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DIABETE. LA CARENZA DI GLUCOSIO NELLE CELLULE.

Diabete.

Il diabete è una malattia, che affligge un numero sempre maggiore di persone nel mondo.

Ciò significa che le cure a livello mondiale sembrano essere inefficaci.

Le cure sono ormai standardizzate, ma sorge il sospetto che qualcosa non vada bene nelle terapie.

È probabile che ci siano errori di natura teorica nella trattazione del diabete.

 

Glucosio.

Le sostanze ingerite con i pasti sono elaborate e trasformate in glucosio, che è l’unica sostanza, che le cellule dell’organismo accettano per il loro nutrimento.

Il glucosio è anche una fonte di ossigeno per le cellule del corpo umano.

Il glucosio, derivato dai cibi, passa nel sangue, pronto per essere assimilato dalle cellule dell’organismo.

L’ormone insulina provvede a fare attraversare al glucosio le membrane cellulari e a diffondersi nel citoplasma all’interno delle cellule.

 

Le membrane cellulari.

Occorre fare alcune osservazioni in merito al trasporto del glucosio attraverso le membrane cellulari.

Non tutto il glucosio presente nel sangue, la glicemia, è in grado di passare all’interno delle cellule del corpo umano per nutrirle.

Ciò è dovuto al fatto che non tutta l’insulina secreta dal pancreas è efficace, sufficiente e in grado di favorire la penetrazione del glucosio presente nel sangue all’interno delle cellule.

Una parte del glucosio non attraversa le membrane cellulari e rimane nel sangue in quantità maggiore rispetto a quella riscontrabile nel sangue delle persone sane e questo fatto è considerato indice della malattia diabetica.

 

La glicemia.

La medicina ufficiale fissa la propria attenzione sulla glicemia, sul glucosio che rimane nel sangue.

Nel sangue del paziente diabetico si ha una iperglicemia, che è superiore a quella riscontrabile nel sangue delle persone sane.

La medicina appresta tutte le cure necessarie per fare diminuire l’iperglicemia e riportarla al livello normale.

Si ricerca la “compensazione glicemica”.

Tutte le cure, tutti i farmaci sono indirizzati al controllo della glicemia nell’intento di controllarla e di portarla nel campo 70 – 110 mg/dl.

Questo controllo della glicemia non sembra avere un qualche peso efficace nel controllo della malattia diabetica.

Dal diabete non si guarisce perché la glicemia scende e si attesta nel campo 70 – 110 mg/dl.

La patologia diabetica non sembra minimamente influenzata dalla quantità di glucosio, che rimane nel sangue, anche se la glicemia rimane sotto controllo e su valori paragonabili a quelli riscontrabili nel sangue delle persone sane.

Controllando la glicemia non sembra che si possa avere alcun miglioramento della gestione della malattia diabetica.

 

Il fenomeno visto dal lato delle cellule.

Proviamo a guardare il fenomeno non dalla parte del circolo sanguigno, ma dall’altra parte, cioè dalla parte interna delle cellule, che dovevano ricevere il glucosio e non lo hanno ricevuto o non lo hanno ricevuto a sufficienza.

Proviamo a oltrepassare la membrana cellulare e ad osservare il fenomeno da quel punto di vista interno alle cellule.

Proviamo a metterci dal punto di vista dell’interno delle membrane cellulari cioè dall’altra parte rispetto al circolo sanguigno.

 

Carenza di glucosio nelle cellule.

Dal momento che il sangue non riesce a nutrire appieno le cellule, si ha uno stato di perenne carenza di glucosio all’interno delle cellule dell’organismo.

Nel paziente diabetico tutti i tessuti del corpo sono interessati a questo stato di carenza del glucosio.

Con la differenza che gli organi del sistema nervoso centrale, il cervello, etc. reagiscono allo stato d’ipoglicemia con i chiari sintomi, che tutti i pazienti diabetici conoscono, e corrono subito ai ripari aumentando il glucosio presente nel sangue, per es., con delle bustine di zucchero.

Il cervello è sensibile alla glicemia perché utilizza sistemi di assimilazione della glicemia in maniera diretta.

Rimangono in stato di carenza di glucosio tutti gli altri organi del corpo umano, per es., il miocardio, le reni, i muscoli degli arti, i polmoni, le retine degli occhi, l’ematocrito,etc.

Nel paziente diabetico gli organi e i muscoli del corpo sono perennemente in stato di carenza di glucosio senza che sia approntata alcuna cura per contrastare questo fenomeno.

In stato di carenza di glucosio sono in particolare i globuli rossi con la notazione che le molecole delle cellule dei globuli rossi sono all’interno del circolo sanguigno, immerse nel sangue, ma anch’esse soffrono di una insufficiente nutrizione da parte del glucosio.

Non dimentichiamo che tra le funzioni non trascurabili del glucosio c’è anche quella di fornire ossigeno alle cellule del corpo.

In difetto di nutrimento e d’ossigeno si trova anche il midollo osseo, con le conseguenze già viste in un post precedentemente inserito su questo blog dal titolo “Diabete, Ipotesi sulla nascita del diabete.”, di cui richiameremo nel seguito alcuni contenuti.

La parte veramente importante del diabete non è la glicemia ma la carenza di glucosio, in cui si trovano le cellule del corpo umano.

Non è importante il glucosio, che si accumula in quantità eccessiva nel sangue ma la carenza di glucosio, che affligge le cellule dell’organismo, che sono sotto alimentate e in difetto di ossigeno.

Il permanere dello stato di carenza del glucosio, per es., nel miocardio, nelle reni, negli occhi, etc. è responsabile dell’insorgere delle complicanze tardive, che affliggono i diabetici, poiché nessuna cura è stata predisposta dalla medicina ufficiale per ovviare alla carenza di glucosio delle cellule del corpo.

Il preoccuparsi di abbassare la glicemia nel sangue è una cura di dubbia efficacia, mentre è trascurata la vera esigenza delle cellule del corpo e cioè curare la carenza di glucosio delle cellule degli organi.

 

Emoglobina glicosilata.

Riprendiamo il discorso fatto in precedenza nell’intento di legare lo stato di carenza di glucosio diffusa nell’organismo con la situazione nell’ematocrito nel sangue umano.

Sappiamo che una certa percentuale di emoglobina si lega al glucosio presente nel sangue formando l’emoglobina glicata o glicosilata, che nelle persone sane assume valori compresi tra il 4.8% e il 6%.

Le persone affette da diabete presentano valori di emoglobina glicata maggiore del 6%.

Nel diabete curato con la sola dieta non c’è modo di influire sull’emoglobina glicata, se non con il bilancio energetico tra le calorie spese o spendibili nel corso della giornata, con le calorie assunte con il cibo.

Con una glicemia a digiuno bassa l’emoglobina glicata diminuisce, perché l’emoglobina ha una minore probabilità d’incontrare le molecole di glucosio, essendo diminuita la percentuale di molecole di glucosio presenti nel sangue.

Se, per quanto bassa, la glicemia a digiuno non scende sotto i valori accettabili (circa 110 mg/dl) significa che la sola dieta è insufficiente per controllare la glicemia.

Occorre stimolare il pancreas a produrre una maggiore quantità d’insulina, che è l’ormone che consente al glucosio di penetrare nelle cellule.

Le pillole ipoglicemizzanti, in particolare le sulfaniluree, producono l’effetto voluto di stimolare il pancreas a produrre una maggiore quantità d’insulina.

Le altre sostanze utilizzate nelle pillole ipoglicemizzanti in genere inibiscono o ostacolano la gluconeogenesi impedendo la formazione di glucosio a partire dal lattato prodotto nella glicolisi.

Nel sangue rimangono i residui incontrollati di acido lattico, che possono andare liberamente in giro a combinare qualche guaio.

Se nonostante gli stimoli la quantità d’insulina prodotta dal pancreas è ancora insufficiente per trattare il glucosio presente nel sangue, allora occorre fornire insulina dall’esterno, mediante iniezioni sottocutanee d’insulina.

 

Programmi.

Per seguire l’andamento della terapia sono stati elaborati degli appositi programmi al computer e uno di essi in particolare è stato sperimentato per diversi anni con ottimi risultati.

Il programma è in grado di:

  • Dosare l’insulina da iniettare;
  • Calcolare il valore dell’emoglobina glicosilata;
  • Calcolare il valore del coefficiente Hb.

Il programma fornisce un’elaborazione grafica, che consente di seguire nel tempo i valori che interessano riguardanti la malattia.

 

Il programma è in grado di dosare accuratamente l’insulina da iniettare.

Non bisogna mai inseguire i valori della glicemia con i dosaggi dell’insulina. La regola di aumentare il dosaggio dell’insulina all’aumentare della glicemia oltre i 200 mg/dl non è accettabile, perché porta a forte instabilità nell’andamento della glicemia.

Aumentando la quantità d’insulina all’aumentare del valore della glicemia si corre il rischio di finire in forte instabilità, in cui si alternano stati acuti d’ipoglicemia a stati fortemente iperglicemici.

 

Il calcolo dell’emoglobina glicosilata è stato messo a punto confrontando i valori dati dal computer con i valori forniti dai laboratori di analisi.

Dopo diversi anni il programma si può considerare abbastanza preciso e può essere assunto come indicativo del valore dell’emoglobina glicata, tenendo anche presente che l’esame di laboratorio è affetto di errori +- 6% del valore di referto, il che equivale ad un valore assoluto di circa +- 0.5%.

 

Un elemento importantissimo si è dimostrato il “Coefficiente Hb”, già oggetto di posts precedentemente pubblicati su questo blog.

Il coefficiente Hb ha valori più variabili rispetto a quelli dell’emoglobina glicata.

Il coefficiente Hb è calcolato sulla base di 90 giorni, ritenendo che l’emoglobina di nuova formazione sia più incline a legarsi al glucosio rispetto all’emoglobina, che ha già qualche mese ed è in fase di cessazione della propria attività.

Il coefficiente Hb è un indice della percentuale di emoglobina di nuova formazione in confronto all’emoglobina media presente nel sangue.

 

Con l’applicazione del programma si sono ottenuti dei risultati positivi.

Innanzitutto si è notata una costante diminuzione della quantità d’insulina necessaria prevista nella tabella glicemia- insulina.

L’emoglobina glicata è anch’essa stata notata in diminuzione.

E’ possibile per il diabetico mantenere valori di emoglobina glicosilata paragonabili a quelli di una persona sana senza particolari sforzi, ma si ha in corrispondenza una diminuzione del coefficiente Hb, cioè una diminuzione in percentuale dell’emoglobina di nuova formazione, cioè di eritrociti, di globuli rossi di nuova formazione.

Diminuendo i dosaggi dell’insulina si è riportata l’emoglobina glicosilata intorno al valore del 6% e il coefficiente Hb è risalito a valori intorno a 3.5-4.5.

Un’emoglobina glicata più alta significa una maggiore percentuale di glucosio presente nel sangue.

L’emoglobina glicata è proporzionale alla glicemia media nel periodo, per es., di novanta giorni.

Il problema sta nella determinazione del valore della glicemia media da inserire nella formula.

Una glicemia più elevata, rispetto ai valori delle persone sane, provoca un aumento del coefficiente Hb, un aumento nella formazione dei globuli rossi e quindi anche dell’emoglobina presente nel sangue.

 

La ricerca.

Molto importante per la cura del diabete è il lavoro del ricercatore, che analizza le situazioni attuali e, seguendo le proprie idee di sviluppo, mette a punto delle spiegazioni e dei procedimenti nuovi per la cura del diabete.

Il ricercatore verifica le proprie ipotesi in termini scientifici e tiene conto soltanto delle ipotesi, che sono confermate dalla pratica.

Mentre il medico agisce nel campo delle conoscenze acquisite, il ricercatore agisce all’esterno di tale campo.

Medico e ricercatore agiscono in campi nettamente separati, per cui non ci può essere conflittualità tra il parere del medico e quello del ricercatore.

Quando le scoperte del ricercatore saranno acquisite come conoscenze mediche diventeranno a disposizione del medico, che le terrà in considerazione nel proprio lavoro.

La ricerca deve riguardare necessariamente conoscenze non ancora acquisite e deve essere stimolata dalla necessità di andare avanti per risolvere determinati problemi.

 

Il midollo osseo.

Nel diabetico si può avere un abbassamento dei valori dei globuli rossi dovuto a un cattivo funzionamento del midollo osseo, che è quello che presiede alla formazione dei globuli rossi del sangue.

Può avere non poca influenza anche il difetto di alimentazione e di ossigenazione delle cellule del midollo osseo.

Un difetto aggiuntivo del midollo osseo può avere anche un’origine ereditaria, è cioè essere trasmesso con il DNA da uno o da entrambi i genitori.

L’organismo che sente questa insufficienza della capacità del midollo osseo a fornire un numero adeguato di eritrociti, cerca di correre ai ripari aumentando la glicemia, cioè la quantità di glucosio presente nel sangue per cercare di nutrire al meglio le cellule, compensando la diminuita quantità di eritrociti con l’aumentato contenuto in glucosio del sangue in circolazione.

La diminuzione dell’emoglobina può tradursi in una diminuzione dell’ossigenazione dei tessuti per difetto nel numero dei mezzi di trasporto dell’ossigeno.

Peraltro in difetto di ossigenazione il diabetico converte parte del glucosio, che la glicolisi ha convertito in piruvato, in lattato invece di convertirlo tutto in acetil coenzima A.

Con la gluconeogenesi il lattato viene riconvertito in glucosio, che si aggiunge a quello già presente nel sangue.

Il risultato è che il diabetico ha buoni motivi per accumulare glucosio nel sangue.

 

Gestione dell’emoglobina glicosilata.

L’emoglobina glicata nel paziente diabetico può scendere se il dosaggio dell’insulina è quello corretto e se si raggiunge il perfetto equilibrio tra energia spendibile, consumabile ed energia acquisibile mediante i pasti.

Mantenendo l’equilibrio il peso corporeo in questi casi si mantiene costante.

Con l’applicazione del programma l’effetto più visibile è la diminuzione dell’insulina necessaria da iniettare e la diminuzione dell’emoglobina glicata.

Il diabetico può raggiungere senza difficoltà un’emoglobina glicosilata del 5,5% ma paga con una diminuita formazione di nuovi globuli rossi e quindi di emoglobina di nuova formazione.

La glicemia più alta rispetto a quella delle persone sane, la iperglicemia non è la causa scatenante del diabete ma una sua conseguenza.

Il diabete è da imputare al difetto di ossigenazione e di nutrimento delle cellule dell’organismo, non all’iperglicemia, che non c’entra proprio niente essendo una conseguenza e non la causa della patologia diabetica.

 

Un mezzo di difesa.

Alla luce di quanto emerso la iperglicemia può essere considerata come un mezzo di difesa dell’organismo per compensare la diminuita efficienza del midollo osseo nel formare nuovi globuli rossi, aumentando il contenuto in glucosio del sangue in circolazione.

Il diabete è caratterizzato da una glicemia più elevata rispetto a quella riscontrabile nelle persone sane, ma questo è un mezzo di difesa dell’organismo per bilanciare con l’aumento del contenuto in glucosio del sangue la diminuzione del numero degli eritrociti.

In medicina la stimolazione del midollo osseo può essere fatta con l’uso di diverse sostanze medicinali.

L’organismo si organizza con l’aumento della glicemia per contrastare la diminuzione dei globuli rossi di nuova formazione, arricchendo il sangue di glucosio.

L’aumento del glucosio presente nel sangue, la glicemia, deve essere compensato con un aumento dell’insulina disponibile.

Se il pancreas non ce la fa a fornire la quantità necessaria d’insulina, si ha il diabete e occorre adottare i metodi di cura del diabete.

Quello che è importante è che il coefficiente Hb, abbassandosi quando l’emoglobina glicata è scesa a valori intorno al 5,5%, ha messo in risalto un nuovo aspetto da considerare nella malattia diabetica.

La glicemia non è la causa della malattia diabetica, ma un mezzo di difesa dell’organismo di fronte all’insufficienza, alla difficoltà nella fabbricazione di nuovi globuli rossi del sangue.

Per quanto si compensi molto bene la glicemia non occorre scendere oltre il 5.8% con l’emoglobina glicata, perché in tal caso si può avere una diminuzione del coefficiente Hb, cioè della percentuale di eritrociti , di globuli rossi di nuova formazione.

Il diabetico non può raggiungere i valori di emoglobina glicata come quelli che si riscontrano nelle persone sane, ma deve cercare di avvicinarsi ad essi mantenendosi un pochino al di sopra.

Riuscire a mantenere un’emoglobina glicata intorno al 5.8% è un target accettabilissimo per il paziente diabetico.

Se l’emoglobina glicosilata scende al di sotto del 5.8% allora il midollo osseo produce una minore quantità di nuovi globuli rossi, di nuova emoglobina e per riprendere il funzionamento normale l’organismo aumenta la glicemia e quindi la quantità di glucosio presente nel sangue.

E’ forte il sospetto che nel diabete ci si trovi di fronte al cattivo funzionamento del midollo osseo anche per cause ereditarie, per cui l’iperglicemia è un mezzo di difesa, che l’organismo adotta per ovviare al grave deficit nella produzione di emoglobina.

La iperglicemia non è la causa del diabete, ma il mezzo di difesa, che l’organismo adotta per ovviare al cattivo funzionamento del midollo osseo, dovuto alla sotto alimentazione in difetto di ossigeno delle sue cellule.

Per ovviare alla diminuzione dell’emoglobina e dei globuli rossi l’organismo ricorre a una maggiore quantità di glucosio presente nel sangue, a un aumento della glicemia con conseguente aumento dell’emoglobina glicata.

 

Conclusioni.

Il bello della ricerca è che è inesauribile, non finisce mai e, man mano che aumentano le conoscenze sulla malattia, migliora la sua cura e i risultati non possono che essere positivi.

Il fatto che la glicemia aumenti non influisce in maniera sostanziale con la quantità di glucosio, che attraversa le membrane cellulari portando ossigeno e nutrimento all’interno delle cellule dell’organismo.

La carenza di glucosio nelle cellule comporta un aumento della glicemia, ma se  il glucosio non può aumentare il suo flusso attraverso le membrane cellulari, l’organismo avrà cellule in stato di carenza di glucosio, che soffrono la mancanza di glucosio, di nutrimento e di ossigeno.

È questo stato di carenza di glucosio in organi come il miocardio, le reni, le retine, la muscolatura scheletrica, che a lungo andare produce i danni terribili delle complicanze tardive, che portano ad atroci sofferenze fino alla fine.

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