. l’autocontrollo,  con leggi, circolari, etc. si produce un danno enorme per la salute della popolazione.

Il medico non deve mai prestarsi ad indirizzi, di natura politica, che sono contrari alla cura dei pazienti e deve sempre tenere in primo luogo conto di ciò che è a favore della salute dei propri pazienti, specie di quelli affetti da diabete.

L’autocontrollo oggi si fa determinando il livello di glucosio presente nel sangue capillare, in genere si estrae una goccia di sangue da un dito della mano.

Se l’autocontrollo si facesse sul sangue venoso il valore della glicemia sarebbe superiore di circa 20 mg/dl rispetto a quella determinata sul sangue capillare.

L’autocontrollo serve ad alleggerire la pressione dei pazienti ,che chiedevano sempre più analisi da effettuare presso strutture pubbliche e private.

Con l’autocontrollo si realizza un notevole risparmio della spesa sanitaria.

Quando effettuare l’analisi del sangue capillare?

La risposta varia a seconda delle esigenze del paziente.

Un paziente che riesce a compensare con la sola dieta, ha un diabete di tipo molto lieve e può effettuare una determinazione a digiuno la mattina e non necessariamente tutte le mattine.

Il pancreas di questi pazienti è ancora efficiente e l’insulina che utilizza il paziente è quella propria, il cui dosaggio è effettuato dal pancreas a seconda delle esigenze.

Un paziente che ha bisogno di stimolare il proprio pancreas con delle pillole ipoglicemizzanti, utilizza sempre insulina prodotta dal proprio pancreas, che conserva ancora una buona facoltà regolatrice sulla quantità d’insulina da mettere in circolo.

Quando l’assunzione di pillole non basta a mantenere la compensazione occorre ricorrere alle iniezioni d’insulina dall’esterno.

L’insulina in questo caso non è quella prodotta dal paziente e viene a mancare la funzione regolatrice dell’insulina svolta dal pancreas.

La quantità d’insulina in circolo la determina chi riempie la siringa d’insulina, il pancreas non c’entra, anche se conserva ancora una funzione regolatrice per quella poca insulina che ancora il pancreas è in grado di produrre.

Se l’insulina immessa con l’iniezione viene giudicata sufficiente al momento dal pancreas, questo non secerne ulteriore insulina.

Se l’insulina in circolo dovesse essere giudicata insufficiente allora il pancreas dovrebbe provvedere ad integrarla con una propria piccola secrezione d’insulina.

Ma questo non è dimostrato. Si tende ad escludere che il pancreas possa intervenire e quindi viene ad essere esclusa la funzione regolatrice del pancreas giudicata trascurabile.

Può accadere che se l’insulina è sufficiente durante la giornata il pancreas si mette a riposo per quanto riguarda la secrezione d’insulina.

Ma il pancreas non dorme.

Se il corpo dovesse trovarsi in ipoglicemia è il pancreas che interviene secernendo il glucagone, che provoca l’emissione da parte del fegato di glicogeno, che si trasforma in glucosio.

Intervengono i cosiddetti “ormoni dello stress”, che la cultura del paziente può anche non conoscere, ma che rivestono grande importanza nella cultura del medico, al quale il paziente diabetico si deve sempre appoggiare per farsi seguire nella cura.

Se la funzione regolatrice dell’insulina da parte del pancreas viene a cessare, occorre tenere ben presenti alcuni elementi per determinare la quantità di insulina da aspirare nella siringa.

Innanzi tutto occorre conoscere l’entità del pasto che si intende fare, il che comporterà una dose base di insulina stabilita dal medico.

Occorre anche tenere presente l’attività fisica che si intende svolgere e che non deve mai venire a mancare nel soggetto diabetico.

Nell’attività fisica si consumerà una certa quantità di glucosio.

Occorre tenere presente eventuali emozioni e arrabbiature previste. Per esempio, assistere a una partita di calcio, ad un film strappalacrime, a una riunione di condominio, etc.

Occorre tenere anche conto di eventuali infezioni in atto. In tal caso il livello glicemico nel sangue tende a salire.

Mentre l’attività fisica tende a fare scendere la glicemia, le altre situazioni indicate tendono tutte ad aumentarla.

Occorre conoscere in via fondamentale il livello glicemico già presente nel sangue al momento di fare l’iniezione d’insulina. Se tale livello è 60 mg/dl è un conto, se il livello è per esempio 260 mg/dl è tutto un altro conto.

La regolazione principale della dose di insulina da iniettare è data dal livello glicemico presente nel sangue al momento di fare l’iniezione.

Ecco l’importanza fondamentale dell’autocontrollo, che consente di determinare il livello della glicemia prima di fare l’iniezione.

Il paziente insulino-trattato, specie se da molti anni, deve comunque sempre effettuare il controllo della glicemia prima di fare l’iniezione d’insulina.

I pazienti affetti da diabete tipo uno, insulino-dipendente, devono necessariamente effettuare i controlli della glicemia prima di ogni iniezione ed anche due ore dopo il pasto, perché in essi non vi è alcuna funzione regolatrice ed è l’autocontrollo a dare i dati per poter regolare al meglio il dosaggio delle iniezioni d’insulina. Sono previsti da sette a quattordici analisi del sangue capillare al giorno.

Nei pazienti affetti da diabete tipo due, non insulino-dipendente ma insulino-trattato, occorre sempre effettuare il controllo della glicemia prima di fare l’iniezione d’insulina.

Se non viene fatto l’autocontrollo si fa un’iniezione al buio e si può facilmente andare in instabilità, cioè si possono alternare fasi di ipoglicemia a fasi di iperglicemia.

In questo caso la compensazione va a farsi friggere.

Il paziente non è più compensato e si accorciano i tempi di sopravvenienza delle complicanze tardive, che solo la compensazione può allontanare.

E’ come guidare di notte un’automobile senza l’ausilio dei fari, si va a sbattere.

Nel diabete si va a sbattere contro brutte conseguenze, che possono portare alla cecità, alla caduta di tutti i denti, alle cardiopatie, all’ infarto, all’ictus, all’ipertensione, al taglio degli arti inferiori, che vengono aggrediti dalla cancrena, a dolori in varie parti del corpo e tante altre brutte conseguenze.

Per il diabetico non è mai il momento di scherzare.

Occorre tenere sempre sotto stretto controllo la malattia e rivolgersi al medico periodicamente e quando si nota qualcosa di strano.

Non è facile, ma bisogna lottare per sopravvivere e, una volta abituati, si riesce a convivere al meglio con il diabete.

In ogni caso occorre sempre procedere con gli occhi aperti, seguire i consigli del medico, e dosare l’insulina sempre a ragion veduta, mai a caso.

L’autocontrollo diventa in questo caso fondamentale.

Il diabete è una malattia brutta, ma, se gli si prendono le misure, si può anche vivere normalmente, senza problemi.

Cinque bambini e un ascensore

I bambini, sovente, guardano all’ascensore come a un grosso giocattolo. Per loro è estremamente divertente entrare e uscire in continuazione, saltare sul fondo molleggiato della cabina, chiamare l’ascensore, schiacciare un pulsante di cabina rimanendo all’esterno.

Tutto questo è sbagliato e i genitori farebbero bene a controllare sempre i bambini e i ragazzini perché l’ascensore non è un giocattolo.

L’ascensore è una grossa macchina che finché funziona bene è sicura, quando funziona male può diventare pericolosa.

La normativa stabilisce che i ragazzi di età inferiore a dodici anni devono essere accompagnati da almeno una persona che abbia età almeno di dodici anni.

I bambini e i ragazzi di età inferiore ai dodici anni non possono andare in ascensore da soli.

Il motivo di questa limitazione sta nel fatto che si ritiene rischioso per i più piccoli trovarsi da soli in caso di emergenza.

Cinque bambini giocavano un pomeriggio nelle stradine vicine al tempio di Apollo a Siracusa.

Facevano i soliti giochi dei bambini, si rincorrevano, giocavano con le palline, etc.

Ad un tratto sembrava che fossero spariti dalla circolazione, nessuno li vedeva più.

Verso sera le mamme cominciarono ad affacciarsi sugli usci delle loro case e a chiamarli a gran voce.

Nessuna risposta.

I bambini sembravano essersi volatilizzati.

Tutto il quartiere era in subbuglio.

Sembrava che i bambini fossero stati rapiti.

Intervennero le forze dell’ordine, ma nessun risultato.

Le famiglie non andarono a letto, vegliavano tutti per cercare i bambini.

Le speranze erano ormai ridotte al lumicino, quando una giovane dotata di un eccellente udito, disse che le era parso di sentire come dei pianti in lontananza.

I carabinieri si misero a seguire la giovane, che li guidava.

Arrivarono ad una struttura pubblica, uffici al momento fuori servizio, perché il palazzo era in ristrutturazione.

Di giorno c’era un cantiere edile con gli operai che lavoravano. Di notte il cantiere non era presidiato. Il portone principale era lasciato aperto. C’era l’energia elettrica.

Un grande sospiro di sollievo. I bambini erano rimasti bloccati dentro un ascensore.

I carabinieri entrarono nel locale del macchinario rompendo la porta e riuscirono, con grande perizia, a riportare la cabina a un piano e a liberale i bambini.

I bambini si erano messi a saltare dentro la cabina mentre la stessa scendeva. Era entrato in funzione il dispositivo paracadute, che aveva bloccato saldamente la cabina alle guide.

Le mamme non sapevano se continuare a piangere o cominciare a mollare qualche scappellotto.

Questa volta è finita bene.

In una cittadina all’interno della Sicilia, c’era un bambino che a quattro anni si divertiva a saltare dentro la cabina di un ascensore e a risaltarne fuori.

Era un gioco che egli faceva molto spesso e la sua mamma ne ammirava le evoluzioni.

Dal pianerottolo il bambino stava saltando verso l’interno della cabina, quando le porte di cabina si sono chiuse afferrandolo all’altezza delle spalle.

Prima che la mamma potesse intervenire, la cabina è partita in salita per fermarsi due piani più su.

Il bambino è stato dilaniato dall’ascensore.

L’ascensore era stato manomesso.

Poiché non funzionava, qualche ignorante lo aveva aggiustato.

L’ascensore non funzionava perché le porte di piano non erano “chiuse e bloccate” e i contatti di sicurezza delle porte non consentivano il movimento della cabina.

Il criminale ignorante aveva escluso i dispositivi di controllo di sicurezza delle porte, per cui la cabina partiva con le porte di piano aperte.

Non bisogna mai dimenticare che l’ascensore è una grossa macchina, che può anche uccidere.

LA SICUREZZA SUL LAVORO, IN CASA, SULLE STRADE.

Gli infortuni sul lavoro sono spesso mortali. Occorre fare un’analisi dei rischi che si corrono sul lavoro, in casa, sulle strade, per poterli prevenire.

Esaminiamo il rischio di natura elettrica per chi viene in contatto accidentalmente con un palo della luce.

La folgorazione per contatto con pali in dispersione e contemporaneo contato con altra massa metallica di per se stessa o anche volutamente messa a terra, è dovuta al fatto che la persona viene attraversata da corrente attraverso le braccia e il torace con interessamento del cuore. Se il distacco avviene subito si può tentare il salvataggio attraverso la respirazione artificiale oppure tramite elettroshock.

Le manchevolezze sono di due tipi e bisogna eliminarle: Se il palo è in dispersione vuol dire che si è portato in tensione e una certa corrente di guasto circola verso terra. Le protezioni installate sono tarate male e non intervengono a togliere la tensione al momento del guasto. La seconda manchevolezza è che quando in prossimità di un palo c’è una massa metallica di per se stessa messa a terra o collegata volutamente a terra, occorre effettuare un collegamento equipotenziale con conduttore della sezione di 16 mmq tra il palo della luce e la massa metallica.

Il collegamento equipotenziale porta allo stesso potenziale il palo in dispersione e la massa metallica per cui non si rimane folgorati toccando il palo.

Il problema si sposta se vicino alla massa metallica c’è un’altra massa metallica non collegata elettricamente alla prima. In tal caso si può rimanere folgorati toccando contemporaneamente le due masse metalliche.

C’è da osservare che, siccome il contatto può avvenire distanti dal palo, si può prendere una scossa più forte toccando la massa metallica in posizione distante dal palo che toccando il palo.

La sicurezza è garantita coordinando le protezioni installate sul circuito elettrico in modo che al momento del guasto venga tolta la tensione entro cinque secondo.

Siccome la strada è anche un posto di lavoro, perché vi lavorano per es. i vigili urbani, gli operatori ecologici, le forze dell’ordine, etc., il Sindaco è responsabile della sicurezza e, nel caso specifico è punito con l’arresto un’ammenda. Nel caso in cui ne consegua un infortunio mortale il sindaco può essere chiamato a rispondere di omicidio colposo o quantomeno di omissione dolosa di dispositivi di sicurezza.

L’impianto di messa a terra dell’illuminazione stradale deve essere sottoposto a verifica ogni due anni da parte dell’ASL/ARPA e da parete di organismi privati autorizzati dal ministero delle attività produttive: La mancata verifica comporta l’arresto e l’ammenda.

Spero che queste nota possano indurre qualche sindaco a prendere i provvedimenti opportuni volti ad impedire che le persone che accidentalmente vengano in contatto con i pali della luce, perdano la vita.

Folgorazione

La morte per folgorazione è un infortunio mortale, che si ripete abbastanza spesso nei luoghi di lavoro.

Sembrerebbe che a leggere le notizie sui giornali potesse rimanere qualcosa nella mente dei lavoratori e che essi potessero convincersi a prestare la massima attenzione, quando si trovassero a lavorare in vicinanza delle linee elettriche aeree esterne.

Evidentemente così non è, se molti lavoratori continuano a morire sul luogo di lavoro per folgorazione.

Il difetto è di natura culturale.

I lavoratori non conoscono i rischi che corrono lavorando in prossimità di una linea elettrica aerea esterna o, se li conoscono, non li considerano di vitale importanza.

La normativa di buona tecnica redatta e pubblicata dal CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano) prescrive le caratteristiche costruttive delle linee elettriche aeree esterne, fissando, per es., l’altezza minima da terra dei fili elettrici.

I fili elettrici non sono isolati, mentre i cavi elettrici hanno un isolamento, che li rende relativamente più sicuri.

Le linee elettriche vengono costruite nel rispetto delle normative di buona tecnica e sono quindi in linea con le normative sia di legge che di buona tecnica.

La normativa non può prevedere che i lavoratori possano avvicinare delle parti metalliche ai fili in tensione.

Due lavoratori che stavano spostando a mano un ponte metallico del tipo leggero sono rimasti folgorati, quando la struttura metallica è venuta in contatto con i fili elettrici dell’alta tensione.

Sembra che la tensione nominale della linea elettrica fosse di 20.000 Volt, media tensione.

La tensione, cui sono stati sottoposti i due lavoratori, è valutabile in circa tremila volt, per cui essi non hanno avuto scampo.

L’errore è stato commesso quando essi hanno iniziato il lavoro, senza prima essere venuti a conoscenza dell’analisi dei rischi sul luogo di lavoro, che doveva essere stata fatta prima di iniziare il lavoro, sotto la responsabilità del datore di lavoro.

Poiché la vicinanza con la linea elettrica era molto evidente, uno dei rischi da tenere in considerazione era quello della folgorazione.

Il rischio di folgorazione era senza dubbio non trascurabile, per cui dovevano essere presi i dovuti provvedimenti per scongiurare l’infortunio.

Occorreva, per es., disporre un parapetto per recintare la zona in prossimità della linea elettrica per impedire che, spostando il ponteggio, si venisse a toccare la linea in  tensione con conseguente rischio non trascurabile d’infortunio mortale.

Pare anche che il ponteggio fosse bagnato, ma questa circostanza non ha avuto un peso determinante dato il valore presunto dell’alta tensione, cui sono stati sottoposti i due lavoratori.

Quando una persona prende la “scossa”, non necessariamente un lavoratore, ma anche una persona qualsiasi, anche una casalinga, si instaurano due fenomeni:

  1. Un fenomeno di tetanizzazione dei muscoli, per cui i muscoli attraversati dalla corrente elettrica, si contraggono e non rispondono più alla volontà del malcapitato, che cerca di staccarsi dalla parte in tensione e di ritrarre la mano.

Si rimane letteralmente appiccicati alla parte in tensione e non si riesce più a staccarsi, con conseguenze spesso mortali.

  • L’altro fenomeno è quello della fibrillazione cardiaca, per cui il cuore perde il suo ritmo sinusale e si mette a battere in maniera disordinata.

La fibrillazione conduce spesso alla morte e l’unica possibilità di salvezza sta nell’uso immediato di un defibrillatore cardiaco, che potrebbe salvare la vita.

È evidente che i due lavoratori non hanno potuto ricevere alcun aiuto e sono morti senza possibilità di scampo.

Per quanto la modalità dell’infortunio abbia escluso qualsiasi possibilità di aiuto da portare ai due lavoratori infortunati, pur tuttavia in casi in cui la persona infortunata riesce a staccarsi è possibile prestare aiuto.

A una persona colpita dalla corrente elettrica l’aiuto, che si può dare subito, è la respirazione artificiale bocca a bocca, che può avere un effetto salvavita.

Tipico è il caso del lavoratore rimasto appeso per la cintura di sicurezza su un palo della luce elettrica e del soccorritore, che gli pratica la respirazione bocca a bocca subito prima di scenderlo a terra.

Gli apparecchi defibrillatori, che un tempo erano abbastanza rari, oggi sono largamente diffusi negli ospedali, però il loro uso dovrebbe essere fatto entro pochi minuti e questo è un grave impedimento in caso d’infortunio per elettrocuzione.

Se fosse stata fatta l’analisi del rischio e fossero stati presi i dovuti provvedimenti i due lavoratori non sarebbero morti.

Gli infortuni mortali si possono limitare solo con l’educazione alla sicurezza.

Solo se i mezzi d’informazione, giornali, radio, televisione, e gli operatori del settore antinfortunistico, intraprendono delle campagne d’informazione per educare le persone alla sicurezza, possono diminuire gli infortuni mortali, non solo sui luoghi di lavoro ma anche in casa e sulle strade.

I controlli di sicurezza oggi sono di tipo esclusivamente repressivo e vanno alla ricerca delle sanzioni da comminare al datore di lavoro.

Non c’è alcuna forma efficace di educazione dei lavoratori alla sicurezza.

Occorre rifondare tutto il sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro e ritornare alle origini.

Più di cento anni fa gli industriali, di fronte al problema di limitare gli infortuni sul lavoro, fondarono un Istituto di Propaganda per la Prevenzione degli Infortuni sul Lavoro.

I risultati fuorono eccellenti, perché non si ricercava la punizione del datore di lavoro, ma si davano consigli utili a migliorare la prevenzione degli infortuni.

Quella struttura nel 1951 fu aggregata ai carrozzoni del parastato e prese il nome di Ente Nazionale per la Prevenzione degli Infortuni sul lavoro (ENPI).

Nel 1965 le verifiche degli impianti elettrici di messa a terra passarono dall’Ispettorato del Lavoro all’ENPI e dopo un anno gli infortuni per cause elettriche nei luoghi di lavoro risultarono dimezzati.

Nel 1978 l’ENPI fu sciolto come ente inutile.

Mi viene da pensare a quante persone sono morte per il fatto che l’ENPI è stato sciolto ed è stata interrotta la sua opera educatrice nei confronti dei lavoratori.

Occorre prendere spunto dalle esperienze positive del passato per impostare la prevenzione infortuni del futuro.

Il resto sono tutte chiacchiere, che non possono che portare a nulla di buono.

Controlli di sicurezza

Lo stillicidio inarrestabile d’infortuni, spesso mortali, sul lavoro non fa quasi più notizia.

Ci siamo ormai abituati al fatto che giornalmente circa quattro lavoratori debbano lasciarci la pelle sul luogo di lavoro.

Anche se gli infortuni mortali sulle strade e negli ambienti domestici sono molto più numerosi, non si può accettare il fatto che ci debbano essere persone che perdano la loro vita sul luogo di lavoro.

Le strutture che si occupano di prevenzione infortuni hanno dimostrato il loro limite.

Le leggi puntano a indicare come responsabile comunque il datore di lavoro, con il consorso dei dirigenti e dei preposti.

Le sanzioni diventano sempre più pesanti e i datori di lavoro al solo pensarci pensano di chiudere tutto e smettere di lavorare.

Le organizzazioni sindacali non fanno un lavoro appropriato.

I sindacati dei lavoratori puntano a occupare quante più poltrone è possibile negli enti di controllo della sicurezza nei luoghi di lavoro.

L’azione dei sindacati è inefficace quando non risulti anche dannosa.

Gli organismi di controllo soffrono del modo di gestire gli enti pubblici nel nostro Paese.

La loro azione è totalmente inefficace e scarsamente produttiva.

Le leggi ci sono.

La legge 626/94 traccia la strada da seguire per combattere gli infortuni sul lavoro.

Assumono importanza nuove figure come quella del “responsabile dei lavoratori per la sicurezza” e quella del “responsabile del servizio di protezione e prevenzione”.

L’istituzione del “documento per la sicurezza” con “l’analisi dei rischi residui” e il “calendario di eliminazione dei rischi residui” dovrebbero essere strumenti atti a far diminuire gli infortuni sui luoghi di lavoro.

Quello che è risultato sbagliato è l’approccio con tali strumenti.

Accade spesso di leggere nei documenti per la sicurezza delle cose palesemente errate.

Ad un’infermiera di un ospedale è stato prescritto di usare gli occhiali protettivi quando fa uso della fiamma ossidrica.

Molto spesso la stesura di tali documenti é affidata ad ingegneri che indugiano nel corredare i documenti di grafici molto precisi.

In un ospedale i documenti per la sicurezza rilevavano una percentuale dell’8,5% annui d’infortuni invalidanti tra i dipendenti.

Ogni anno vengono ripetuti gli stessi argomenti, sempre con quel famoso 8,5% d’infortuni invalidanti.

L’errore madornale sta nel fatto che la legge 626/94 è concepita per la riduzione drastica dei rischi residui e quindi degli infortuni invalidanti.

In questi casi il documento per la sicurezza si riduce a una mera esercitazione di elaborazione numerica senza avere alcun effetto pratico sulla riduzione degli infortuni.

Di fronte a queste cattive applicazioni delle leggi per la sicurezza gli organismi di controllo sono inefficaci.

Per quanto ci siano ottime leggi di sicurezza sul lavoro, quelli che difettano sono i controlli e il modo di condurre i controlli stessi.

Quando vengono riscontrate violazioni alle norme di sicurezza la legge dispone che debba essere informato il Procuratore della Repubblica anche mediante le ASL o le ARPA, ciò perché la violazione di norme di sicurezza si configura come reato penale.

Accade però che l’applicazione pratica di queste chiare procedure di legge trova dei diversivi e talvolta anche degli ostacoli.

Ci sono svariati modi d’interpretare il modo di condurre i controlli.

E’ necessario essere efficaci sempre con il dovuto tatto e la dovuta buona educazione.

Può capitare che alcuni controllori, che guidano macchine troppo lussuose per lo stipendio che percepiscono, abbiano dei modi molto personali di interpretare il loro lavoro.

La Guardia di Finanza potrebbe interessarsi di come vengono effettuati  i controlli e intervenire in caso d’irregolarità.

Gli infortuni mortali sul lavoro devono diminuire e, in ogni caso, è fondamentale l’educazione alla sicurezza, che i lavoratori devono ricevere per salvaguardare la loro vita sul posto di lavoro.

Furbizie

Il gioco del calcio dovrebbe essere improntato sempre alla massima lealtà e signorilità nei rapporti tra i giocatori, l’arbitro, i guardalinee e gli occupanti delle panchine.

Accade però che molto spesso si assiste ad atti di furbizia messi in atto dai giocatori di una squadra per provocare l’intervento dell’arbitro a proprio favore.

Si tratta spesso di simulazioni, ma anche di movimenti di gioco che sembrano configurare un fallo da parte dell’avversario.

Sono rimasto sorpreso dall’intelligenza di un giocatore che con un colpo di tacco ha alzato la palla all’altezza della mano dell’avversario, che lo seguiva a circa un metro di distanza.

Il malcapitato, che è stato colpito alla mano dal pallone, compiva un gesto istintivo quasi per togliere la mano ma il movimento risultante è stato come se egli avesse voluto fermare la palla con la mano.

L’arbitro ha fischiato il calcio di rigore.

Un’altra furbizia molto frequente è quella di simulare un fallo in area per avere assegnato un calcio di rigore.

Quando il giocatore prima di cadere porta le braccia in avanti sa di dover cadere e istintivamente porta avanti le braccia per ripararsi dai danni della caduta e quindi si sta buttando.

Ci sono giocatori che inclinano il proprio corpo in avanti, allungano le braccia e poi vanno ad impattare contro il corpo del portiere o la gamba di un avversario per avere assegnato il calcio di rigore.

Altro trucco messo in atto dall’attaccante è quello di piegare un piede verso l’interno alla caviglia.

In tal modo egli cade a terra come se fosse stato sgambettato.

L’arbitro non dovrebbe abboccare perché deve stare attento alla posizione dei piedi del giocatore che cade in area.

C’era tanto tempo fa un centravanti molto bravo a cadere con questo sistema e riusciva ad ottenere tanti calci di rigore.

Un altro modo per cadere è quello dell’auto sgambetto.

Un piede del giocatore, che cade, inciampa sull’altro suo piede.

Molte volte il giocatore cerca di passare tra due avversari, anche se lo spazio per passare non c’è, e finisce per terra invocando il calcio di rigore.

Molte volte il giocatore aggancia il piede dell’avversario e cade come se avesse subito uno sgambetto.

In occasione delle battute di calci di punizione o di calci d’angolo si assiste alle spinte degli attaccanti e agli abbracci, alle cinture dei difendenti.

L’arbitro qualche volta li richiama ma i giocatori continuano come prima.

Quando si battono le punizioni e si forma la barriera alcuni avversari si mescolano ai difensori che formano la barriera.

Quando il giocatore batte, questi giocatori a volte si tolgono per lasciare lo spazio al passaggio della palla, altre volte spingono i giocatori della barriera per creare confusione e liberare lo spazio per far passare la palla verso la porta

Le mani non dovrebbero essere usate nel gioco del calcio se non per battere le rimesse laterali o per le parate dei portieri.

L’unico contatto ammesso tra due giocatori è la carica di spalla, ma non deve essere violenta.

Le braccia vengono usate per superare un avversario, per dare gomitate sui fianchi e sul viso con la scusa che quando si salta occorre allargare le braccia per mantenersi in equilibrio.

Nelle azioni di gioco la simulazione più frequente è quella di fare intendere di essere stato colpito dall’avversario con un calcio o con una gomitata.

Il giocatore che è stato colpito con una gomitata al petto si getta per terra tenendosi il viso come se la gomitata l’avesse presa sulla faccia.

Molte volte il giocatore non viene toccato ma, se l’azione si svolge velocemente, fa finta di essere stato colpito e si accascia richiedendo l’intervento del medico e del massaggiatore.

Il giocatore, portatosi a bordo campo, viene miracolato con una spruzzata di medicamento ed entra in campo pimpante più di prima.

Dovrebbero essere puniti severamente i falli da dietro, quelli tattici e i tentativi di colpire con i tacchetti delle scarpe le ginocchia o il corpo dell’avversario.

Un’altra furbizia si è verificata nella battuta di un calcio d’angolo.

Un giocatore, molto bravo in verità, arpiona la palla e senza farla spostare dal punto in cui si trova, le fa compiere un giro su se stessa.

Poi si allontana come se volesse cedere ad un compagno il compito di battere il calcio d’angolo.

Il compagno raggiunge la palla nell’angolino del corner e passa la palla in avanti verso un ipotetico compagno che non c’è, poi egli stesso gioca la palla verso la porta approfittando della sorpresa suscitata negli avversari.

La mossa, studiata a tavolino, è sicuramente molto intelligente perché il regolamento prescrive che prima che la palla battuta possa essere giocata deve compiere un giro.

L’arbitro non si è scomposto è ha fischiato il fallo.

In occasione dei lanci degli attaccanti verso la porta avversaria diventa importante il fuorigioco.

Tralasciando i casi di non fuorigioco, per es., quando si batte il calcio d’angolo o la rimessa con le mani dalla linea laterale del campo, gli allenatori spesso mettono in atto la tecnica del fuorigioco.

I difensori avanzano per mettere in fuorigioco gli avversari.

Il momento in cui si deve individuare la posizione dei giocatori è quello in cui il giocatore, che effettua il passaggio, viene in contatto con la palla, la colpisce e la palla corre verso un compagno.

Qualche giornalista televisivo, che dispone della moviola, potrebbe fare una prova che consiste nel:

1.       Fissare il fotogramma in cui il giocatore, che effettua il lancio della palla, viene in contatto con la palla;

2.       Osservare la posizione dei giocatori, in particolare quella degli attaccanti e quella del secondo difendente.

3.       Fare scorrere in avanti i fotogrammi e fermarsi al fotogramma relativo al momento in cui la palla lascia il piede del giocatore.

4.       Apprezzare in questo momento le distanze percorse dagli attaccanti e dal secondo difendente.

5.       Sommare le due distanze: quella del giocatore cui è diretta la palla e che la giocherà e quella del secondo difendente se sono di verso contrario.

6.       Osservare che la somma delle distanze spesso è anche superiore al metro.

7.       In base al numero dei fotogrammi calcolare il tempo trascorso in millesimi di secondo dal momento in cui il giocatore tocca la palla al momento in cui questa lascia il suo piede.

Capita spesso che il giocatore pescato in fuorigioco si rivolga sorridendo al guardalinee e fa cenno di no con il dito della mano.

L’arbitro fa cenno di si con la testa e sorride.

Il giocatore spesso ha ragione, perché al momento in cui il compagno ha toccato la palla per calciarla egli era in posizione regolare, mentre, quando il guardalinee ha apprezzato le posizioni, la posizione del giocatore è sembrata irregolare.

Quando alla televisione si vede il replay con la moviola ci si dovrebbe fermare al momento in cui il giocatore, che effettua il lancio, tocca la palla e allora si vedrebbe che molti falli fischiati per fuorigioco sono in realtà degli errori arbitrali indotti da false valutazioni dei guardalinee.

Il guardalinee apprezza le posizioni non al momento in cui il giocatore, che effettua il lancio, comincia a toccare la palla, ma quando la sente partire, cioè con un ritardo di qualche decimo di secondo, per cui nel frattempo le posizioni dei giocatori sono cambiate.

Alcune volte il guardalinee non si trova in linea con il secondo difendente oppure rimane impallato dall’attaccante e non vede perfettamente la posizione del difendente.

Nel caso di dubbio il guardalinee dovrebbe astenersi dal sollevare la bandierina.

Ci sono giocatori che giocano sempre al limite del fuorigioco e sono da considerarsi come veri e propri specialisti del fuorigioco, ma molte volte vengono fermati per falli inesistenti.

La riflessione che si può fare è che queste furbizie vengono messe in atto nella speranza che l’arbitro abbocchi e se l’arbitro non le punisce severamente c’è il rischio che la partita degeneri.

L’ideale sarebbe che queste furbizie venissero sempre sanzionate severamente in modo da fare togliere il vizio di fare i furbi, per rispettare quelle condizioni di lealtà e sportività che dovrebbero essere proprie del gioco del calcio.

Calcio. Fuorigioco

L’applicazione della regola del fuorigioco nel gioco del calcio ha sempre suscitato commenti, proteste, pareri discordanti, accuse, e chi più ne vuole, più ne metta.

In realtà il regolamento del gioco del calcio stabilisce che tra un attaccante e la linea di porta, che fa parte della linea di fondo, ci debbano essere almeno due avversari, due difendenti.

Sembra facile, ma così non è.

Ci sono state parecchie interpretazioni, raccomandazioni anche autorevoli, indicazioni, guardate spesso con sospetto.

La regola vuole che quando un giocatore passa la palla ad un compagno, tra questo e la porta ci debbano essere almeno due difendenti.

Il discorso si fissa su due punti:

  1. L’attimo in cui il giocatore tocca la palla per il passaggio al compagno, perché è in quell’attimo che egli manifesta la volontà di passare la palla al compagno e quindi di commettere il fallo, se il compagno si trova in posizione di fuorigioco;
  2. La posizione del compagno, cui è indirizzata la palla, da determinarsi nell’attimo, in cui il compagno tocca e gli passa la palla.

Ad apprezzare questi due punti è chiamato l’arbitro e soprattutto il guardalinee, che segue quella zona di campo.

Alla scuola arbitri insegnano ai giovani aspiranti direttori di gara che l’arbitro e il guardalinee non devono guardare il giocatore che calcia la palla.

Il momento preciso da fissar per l’apprezzamento della regola del fuorigioco deve essere “ascoltato”.

L’arbitro e il guardalinee devono tendere le orecchie per sentire la botta che il calcio dà alla palla e riescono a farlo, perché sono concentrati e quasi non sentono il rumore che il pubblico fa sugli spalti.

Il momento preciso è quando il giocatore tocca la palla, perché in quel momento si concretizza la possibilità della posizione di fuorigioco.

Non è, quindi, il momento in cui la palla lascia il piede del giocatore da tenere in considerazione, ma il momento in cui il giocatore tocca la palla per fare il passaggio al compagno.

È quando il giocatore tocca la palla che bisogna apprezzare la posizione eventuale di fuorigioco.

La differenza in termini di tempo sembra irrilevante, perché si trascura il tempo, piccolo quanto si vuiole, ma da considerare comunque, che la palla, che ha preso la botta, si comprime leggermente e per reazione alla botta parte lasciando il piede del giocatore.

L’arbitro e il guardalinee devono sentire il rumore, che fa la botta data al pallone.

Per la precisione occorre tenere in conto anche la velocità della trasmissione del suono per cui, specialmente il guardalinee, che è più distante rispetto all’arbitro, sente la botta qualche frazione di secondo dopo che il fatto è avvenuto.

La televisione fissa l’attenzione a quando la palla lascia il piede del giocatore, ma questo momento è sicuramente successivo al momento in cui il giocatore viene in contatto con la palla, che sta calciando.

Fissiamo l’attenzione ora sull’attaccante che deve ricevere la palla.

Normalmente tutti i giocatori stanno attenti a non farsi pescare in fuorigioco e quindi tengono conto della linea dei difensori.

Il guardalinee per apprezzare il fuorigioco si deve muovere sempre rimanendo allineato con il secondo difendente.

Altrimenti la sua valutazione sarebbe affetta dall’errore di parallasse, per cui la sua valutazione potrebbe essere sbagliata.

Nel momento in cui il guardalinee sente il rumore, che produce il calcio dato al pallone, in quel preciso momento egli deve valutare le posizioni dei giocatori.

L’attaccante deve essere o dietro o al massimo allineato con il secondo difendente.

La parola allineato significa che nessuna parte del corpo dell’attaccante, con la quale si può venire in contatto con la palla senza commettere fallo, si deve trovare più vicina alla linea di porta rispetto al corpo del secondo difendente.

La posizione delle braccia fino all’omero e al muscolo deltoide non conta perché, se la palla viene giocata in contatto con queste parti del corpo, l’arbitro deve fischiare il fallo di mano.

Tutte le rimanenti parti del corpo devono trovarsi arretrate o al massimo allineate rispetto alla sagoma del corpo del difendente.

Il caso diventa difficile quando l’attaccante scatta per raggiungere il pallone e il difendente si sposta verso il centro del campo per mettere in fuorigioco l’avversario.

Se i giocatori fossero fermi la valutazione potrebbe anche risultare molto più facile, ma i giocatori sono in movimento, per cui il guardalinee deve essere molto bravo, anche eccezionalmente bravo in certi casi ad apprezzare le posizioni relative dei giocatori e alzare immediatamente la bandierina nel caso in cui il giocatore, giudicato in fuori gioco, partecipi all’azione.

Normalmente l’attaccante che sa di trovarsi in netta posizione di fuorigioco si disinteressa del pallone e questo fatto induce l’arbitro a non fischiare il fallo, perché il fallo in questo caso è inesistente.

Ci sono però alcuni giocatori che mettono in atto alcune furbizie.

Per esempio, il giocatore in netta posizione di fuorigioco si disinteressa della palla e con fare naturale si interpone tra il compagno, che calcia, e la posizione del portiere, impedendo a quest’ultimo di vedere partire il tiro.

L’arbitro normalmente lascia correre e convalida il gol e questo giustifica la furbizia per cui il giocatore impedisce al portiere di vedere partire il tiro.

L’arbitro in questo caso sbaglia e dovrebbe ammonire il giocatore per eccesso di furbizia o comportamento non regolamentare in campo.

Molte volte due o tre giocatori, che non partecipano all’azione, scattano in evidente posizione di fuorigioco per richiamare i difensori verso una zona del campo lontana da quella in cui un compagno, che scatta da dietro, corre velocemente e indisturbato verso la porta.

Il caso più comune è quando l’attaccante corre verso la porta e tutta la linea dei difensori avanza verso il centro del campo per metterlo in fuori gioco.

A questo punto entrano in gioco quei tempi, che inizialmente abbiamo ritenuto trascurabili, ma che possono non essere più trascurabili, se, per es, si trattasse di un paio di decimi di secondo.

In due decimi di secondo l’attaccante che scatta può anche spostarsi di circa due metri o poco meno, mentre il secondo difendente può avanzare di circa un metro.

C’è una differenza di tre metri solo considerando il tempo che intercorre tra quando il giocatore tocca la palla per giocarla e quando questa lascia il suo piede e il rumore viene percepito dal guardalinee.

Ed è tutto regolare, perché il guardalinee è un uomo e non una macchina.

Anche la ripresa televisiva, che si basa sul momento in cui la palla lascia il piede del giocatore, non coglie l’attimo preciso in cui si concretizza il fallo.

Molti dei falli fischiati per fuorigioco sono inesistenti, ma vengono rilevati da giudici sicuramente onesti, che sbagliano inconsapevolmente.

L’attaccante dovrebbe scattare non quando si trova in linea con i difensori, ma partendo da una posizione più arretrata, tanto l’attaccante si trova in corsa verso la porta e il difensore si trova preso in contropiede, perché si sta spostando verso il centro del campo.

Le perplessità sorgono quando in alcune partite sembra che vengano fischiati falli di fuorigioco inesistenti e in altre partite vengono convalidati gol segnati in evidenti posizioni di fuorigioco.

Il designatore degli arbitri ha un compito molto complesso e difficile, perché dopo le partite le deve commentare con gli arbitri interessati e far loro rilevare gli errori affinché non abbiano a ripetersi più o a ripetersi con minore frequenza.

Il costante miglioramento degli arbitri e dei guardalinee è fondamentale per formare una classe di professionisti ad alto livello, che commettono pochissimi errori e si fanno apprezzare per la loro professionalità.

La patologia diabetica

Sintomi, analisi, diagnosi, terapia, eventuali complicanze tardive, queste sono le tappe caratteristiche del diabete, una malattia molto seria, assolutamente da non trascurare.

Il punto debole di questo percorso viene individuato del ritardo della risposta da parte del medico alle esigenze del paziente, cioè le indicazioni del medico sono sempre successive al verificarsi dei fenomeni.

La malattia ha quindi la possibilità di progredire, spesso nell’ombra, senza dare segni evidenti del suo evolversi.

C’è da osservare che il paziente non sempre segue le indicazioni del medico e che il medico le ripete pazientemente per alcune volte e potrebbe non più insistere, come dovrebbe.

Spesso risulta debole la convinzione da parte del medico di riuscire a controllare la malattia prima con la sola dieta, poi con i farmaci ipoglicemizzanti e in seguito con l’insulina.

Ciascuno di questi passaggi trova riscontro nelle mutate condizioni del paziente che non ha evidente giovamento dalla cura fino ad allora praticata.

Quando si arriva alla fase della somministrazione dell’insulina, il medico deve stabilire il dosaggio del medicinale e lo può fare solo in via approssimativa, basandosi su pochi valori di controlli effettuati: glicemia, emoglobina glicosilata, trigliceridi, …

Al paziente viene consigliato l’uso di uno strumento per la misura della glicemia e gli vengono fornite le istruzioni per procedere all’autocontrollo della glicemia.

Se il medico è abbastanza moderno consiglia anche di annotare i valori della glicemia in corrispondenza delle date e delle ore di effettuazione dei controlli.

Il dosaggio dell’insulina viene in tal caso effettuato in base ai valori medi riscontrati durante gli autocontrolli, che il paziente ha effettuato.

Questa è la prassi nella maggior parte dei casi.

Occorre migliorare queste procedure per ottenere risultati migliori.

Mi sembra corretto che il paziente diabetico proceda all’autocontrollo della glicemia.

Si può suggerire di fare un autocontrollo in corrispondenza di ogni somministrazione d’insulina, naturalmente a digiuno.

Si tratta di fare tre o quattro autocontrolli al giorno o “pro die”, come dicono i medici.

I risultati devono essere annotati su un quaderno con indicata la data e l’ora del controllo oltre al valore della glicemia riscontrata.

Il quaderno deve essere mostrato al medico curante in occasione della visita periodica, che si consiglia sia mensile, e allo specialista diabetologo almeno con frequenza trimestrale.

Il punto debole di queste procedure sta nel fatto che il medico può variare ed adattare la dose d’insulina in base ai valori medi riscontrati, salvo leggere variazioni di una o due unità suggerite in casi particolari.

Il lavoro di stima della dose d’insulina, fatto periodicamente dal medico può essere agevolato dall’ausilio fornito da un software studiato ad hoc, che consente di adattare la dose d’insulina con una precisione molto maggiore.

Il software sfrutta vari elementi per influire positivamente sulle condizioni del paziente.

Innanzi tutto e fondamentale è l’aspetto psicologico ottenuto mediante l’uso, anche ridondante, di grafici, che fissano l’andamento della glicemia in confronto con i limiti della compensazione.

Se il paziente nota che i suoi valori sono all’interno della zona di compensazione, (normalmente da 75 a 130 mg/dl), è evidente che provi un senso di soddisfazione, che lo spinge a cercare i ripetersi dell’evento e quindi a rifiutare dolcini e altro che potrebbero influire sulla glicemia.

Pericoloso risulta il fatto che a tavola molte volte la moglie o il marito di fronte a una pietanza non interamente consumata dica: “ E’ un peccato lasciarla, dai, finiamola.”

Il paziente diabetico pensando che avrebbe guastato il grafico delle glicemie, trova la forza per resistere e rifiutare di ingurgitare inutili sostanze, che andrebbero ad aumentare il glucosio nel sangue, cioè la glicemia.

Questo effetto psicologico dà origine a risultati non trascurabili.

Un altro effetto non trascurabile è dovuto al fatto che le dosi d’insulina iniettate in confronto ai pasti effettuati vengono sottoposti a indagine, per vedere se i risultati ottenuti sono confacenti con gli scopi che si volevano ottenere, cioè con il mantenimento della glicemia dentro il campo della compensazione.

Le dosi d’insulina vengono verificate e, in caso ce ne fosse bisogno, viene proposta una modifica.

Il vantaggio sta nel fatto che la modifica non riguarda il dosaggio d’insulina per tutti i possibili valori di glicemia, ma soltanto per campi ristretti di valori.

Attualmente i campi sono: 0-50-70-90-120-140-160-180-oltre180.

Sperimentato il software per circa un anno, si sono ottenuti i risultanti seguenti.

Prima dell’uso del software: ipoglicemie 10%, compensazione 30%, valori fino a 180 mg/dl 35%, valori fino a 250 20%, valori oltre 250 5%.

Con l’uso del software e insulina HM: ipoglicemie 10%, compensazione 55%, valori fino a 180 mg/dl 25%, valori fino a 250 10%, valori oltre 250 0%.

Con l’uso del software e insulina aspart: ipoglicemie 10%, compensazione 55%, valori fino a 180 mg/dl 30%, valori fino a 250 5%, valori oltre 250 0%.

Con ipoglicemie vengono classificati valori di glicemia inferiori a 75 mg/dl, normalmente tali valori sono maggiori di 60 mg/dl.

Non si tratta, quindi, di ipoglicemie molto pericolose.

E’ da precisare che il software interviene solo se i risultati non sono quelli della compensazione ed interviene in modo scientifico sfruttando i criteri di regolazione propri dei sistemi di regolazione dei controlli automatici, che sono alla base per la regolazione e la stabilizzazione dei segnali in elettronica.

Come tutti i software, il software di ausilio per il diabete viene aggiornato e migliorato abbastanza spesso per il raggiungimento dello stato ottimale.

L’effetto benefico in queste condizioni non può che migliorare continuamente.