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Diabete. Il piccolo medico.

Nella sala d’aspetto di un ambulatorio di diabetologia di una ASL sono presenti di solito molte persone nell’attesa che cominci il servizio delle visite ambulatoriali di diabetologia.
Sono tutti pazienti diabetici, che attendono di essere visitati dallo specialista della ASL, alcuni per il controllo periodico della terapia, altri per avere rinnovato il permesso di ritirare presso altri uffici della medesima ASL il materiale per fare l’autocontrollo della glicemia.
L’attesa si protrae per alcune ore.
Due persone anziane parlano tra di loro.
Uno dice:”Ho appena ritirato le analisi: 146.”
L’altro:”Io sto meglio: 142”.
Dopo un poco, il primo dice:” Questo dottore non mi fa niente. Non mi visita. Mi fa accomodare. Mi dice “Sedetevi” e poi “ Come vi sentite? Ci sono novità? Va bene, continuate così. ”
Questo breve colloquio, che sembra insignificante, al contrario ritrae un’immagine desolante dello stato dell’assistenza sanitaria oggi in Italia per i pazienti diabetici.
Ai due pazienti non è stata data alcuna informazione su che cosa sia il diabete, la glicemia, i controlli periodici, la malattia di cui sono affetti.
Pensano che la glicemia sia un valore costante, che si mantiene per parecchi giorni sempre allo stesso valore.
I pazienti fanno l’analisi della glicemia una volta al mese, come se la glicemia potesse avere un valore costante durate tutto il mese.
Lo pensano anche molti medici, anche specialisti in diabetologia.
Questo è un gravissimo errore.
La glicemia, la quantità di glucosio presente nel sangue, varia di ora in ora, di minuto in minuto, essendo legata al metabolismo del cibo ingerito con i pasti.
È chiaro che questi pazienti non sono stati formati in alcun modo e sono chiamati ad affrontare una malattia cronica, quindi incurabile, come il diabete, privi di ogni cognizione che possa aiutarli a rendersi conto della gravità della malattia e di quei provvedimenti da mettere in atto per cercare di combatterla.
È il classico tran-tran di tutti i pazienti mal seguiti e assistiti, che fanno l’analisi del sangue una volta al mese e credono che il valore di laboratorio della glicemia sia un valore da prendere in considerazione in quanto significativo dello stato della malattia.
Allo stesso modo è da considerare negativamente il fatto che lo specialista diabetologo si basi sul valore di glicemia riscontrato, mediante misura sul sangue capillare, immediatamente prima della visita.
I dati preliminari prima della visita, di cui dispone lo specialista, non gli consentono di giudicare lo stato della malattia e la conclusione “Continuate così.” dimostra l’assoluta inutilità della visita.
Ciò dimostra che i pazienti diabetici, che si rivolgono alle ASL per il controllo della terapia diabetica, sono abbandonati a se stessi e in preda alle conseguenze terribili della malattia.
Non si vede che cosa aspetti il diabetologo per fare qualche cosa per tamponare la malattia, per evitare il triste destino, cui è votato il paziente diabetico.
Il diabete è una malattia cronica, quindi non guaribile.
Si possono cercare di adottare quei provvedimenti, che siano efficaci al fine di allontanare, ritardare o impedire quelle complicanze tardive, che sono il triste epilogo della malattia.
Quando però si deve osservare che le strutture che dovrebbero assistere i pazienti diabetici sono inefficaci, ci si chiede come mai il servizio sanitario nazionale spenda tanti soldi per mantenere tanti emeriti medici inefficaci, che illudono i pazienti e si rendono complici di tutte le cattive avversità, di cui saranno affetti nel futuro i diabetici.
È necessario procedere alla “formazione” dei pazienti diabetici, informandoli delle caratteristiche della loro malattia e di tutte quelle terapie, da mettere in atto per cercare di combattere la malattia, e di allontanare, se non di escludere tutte le complicanze, che rendono terribile la malattia.
I medici pensano di “educare” i pazienti diabetici, rendendoli edotti delle nozioni basilari proprie della professione medica.
È come se si consegnasse a ciascun paziente una scatola con il giocattolo “Il piccolo medico” e si pretendesse che il paziente diventasse un piccolo, piccolissimo medico per affrontare la malattia.
È un gravissimo errore.
Il paziente deve essere formato per avere una sua “cultura del paziente”, per poter comprendere come comportarsi con la malattia e non deve avere delle cognizioni minime per scimmiottare la “cultura del medico”.
Alla fine il paziente è affidato a un’infermiera esperta, che gli insegna come fare l’autocontrollo della glicemia e tutto finisce lì.
A questo punto occorre rivedere tutte le procedure d’intervento della medicina nei confronti della malattia.
I medici devono prendere atto che la glicemia è un dato variabile e si devono togliere dalla testa che la dose d’insulina possa essere costante, perché la glicemia varia di momento in momento e la dose d’insulina, il cosiddetto bolo, deve variare di conseguenza.
I medici si devono togliere dalla testa che se la glicemia è inferiore a 70 mg/dl non occorre fare l’iniezione d’insulina.
In tal caso il paziente comincia a rimpinzarsi di dolcini ed esce dalla possibile ipoglicemia.
I medici devono consigliare ai pazienti di aspettare un’ora e poi fare un nuovo controllo della glicemia.
In base al nuovo valore della glicemia, rilevato dopo un’ora, si deve dosare l’insulina.
Così per valori di glicemia maggiori di 180 mg/dl è inutile e dannoso consigliare di aumentare la dose dell’insulina di due unità in base a ogni 50 mg/dl di glicemia superiori al limite di 180 mg/dl.
Occorre tenere conto della glicosuria.
Siccome la glicosuria è un fenomeno abbastanza lento, è consigliabile un bolo di 4 unità d’insulina rapida per abbassare prontamente il picco glicemico e poi lasciare alla glicosuria il compito di livellare la glicemia.
È sbagliato correre dietro al valore della glicemia rendendo il bolo d’insulina proporzionale al valore della glicemia.
L’insulina deve essere dosata con sistemi più moderni ed efficaci, come la feedback, cioè la considerazione dell’effetto provocato dalla dose d’insulina iniettata.
Osservando il panorama di come è fronteggiata la malattia da parte dei medici, viene da chiedersi come mai l’assistenza sanitaria si sia ridotta così male, così in basso, a spese di milioni di pazienti, che sono votati al sacrificio con la complicità di una massa enorme di inesperti ben pagati.
Ormai si è instaurata una prassi di non intervento, appoggiata dai politici locali e nazionali, che è difficile cercare di smuovere, di fare cambiare.
Qui non si tratta di considerare la malattia come un’epidemia, qui si tratta di vedere quello che sta succedendo, di costatare come la medicina sia diventata un’organizzazione di inutili mangiasoldi, che abbandonano al loro destino i pazienti diabetici nell’impossibilità cognitiva di poterli curare al meglio.
Occorre una profonda riforma del sistema sanitario nazionale portando sui banchi di scuola i medici, che devono curare il diabete, per dare loro le cognizioni minime per affrontare la malattia.
Oggi ci sono le nuove conoscenze che portano a considerare le macrovasculopatie, che sono totalmente trascurate dai medici, che non le mettono in conto.
I consigli di tenere sotto controllo la glicemia valgono per le microvasculopatie, ma sono quasi inefficaci nei confronti delle macrovasculopatie.
Il 66% dei pazienti diabetici muore per cause cardiache, ma i medici non se ne preoccupano.
In un congresso di cardiologia il diabete è stato giustamente considerato come una malattia cardiaca, ma questo non riesce a interessare i medici curanti.
Occorrerebbe studiare le macrovasculopatie, per fare qualcosa, per inventare qualcosa, perché non è possibile lasciare morire il 66% dei diabetici senza fare qualche cosa, senza combattere, senza spremere le proprie meningi al fine di trovare la cura, la terapia che valga a salvare tante vite umane.

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