Categorie

Diabete. La terapia moderna.

Il diabete è una malattia cronica, in cui si ha un eccesso di glucosio nel sangue.

Per formulare la diagnosi, i medici seguono le indicazioni dell’”Organizzazione Mondiale della Sanità”, riprese negli “Standard per la cura del diabete mellito”, edite a cura delle organizzazioni sindacali dei medici diabetologi.

Si ritiene ammalato di diabete una persona, che abbia almeno 126 mg/dl di glicemia a digiuno e 200 mg/dl due ore dopo il carico con glucosio orale, oppure almeno 200 mg/dl in qualsiasi momento con i sintomi tipici della malattia.

Il pancreas segue le variazioni della glicemia e, se la glicemia si mantiene entro un certo intervallo, non interviene.

Questo intervallo è stato definito come “punto d’equilibrio glicemico”.

Il punto di equilibrio glicemico non rimane costante nel tempo e si può ritenere che nella fase di pre-diabete esso aumenti gradatamente.

Monitorando nel corso degli anni i valori, che ha il punto d’equilibrio glicemico, si può prevedere se una persona in futuro diventerà diabetica e, se l’indagine è condotta sistematicamente, si potrà predire anche il numero di anni, che passeranno prima della diagnosi di diabete conclamato.

La glicemia è un indicatore della malattia e non la causa.

Se si esamina il comportamento del diabetico nei riguardi della glicemia, cioè del glucosio presente nel sangue, si nota che mentre le persone sane nella glicolisi dal piruvato formano l’acetil-coernzimaA, le persone diabetiche formano in parte l’acetil-coenzimaA e in parte il lattato, che è acido lattico, che ha perso un protone, cioè uno ione H+.

Il diabetico è un grande produttore di acido lattico.

L’acido lattico va al fegato ed è trasformato in glucosio con la gluconeogenesi e sottoposto a glicolisi con formazione di altro lattato.

Il diabetico è interessato al ciclo del lattato, con dispendio di energia.

Sembra che la formazione di acido lattico sia dovuta a un’insufficiente ossigenazione delle cellule, per cui è salutare che il paziente diabetico viva la sua vita quanto più è possibile in luoghi ben ossigenati, circondati dal verde e da aria buona.

Nel momento in cui il diabete è diagnosticato, sono passati circa sette anni dall’instaurarsi della malattia, con i danni prodotti, che si potrebbero evitare con una diagnosi precoce, per es. monitorando l’andamento del punto d’equilibrio glicemico.

Il punto d’equilibrio glicemico aumenta lentamente nel corso degli anni.

Nel tempo aumenta l’intervallo dei valori della glicemia per cui il pancreas non interviene a secernere insulina.

È come se l’organismo si abituasse ad avere valori di glicemia sempre maggiori e non reagisse alle leggere iperglicemie, ritenendole nella norma.

Se il punto d’equilibrio glicemico è, per es., 120 mg/dl, il sistema di regolazione della glicemia ritiene che 120 mg/dl sia un valore normale e il pancreas non secerne insulina.

È nell’aumento del punto d’equilibrio glicemico il formarsi della malattia diabetica e occorre monitorarlo per una diagnosi il più possibile precoce.

Poiché sembra che la malattia si trasmetta con i geni femminili, è molto importante sottoporre a screening dapprima i figli di madri diabetiche, che sembra siano esposti ad alto rischio diabetico.

Certamente la diagnosi precoce aiuterebbe moltissimo nella prevenzione delle complicanze del diabete.

Diagnosticato il diabete, c’è una trafila di terapie: dieta, pillole ipoglicemizzanti e insulina.

Ogni soggetto diabetico è destinato a fare questa trafila, che desta non poche perplessità.

Se tutti i santi devono finire in gloria, cioè se la terapia diabetica deve finire in insulina, non si capisce perché si debba dare modo alla malattia di peggiorare perdendo tempo e non passare subito alla terapia insulinica, pur conservando i benefici di una dieta appropriata e quelli derivanti dalle pillole ipoglicemizzanti, che mantengono sveglio il pancreas.

Il dosaggio dell’insulina è fatto in modo ottimale con l’uso del computer.

Il dato da tenere in considerazione è l’energia consumata giornalmente dall’organismo del paziente diabetico.

A fronte di questa energia occorre prevedere di assumere con i pasti l’energia equivalente.

Se si mangia di più, la glicemia è più elevata e s’ingrassa, se si mangia di meno si dimagrisce.

Occorre controllare il peso del paziente diabetico e regolare la dieta in modo da mantenere il peso nei limiti accettabili.

Il peso in kg diviso per l’altezza in metri al quadrato = IMC (indice di massa corporea) o BMI (Body Mass Index) non dovrebbe essere superiore a venticinque.

Siccome il paziente, che ha un’alimentazione eccessiva, è soggetto a iperglicemia, qualche medico può essere indotto ad aumentare la dose dell’insulina con danno evidente per il paziente.

Invece di aumentare la dose dell’insulina bisogna diminuire le quantità di cibo oggetto dei pasti, altrimenti il diabetico ingrassa anche notevolmente.

Si ritiene che la glicemia debba essere limitata a 91-100 mg/dl sul sangue capillare, corrispondente a circa 111-120 mg/dl sul sangue venoso.

Se la media dei valori della glicemia si mantiene tra 91 e 100 mg/dl sul sangue capillare, l’emoglobina glicosilata virtuale, determinata mediante software, si mantiene compresa tra 5.5% e 5.8%, (valori confermati dalle analisi di laboratorio).

Normalmente il diabetico sottoposto alla trafila delle tre terapie (dieta, pillole e insulina) ha un’emoglobina glicosilata superiore al 7.5% e in molti casi anche maggiore dell’8%.

Se si controlla la dieta e si assumono le pillole ipoglicemizzanti e s’inietta l’insulina, non è difficile mantenere l’emoglobina glicosilata a valori minori del 6%.

Nel dosaggio dell’insulina occorre tener conto che l’insulina da iniettare non è tutta quella occorrente all’organismo, perché il pancreas continua a secernere insulina.

Occorre iniettare la differenza tra l’insulina occorrente all’organismo e quella secreta dal pancreas.

In stato di iperglicemia il pancreas aumenta la secrezione d’insulina e potrebbe essere pericoloso aumentare anche la dose dell’insulina iniettata.

Molto spesso a fasi di iperglicemia seguono forti ipoglicemie dovute a eccesso d’insulina.

Con il dosaggio computerizzato non si corrono questi rischi.

In caso di ipoglicemia il paziente si dà da fare e ingoia zuccheri, biscotti, ecc..

In questi casi non bisogna iniettare insulina, ma occorre attendere almeno un’ora per dar modo ai dolci di trasformarsi in glucosio, poi ripetere il controllo glicemico e dosare l’insulina in base al nuovo valore della glicemia.

Non fare l’iniezione d’insulina equivale a innescare lo stato d’iperglicemia a seguito dell’ipoglicemia.

Il corpo entra in stato d’instabilità e diventa difficile controllare la glicemia.

È molto importante controllare l’alimentazione, la dieta.

Il primo controllo della glicemia comincia con la dieta, con quello che si mangia e quanto se ne mangia.

Non si ritiene necessario che il pasto sia soggetto a forti limitazioni nelle quantità e nelle qualità dei cibi.

Occorre limitare i grassi, che il diabetico ha difficoltà a digerire, perché non ha molto acetil-coenzimaA necessario nel ciclo di Krebs per metabolizzare i grassi.

Terminare il pasto con un piccolo o piccolissimo dolcino può essere una buona consuetudine, purché non si esageri nella misura.

Il pasto deve essere equilibrato e contenere tutte le sostanze necessarie all’organismo a parte una certa limitazione dei grassi.

Per favorire l’ossigenazione delle cellule è importante assumere sostanze come il tè verde, l’acido ascorbico (vitaminaC) e altre sostanze riconosciute come efficaci antiossidanti.

Gli omega3 lasciano perplessi poiché potrebbe essere variato il rapporto omega6/omega3 con risultati sorprendentemente negativi.

È molto importante che il paziente abbia un buon colloquio con il proprio medico curante e sia in grado di capire ciò che il medico gli dice.

Per molti pazienti diabetici può essere necessaria anche l’assistenza di una persona di famiglia, che sorvegli i dosaggi dei medicinali e le quantità dei pasti, con particolare riferimento al dosaggio dell’insulina e ai peccatucci di gola.

Ci vogliono tre culture: quella del medico, quella del paziente e quella dell’assistente.

Se si riesce a coordinare al meglio le tre culture, ci sono buone speranze che il diabete possa essere messo sotto controllo in modo efficace.

Le tre terapie rappresentano i criteri di cura classici, che per essere efficaci devono essere sempre tenuti sotto controllo e applicati con la necessaria intelligenza.

Individuato nel ciclo del lattato il punto debole del paziente diabetico, la ricerca dovrebbe essere mirata a individuare il modo d’intervenire per correggere il difetto.

Secondo le cattive abitudini di qualche società farmaceutica si andrebbe a limitare se non a inibire la gluconeogenesi, con risultati a dir poco disastrosi e quindi inapplicabili.

Si potrebbe influire sull’acido lattico, cercando di intercettarlo nel sangue prima che raggiunga il fegato ed è quello che fanno gli antiossidanti.

Sarebbe necessario un potenziamento dell’efficacia degli antiossidanti per ridurre la quantità di acido lattico circolante nel sangue.

In questo caso diminuirebbe la quantità di glucosio disponibile e occorrerebbe aumentare le quantità dell’alimentazione, per sopperire con glucosio di prima produzione quello derivante dalla gluconeogenesi.

La ricerca sarà lunga e difficile, ma si spera che il futuro ci riservi piacevoli sorprese.

Comments are closed.