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Diabete. Ipotesi sulla nascita del diabete.

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata da un aumento della quantità di glucosio presente nel sangue, la glicemia.

Una certa percentuale di emoglobina si lega al glucosio presente nel sangue formando l’emoglobina glicata o glicosilata, che nelle persone sane assume valori compresi tra il 4.8% e il 6%.

Il diabete è caratterizzato da un’emoglobina glicata maggiore del 6%, che si ritiene essere il limite massimo dell’emoglobina glicata nelle persone sane.

Nel diabete curato con la sola dieta non c’è modo di influire sull’emoglobina glicata se non con il bilanciare le calorie spese o spendibili nel corso della giornata, con le calorie assunte con il cibo.

Se si mangia troppo la glicemia a digiuno aumenta.

Se si mangia poco la glicemia a digiuno si mantiene bassa.

Con la glicemia a digiuno bassa l’emoglobina glicata diminuisce, perché l’emoglobina ha una minore probabilità d’incontrare le molecole di glucosio, essendo diminuita la percentuale di molecole di glucosio presenti nel sangue.

Se, per quanto bassa, la glicemia a digiuno non scende sotto i valori accettabili (circa 120 mg/dl) significa che la sola dieta è insufficiente per controllare la glicemia.

Occorre stimolare il pancreas a produrre una maggiore quantità d’insulina, che è l’ormone che consente al glucosio di penetrare nelle cellule.

Le pillole ipoglicemizzanti producono l’effetto voluto di stimolare il pancreas a produrre una maggiore quantità d’insulina.

Se nonostante gli stimoli la quantità d’insulina prodotta dal pancreas è ancora insufficiente per lavorare il glucosio presente nel sangue, allora occorre fornire insulina dall’esterno, mediante iniezioni sottocutanee d’insulina.

Ci sono varie qualità d’insulina ed è compito del medico di famiglia e dello specialista diabetologo stabilire qualità e quantità d’insulina da iniettare al paziente e quando fare le iniezioni.

La scelta del tipo d’insulina e dei dosaggi è personale per il singolo paziente e non può essere copiata per la terapia di altri pazienti, che avranno necessità di qualità e quantità diverse d’insulina.

Per seguire l’andamento della terapia sono stati elaborati dei programmi al computer e uno di essi in particolare è stato sperimentato per diversi anni con ottimi risultati.

Il programma sfrutta il foglio elettronico di Excel per l’immissione dei dati, che sono i valori della glicemia misurati quattro volte al dì, a digiuno prima di colazione, pranzo, cena e al momento di andare a dormire.

Nel programma è presente una tabella, che lega i valori di glicemia alle quantità d’insulina da iniettare.

La tabella viene modificata secondo determinate regole con l’aggiornamento, se necessario, delle quantità d’insulina con leggere variazioni, sempre non superiori a un’unità.

La glicemia è suddivisa in scaglioni (in mg/dl) 30-69, 70-89, 90-119, 120-139, 140-159. 160-179, 180 e oltre.

Non bisogna mai arrivare a valori di glicemia minori di 60 mg/dl.

Nel secondo scaglione (30-69) si tiene conto che il paziente è in ipoglicemia, per cui è indotto ad assumere zuccheri e dolci vari per riportare la glicemia a valori accettabili.

L’iniezione d’insulina è rimandata di circa un’ora, previo nuovo autocontrollo del valore della glicemia.

In corrispondenza degli scaglioni glicemici nella tabella sono indicati i dosaggi dell’insulina rispettivamente per la mattina, il mezzogiorno, la sera e prima di andare a dormire.

I valori vengono aggiornati, se necessario, ogni dieci giorni sfruttando i criteri di regolazione astatica, che considera la velocità di variazione della glicemia, e di regolazione mediante feedback, che considera l’effetto sulla glicemia del dosaggio dell’insulina.

Non bisogna mai inseguire i valori della glicemia con i dosaggi dell’insulina. La regola di aumentare il dosaggio dell’insulina all’aumentare della glicemia oltre i 200 mg/dl non è accettabile, perché porta a forte instabilità nell’andamento della glicemia.

Aumentando la quantità d’insulina all’aumentare del valore della glicemia si corre il rischio di finire in forte instabilità, in cui si alternano stati acuti d’ipoglicemia a stati fortemente iperglicemici.

Il software è in grado di fornire i giusti dosaggi d’insulina in corrispondenza dei valori misurati della glicemia.

Il programma è in grado di fornire in tempo reale il valore dell’emoglobina glicata impiegando una formula creata dagli americani, che lega l’emoglobina glicata alla glicemia media normalmente negli ultimi novanta giorni.

Il calcolo dell’emoglobina glicata è stato messo a punto confrontandolo con i valori forniti dai laboratori di analisi e dopo diversi anni si può considerare abbastanza preciso e può essere assunto come indicativo del valore dell’emoglobina glicata, tenendo anche presente che l’esame di laboratorio è affetto di errori +- 6% del valore di referto, il che equivale ad un valore assoluto di circa +- 0.5%.

Fin qui niente di straordinario.

Per la cura del diabete è stata indicata la necessità di diverse culture: la cultura del medico, la cultura del paziente e la cultura dell’assistente del paziente.

Il medico deve avere il controllo assoluto della terapia e deve seguire molto da vicino lo stato della malattia.

Il paziente deve sviluppare una propria cultura, che non deve essere una copia di pochi elementi di medicina, ma deve essere basata sulla propria osservazione ed esperienza personale.

L’assistente del paziente è indispensabile se il paziente non è autonomo e non è in grado di scegliere la prescritta qualità d’insulina e di dosarla.

Compito dell’assistente è quello di salvaguardare la salute del paziente impedendo gli errori che possono anche essere molto gravi, come quello di iniettarsi insulina rapida al posto dell’insulina glargine.

Una cultura molto importante, da prendere in considerazione, è la “cultura del ricercatore”.

Mentre il medico agisce nel campo delle conoscenze acquisite, il ricercatore agisce all’esterno di tale campo.

Medico e ricercatore agiscono in campi nettamente separati, per cui non ci può essere conflittualità tra il parere del medico e quello del ricercatore.

Quando le scoperte del ricercatore saranno acquisite come conoscenze mediche diventeranno a disposizione del medico, che le terrà in considerazione nel proprio lavoro.

La ricerca deve riguardare necessariamente conoscenze non ancora acquisite e deve essere stimolata dalla necessità di andare avanti per risolvere determinati problemi.

Il ricercatore ha creato concetti nuovi per meglio seguire l’andamento della malattia diabetica.

Un elemento importantissimo si è dimostrato il “Coefficiente Hb”, già oggetto di posts precedentemente pubblicati su questo blog.

Il coefficiente Hb è molto più variabile rispetto all’emoglobina glicata.

Il coefficiente Hb è calcolato sulla base di 90 giorni, ritenendo che l’emoglobina di nuova formazione sia più incline a legarsi al glucosio rispetto all’emoglobina, che ha già qualche mese ed è in fase di cessazione della propria attività.

Il coefficiente Hb è un indice della percentuale di emoglobina di nuova formazione in confronto all’emoglobina media presente nel sangue.

Il valore del coefficiente Hb si considera un numero puro.

In prima approssimazione si è ritenuto che valori accettabili del coefficiente Hb dovessero essere compresi nel campo 3.0-4.0.

L’applicazione del programma di controllo della glicemia nel diabete ha consentito di mettere in risalto un grafico che riporta il tracciato con l’andamento mensile dell’emoglobina glicosilata in corrispondenza di un altro tracciato con l’andamento mensile dei valori del coefficiente Hb.

Giorno dopo giorno per tutto il mese si possono seguire i due tracciati, quello dell’emoglobina glicata e quello del coefficiente Hb.

L’applicazione del programma, con l’ottimizzazione dei dosaggi dell’insulina ha prodotto risultati di una certa importanza ai fini della cura del diabete.

Innanzitutto si è notata una costante diminuzione della quantità d’insulina necessaria prevista nella tabella glicemia- insulina.

Le unità d’insulina da somministrare giornalmente sono indicate dal software in diminuzione.

E’ come se il sistema di regolazione dell’insulina, che è difettoso nel diabetico, cominciasse a funzionare un pochino meglio, per cui il pancreas fornisse una maggiore quantità d’insulina.

L’emoglobina glicata è anch’essa in diminuzione.

Esaminando i dati di un paziente diabetico è stato possibile trarre le conclusioni sull’andamento della malattia.

Prendendo in considerazione un mese intero, si è notato che l’emoglobina glicata si è mantenuta costante intorno al 5.5% per tutto il mese.

A fronte della costanza dell’emoglobina glicata si è notato che i valori del coefficiente Hb sono andati in continua diminuzione.

Quando il coefficiente Hb si avviava ad avere valori minori di due si sono fatte le dovute considerazioni e presi i provvedimenti necessari per fare risalire i valori del coefficiente Hb.

E’ possibile per il diabetico mantenere valori di emoglobina glicosilata paragonabili a quelli di una persona sana senza particolari sforzi, ma si ha in corrispondenza una diminuzione del coefficiente Hb, cioè una diminuzione in percentuale dell’emoglobina di nuova formazione, cioè di eritrociti, di globuli rossi di nuova formazione.

Diminuendo i dosaggi dell’insulina si è riportata l’emoglobina glicosilata intorno al valore del 6% e il coefficiente Hb è risalito a valori intorno a 3.5-4.5.

Un’emoglobina glicata più alta significa una maggiore percentuale di glucosio presente nel sangue.

Una glicemia più elevata, rispetto ai valori delle persone sane, provoca un aumento nella formazione dei globuli rossi e quindi anche dell’emoglobina presente nel sangue.

Nel diabetico si può avere un abbassamento dei valori dei globuli rossi dovuto a un cattivo funzionamento del midollo osseo, che è quello che presiede alla formazione dei globuli rossi del sangue.

Questo difetto del midollo osseo può avere anche un’origine ereditaria, è cioè essere trasmesso con il DNA da uno o da entrambi i genitori.

L’organismo che sente questa insufficienza della capacità del midollo osseo a fornire un numero adeguato di eritrociti, cerca di correre ai ripari aumentando la glicemia, cioè la quantità di glucosio presente nel sangue per cercare di nutrire al meglio le cellule, compensando la diminuita quantità di eritrociti con l’aumentato contenuto in glucosio del sangue in circolazione.

La diminuzione dell’emoglobina può tradursi in una diminuzione dell’ossigenazione dei tessuti per difetto nel numero dei mezzi di trasporto dell’ossigeno.

Peraltro in difetto di ossigenazione il diabetico converte parte del glucosio, che la glicolisi ha convertito in piruvato, in lattato invece di convertirlo tutto in acetil coenzima A.

Con la gliconeogenesi il lattato viene riconvertito in glucosio, che si aggiunge a quello già presente nel sangue.

Il risultato è che il diabetico ha buoni motivi per andare in iperglicemia.

L’emoglobina glicata nel paziente diabetico può scendere se il dosaggio dell’insulina è quello corretto e se si raggiunge il perfetto equilibrio tra energia spendibile, consumabile ed energia acquisibile mediante i pasti.

Il peso corporeo in questi casi si mantiene costante, mantenendo l’equilibrio.

L’effetto più visibile è la diminuzione dell’insulina necessaria da iniettare e la diminuzione dell’emoglobina glicata.

Il diabetico può raggiungere senza difficoltà un’emoglobina glicosilata del 5,5% ma paga con una diminuita formazione di nuovi globuli rossi e quindi di emoglobina di nuova formazione.

La glicemia più alta rispetto a quella delle persone sane, la iperglicemia non è la causa scatenante del diabete.

Alla luce di quanto emerso la iperglicemia può essere considerata come mezzo di difesa dell’organismo per compensare la diminuita efficienza del midollo osseo nel formare nuovi globuli rossi, aumentando il contenuto in glucosio del sangue in circolazione.

Il diabete è caratterizzato da una glicemia più elevata rispetto a quella riscontrabile nelle persone sane, ma questo è un mezzo di difesa dell’organismo per bilanciare con l’aumento del contenuto in glucosio del sangue la diminuzione degli eritrociti.

In medicina la stimolazione del midollo osseo è fatta con l’uso di diverse sostanze medicinali.

L’organismo si organizza con l’aumento della glicemia per contrastare la diminuzione dei globuli rossi di nuova formazione, arricchendo il sangue di glucosio.

L’aumento del glucosio presente nel sangue, la glicemia, deve essere compensato con un aumento dell’insulina disponibile.

Se il pancreas non ce la fa a fornire la quantità necessaria d’insulina, si ha il diabete e occorre adottare i metodi di cura del diabete.

Quello che è importante è che il coefficiente Hb, abbassandosi quando l’emoglobina glicata è scesa a valori intorno al 5,5%, ha messo in risalto un nuovo aspetto da considerare nella malattia diabetica.

La glicemia non è la causa della malattia diabetica, ma un mezzo di difesa dell’organismo di fronte all’insufficienza, alla difficoltà nella fabbricazione di nuovi globuli rossi del sangue.

Diventa essenziale la compensazione della glicemia.

Una cura errata del diabete, con valori eccessivi di glicemia porta alle complicanze tardive, che sono assolutamente da evitare, e si possono allontanare dosando in modo equilibrato le energie che si consumano con quelle che si acquisiscono con i pasti.

Per contro per quanto si compensi molto bene la glicemia non occorre scendere oltre il 5.8% con l’emoglobina glicata perché in tal caso si può avere una diminuzione del coefficiente Hb, cioè della percentuale di eritrociti , di globuli rossi di nuova formazione.

L’obiettivo del paziente diabetico deve essere quello di mantenere l’emoglobina glicata intorno al 5.8% e continuare ad equilibrare l’energia spendibile durante la giornata con quella assimilabile con i pasti.

Il diabetico non può raggiungere i valori di emoglobina glicata come quelli che si riscontrano nelle persone sane, ma deve cercare di avvicinarsi ad essi mantenendosi un pochino al di sopra.

Riuscire a mantenere un’emoglobina glicata intorno al 5.8% è un target accettabilissimo per il paziente diabetico.

Scendere al disotto con i valori dell’emoglobina glicata può diventare rischioso ed è assolutamente da evitare.

In definitiva sono emerse due cose importanti dalla sperimentazione sull’uso del software per la cura del diabete:

1)      La diminuzione della quantità d’insulina da iniettare dall’esterno per raggiungere la compensazione.

Dopo quattro anni la diminuzione della quantità d’insulina totale da iniettare durante la giornata è di circa un terzo, per cui bastano oggi i due terzi dell’insulina, che era necessario iniettare quattro anni fa.

Il sistema di regolazione della glicemia con la compensazione funziona meglio e il pancreas migliora la produzione dell’insulina.

2)      Il buon andamento della compensazione garantisce una diminuzione dell’emoglobina glicosilata, ma non è consigliabile scendere sotto al 5.8%, perché in tal caso si ha una diminuzione del coefficiente Hb, fino a far temere una forte diminuzione dell’emoglobina di nuova formazione.

Il midollo osseo produce una minore quantità di nuovi globuli rossi, di nuova emoglobina e per riprendere il funzionamento normale l’organismo aumenta la glicemia e quindi la quantità di glucosio presente nel sangue.

E’ forte il sospetto che il diabete sia dovuto al cattivo funzionamento del midollo osseo anche per cause ereditarie, per cui l’iperglicemia è un mezzo di difesa, che l’organismo adotta per ovviare al grave deficit nella produzione di emoglobina.

La iperglicemia non è la causa del diabete, ma il mezzo di difesa che l’organismo adotta per ovviare al cattivo funzionamento del midollo osseo.

Per ovviare alla diminuzione dell’emoglobina e dei globuli rossi l’organismo ricorre a una maggiore quantità di glucosio nel sangue, a un aumento della glicemia con conseguente aumento dell’emoglobina glicata.

L’uso del software si dimostra indubbiamente fondamentale per seguire la cura del diabete, perché oltre a fornire i dosaggi insulinici, dà la possibilità attraverso i grafici di seguire molti importanti parametri, come l’emoglobina glicata e il coefficiente Hb.

Il bello della ricerca è che è inesauribile, non finisce mai e man mano che aumentano le conoscenze sulla malattia migliora la sua cura e i risultati non possono che essere positivi.

 

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