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Diabete. Medico e paziente.

Il diabete è una malattia cronica dalla quale non è possibile guarire.
Le statistiche dicono che la malattia diabetica nel mondo è in costante aumento, il che dimostra che le terapie tuttora in atto sono insufficienti per controllare il diabete.
Nella ricerca delle motivazioni per cui non si riesce a combattere adeguatamente la patologia, vista l’ottima cultura dei medici, si è fatta strada l’idea che il diabete sia inarrestabile per insufficiente collaborazione da parte del paziente.
Il paziente ha piena fiducia nell’operato del medico e questo è un fatto fondamentale, ma non aggiunge nulla di suo per collaborare con il medico per capire a pieno quello che il medico gli dice e per combattere adeguatamente la malattia.
Il paziente vive a rimorchio del medico.
Il medico fissa le dosi delle medicine, che devono essere assunte, e il paziente segue fedelmente quanto stabilito dal medico, il che è positivo ma non sufficiente per la buona riuscita della terapia.
Per esempio, il medico dice di prendere 50 grammi di pane a ogni pasto.
Il paziente prende 50 grammi di pane a ogni pasto.
Il paziente non distingue tra i vari tipi di pane e non sceglie quello che gli provoca un minore aumento della glicemia, cioè quello che ha un minore “indice glicemico”.
Questo è un errore.
Il paziente deve scoprire se nel pane, che egli consuma, è stato aggiunto dello zucchero per migliorare la lievitazione.
Il paziente deve scoprire se oltre la farina, il sale, il lievito e l’acqua sia stato aggiunto qualche altro componente, come per es., margarina, acidi grassi idrogenati, coloranti, aromi, cioè uno o più degli elementi che possono causare guai nel metabolismo.
Il paziente attento sceglie il pane fatto con farina, possibilmente di grano duro, acqua, sale e lievito e solo lievito.
Da questo breve esempio si nota la necessità e l’importanza per la terapia che il paziente collabori con il medico e renda più efficace la terapia.
Il paziente che va a rimorchio del medico, assume le medicine prescritte e non ragiona se per caso la sua glicemia ha degli alti e dei bassi, il che denota un’instabilità molto dannosa.
In particolare se la glicemia diminuisce in modo abbastanza rapido, pare che si possano avere danni alla vista.
Il medico di famiglia una volta diagnosticato il diabete, avvia la terapia iniziando a prescrivere una dieta, per la quale fornisce del materiale cartaceo, e prescrive delle analisi periodiche da fare.
Quando la malattia si consolida, si capisce che il pancreas da solo non è in grado di fronteggiare il diabete e il medico prescrive le pillole ipoglicemizzanti.
Il dosaggio delle pillole varia poco.
In genere si tratta di assumere tre pillole al giorno di una medicina composta da fenformina con aggiunta di sulfaniluree.
Il paziente segue fedelmente la cura indicata dal medico.
Quando la situazione peggiora, si passa all’insulina, il cui dosaggio è più fine e si possono dosare le quantità e i tipi d’insulina a disposizione.
Il medico prescrive e il paziente fedelmente attua la cura prescritta dal medico.
Questo è l’iter normale, per cui il paziente si avvia alle complicanze tardive e a tutte le brutte conseguenze cui è esposto dal fatto di essere affetto da diabete da molti anni.
Il medico di famiglia ha fatto onestamente il proprio lavoro secondo gli standard di cura del diabete mellito.
Questa è la prassi, ma è anche l’iter per cui la malattia si diffonde sempre più.
Nei convegni sono esaminate le varie fasi della malattia e sono dati da parte degli specialisti i consigli terapeutici.
Le figure sia del medico sia del paziente sono state esaminate dagli psicologi.
Il medico ha due tipologie di patologie da affrontare.
Il primo tipo è quello della patologia acuta, che in genere dura qualche giorno, per es., una tonsillite, un’influenza.
Il medico prescrive le medicine adatte e idonee a fare guarire il paziente entro pochi giorni.
La guarigione del paziente ha un effetto di gratifica per il lavoro del medico, che prova una certa piccola soddisfazione.
Quando il medico si trova di fronte a una malattia cronica come il diabete, sa già in partenza che il paziente non potrà guarire ed egli non potrà avere una qualche gratifica, se non nel fatto del ritardare al massimo le complicanze tardive.
La cura della malattia prevede anche l’intervento di specialisti come il diabetologo, l’oculista, il cardiologo, il dietologo, il neurologo, il nefrologo, lo psicologo, lo psichiatra e altri se necessario.
Hanno provato a fare delle riunioni di gruppo per discutere singoli casi di pazienti affetti da complicanze, ma gli esami polidisciplinari sono rimasti sulla carta anche per motivi economici.
In genere il paziente è affidato a un’infermiera, che gli insegna come praticare l’autocontrollo della glicemia.
Il medico deve stare attento al grado di maturazione del paziente e intervenire con intelligenza cercando di essere elemento di stimolo per accrescere la cultura del paziente.
Una fase particolarmente importante è quando il paziente ha appreso i primi elementi e ritiene di avere capito tutto.
Il medico attento aspetta questo stato mentale del paziente per approfittarne e per intavolare un discorso e poter sfruttare al meglio la disponibilità del paziente per migliorarne la cultura.
Il male è che il paziente ritiene di non dovere fare sforzi mentali e, poiché il suo medico è molto bravo, lasciare al medico il compito di portare avanti la terapia, “senza intromettersi”.
Si ritiene che il 99.9% dei pazienti si comporti in questo modo, un poco per pigrizia, un poco per la piena fiducia che lo lega alla professionalità del medico.
Occorre osservare che questo comportamento generalizzato è negativo, per il fatto di ritenere che le prescrizioni del medico bastino e non sia necessaria alcuna collaborazione da parte del paziente.
Il paziente deve capire bene quello che il medico gli dice.
È stato accertato in campo internazionale che il medico cerca di correggere gli errori del paziente e ripete quattro, cinque o più volte dopo di che si stanca e non ripete più quei discorsi, che il paziente non comprende.
È importante che vicino al paziente ci sia un’altra persona, che lo segua e gli dia buoni consigli.
Quando vicino al paziente c’è una persona, che gli dà cattivi consigli, il diabete non può che peggiorare.
In particolare frequente è il somministrare un piattone di pasta asciutta, perché il paziente fa il camionista o altro lavoro pesante.
“Prendiamo l’aperitivo, tanto zucchero ce n’è poco”.
“Oggi è festa, anche se mangi un poco di più che cosa può succedere.”
“Non vorrai digiunare proprio adesso! Per ora mangiamo, se mai farai qualche unità in più d’insulina.”.
E via di questo passo.
Il paziente ritiene che il fatto che il medico abbia prescritto, per es., tre pillole ipoglicemizzanti al giorno sia una terapia sufficiente a controllare la glicemia e non sia necessaria una maggiore e fondamentale collaborazione da parte sua.
La glicemia si controlla con una dieta equilibrata in aggiunta alle eventuali pillole ipoglicemizzanti o all’insulina prescritta dal medico.
Quando manca la collaborazione da parte del paziente, la glicemia va fuori controllo e la malattia non è più controllabile.
Quando c’è un buon controllo della glicemia, si ha una discesa del valore dell’emoglobina glicolizzata, la quale scende fino a valori come quelli delle persone sane, a valori “normali”.
Si è osservato che con valori normali dell’emoglobina glicolizzata si assiste a una diminuzione del fabbisogno d’insulina di circa il 10-20%.
È come se il pancreas, in presenza di valori bassi di emoglobina glicolizzata, funzioni meglio.
Questo non significa che il diabete sia debellato e bisogna stare continuamente attenti a non trascurare la dieta e prendere le medicine prescritte dal medico.
La terapia del diabete non consiste soltanto nel prendere le medicine prescritte dal medico, ma è fondamentale fare una dieta adeguata e soprattutto non fare i furbi con questa o quella scusa, perché le furbizie si pagano e il conto può essere molto salato.

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