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Diabete. Parte seconda.

Il diabete.

Il diabete è una patologia molto diffusa nel mondo.

Il numero delle persone affette dal diabete è in continuo aumento.

Ciò significa che le terapie per curarlo non sono molto efficaci.

I ricercatori sono costantemente impegnati nella ricerca di soluzioni per risolvere i problemi, che comporta il diabete.

 

La cultura del paziente.

È importante che il paziente sia parte attiva e dia il proprio contributo per la migliore riuscita della cura.

La cultura del paziente è fondamentale, ma deve essere ben indirizzata onde non ostacolare il lavoro dei medici e quello degli operatori sanitari.

Il momento critico è quando il paziente comincia a capire i primi rudimenti della malattia diabetica  e si sente ormai un grande esperto.

Il medico deve approfittare dello stato di buona volontà del paziente per ben indirizzarlo e trarne la migliore collaborazione per il buon andamento della cura.

È fondamentale il colloquio tra medico e paziente.

Il paziente deve capire quello che gli dice il medico per il buon andamento della terapia.

Se il paziente non capisce bene quello che gli dice il medico deve avere la pazienza di farselo spiegare meglio.

Naturalmente la cultura del paziente non deve essere un piccolo sunto dei criteri clinici di medicina riguardanti il diabete, ma deve essere concentrata sull’aiuto, che il paziente informato può dare per la buona riuscita della terapia.

Può accadere che l’istruzione del paziente sia lasciata all’infermiera professionale, che istruisce il paziente su come si deve fare l’autocontrollo della glicemia e come si devono fare le iniezioni d’insulina, etc..

Il paziente deve capire quali sono i sintomi, per es., dell’ipoglicemia e che cosa fare in tal caso.

L’istruzione deve comprendere tutto quello che può servire al paziente per renderlo partecipe dei sintomi importanti delle situazioni anomale, per le quali occorre intervenire e come poter intervenire, per es. telefonando al medico, al servizio ospedaliero, che cura i diabetici.

Al paziente può non interessare conoscere la formula chimica del glucosio o altri argomenti propri della cultura del medico.

Se il paziente s’interessa di argomenti propri della cultura del medico e prende iniziative perché ritiene di avere la piena padronanza dei concetti di medicina inerenti il diabete, la situazione potrebbe diventare pericolosa per la sua salute.

Il paziente non deve mai sostituirsi al medico.

 

La compensazione glicemica.

Attualmente la cura del diabete si basa sulla compensazione glicemica.

Il glucosio, derivato dai carboidrati contenuti nel cibo, si accumula in modo eccessivo nel sangue.

La glicemia è più alta di quella riscontrabile nel sangue delle persone sane.

La terapia, attualmente in atto, è basata sul tentativo di fare diminuire la quantità eccessiva del glucosio presente nel sangue.

Si vuole che la glicemia a digiuno sia compresa tra 70 e 110 mg/dl, com’è quella presente nel sangue delle persone sane.

La cura attualmente in uso prevede:

  • All’inizio è prevista la dieta, in particolare se il paziente ha un indice di massa corporea superiore 25, che lo classifica come in sovrappeso oppure obeso;
  • In secondo luogo l’uso di pillole ipoglicemizzanti per abbassare la glicemia;
  • Nei casi più gravi è previsto l’uso delle iniezioni d’insulina.

Con le procedure previste si ha che l’evolversi della malattia porta a passare dalla dieta alle pillole ipoglicemizzanti e poi all’insulina.

L’insulina è l’ormone, che è necessario per far sì che il glucosio dal sangue passi all’interno delle cellule portando nutrimento e ossigeno.

Se l’ormone insulina disponibile nel sangue non è sufficiente per fare transitare nelle cellule tutto il glucosio presente nel sangue, questo si accumula e risulta in eccesso.

La compensazione glicemica comporta che il glucosio in eccesso debba essere eliminato dal sangue.

Ciò significa che le cellule rimangono non suffientemente alimentate perché non c’è sufficiente insulina per fare passare il glucosio nelle cellule.

Tra i muscoli da nutrire c’è anche il miocardio, che se tenuto per lungo tempo in difetto di nutrimento e di ossigeno, non dobbiamo meravigliarci che alla fine ci siano delle brutte sorprese.

Il passaggio dalla dieta alle pillole ipoglicemizzanti e poi all’insulina sembra un lento lungo percorso durante il quale la malattia fa il suo corso.

Il percorso si conclude con le complicanze tardive.

La dieta è volta a diminuire la quantità del cibo onde rendere sufficiente la scarsa insulina che il pancreas produce.

Le pillole ipoglicemizzanti servono a togliere dal sangue l’eccesso di glucosio.

L’insulina nella giusta dose integra quella prodotta dal pancreas per consentire al glucosio di oltrepassare le membrane cellulari e nutrire i muscoli.

La sola cura utile potrebbe essere quella che prevede fin dall’inizio della diagnosi le sulfaniluree per aiutare il pancreas ad aumenatre la quantità d’insulina prodotta e poi, se necessario, le iniezioni sottocutanee d’insulina nelle dosi prescritte dal medico, che all’inizio saranno ridotte o ridottissime e, via via che la malattia lo richiede, saranno adeguate secondo le esigenze della cura.

 

La compensazione energetica.

Oltre al controllo della glicemia occorre prestare la massima attenzione al controllo del contenuto energetico dei pasti, alle Kilocalorie, che si assumono con i pasti.

La dieta si basa sull’ipotesi che l’insulina prodotta dal pancreas debba bastare per l’alimentazione, senza tenere in debito conto che il cibo ingerito potrebbe non essere suffciente ad assicurare l’energia necessaria per vivere.

Finché la cura del diabete è affidata alla sola dieta sicuramente si commette un errore.

Il guidatore di camion per fare il proprio lavoro ha bisogno di circa 3200 Kcal al giorno.

Quando si scopre che è affetto da diabete il medico poco attento gli assegna una dieta di circa 1000 Kcal al giorno, in considerazione del fatto che il camionista ha un poco di pancetta, che deve essere smaltita.

Il guidatore di camion non può più fare il proprio lavoro, perché non ha la forza di manovrare il volante.

La compensazione energetica deve innanzitutto assicurare che il paziente possa svolgere il proprio abituale lavoro.

Bisogna fare in modo che il paziente diabetico possa svolgere la vita, che svolgeva prima di essere un paziente diabetico.

Al paziente deve essere fornito il nutrimento necessario per poter disporre di tutta l’energia di cui ha bisogno per vivere.

Nel caso specifico al paziente occorre dare una dieta, che gli assicuri le 3200 Kcal, di cui ha bisogno per svolgere il proprio lavoro.

Occorre che queste Kcalorie siano trasferite ai muscoli, per cui occorre assicurare che il glucosio corrispondente al cibo ingerito con il pasto possa arrivare a nutrire i muscoli e questo lo deve assicurare la terapia diabetica.

Stabilire che la terapia debba iniziare con la dieta molte volte si rivela un errore.

 

All’organismo occorre fornire con i pasti l’energia innanzitutto per il metabolismo basale, per mantenere in vita il proprio corpo, per es. il cuore che batte consuma energia, occorre fornire inoltre anche l’energia, che è dissipata con le perdite di energia, per es. con il calore, che il corpo disperde nell’ambiente esterno, occorre fornire l’energia per svolgere il proprio lavoro, l’energia impiegata nel tempo libero, per lo sport.

Il fatto che il paziente sia diabetico non significa che deve essere ridotto a  vivere con mille Kcalorie o poco più al giorno.

Limitare con la dieta l’energia di cui ha bisogno il corpo del paziente diabetico significa avviare il dimagrimento dell’organismo e porre seri limiti alla disponibilità di energia.

In difetto di energia l’indice di massa corporea scende gradatamente, per cui si passa dal sovrappeso al normopeso e poi al dimagrimento incontrollato con danno evidente per il paziente diabetico.

Il dimagrimento che affligge il paziente diabetico è dovuto alla falsa convinzione che il paziente deve farsi bastare l’insulina prodotta dal proprio pancreas cercando di non ricorrere all’apporto d’insulina dall’esterno.

Quando il dimagrimento è molto evidente il medico attento è costretto a prescrivere le iniezioni d’insulina.

Il medico poco o pochissimo attento si ostina a non prescrivere le iniezioni d’insulina recando un danno evidente al paziente diabetico.

In effetti le iniezioni d’insulina sarebbero da prescrivere fin dall’inizio della terapia, senza perdere tempo con la dieta e le pillole ipoglicemizzanti.

Il medico deve dosare oculatamente il dosaggio dell’insulina e deve scegliere il tipo d’insulina da iniettare al paziente diabetico.

Occorre un controllo attento quando si prescrivono le pillole ipoglicemizzanti.

Occorre studiare bene gli effetti indesiderati cercare di evitare quei prodotti che possono dannegiare la salute dei pazienti.

Quando si legge nei bugiardini che ci sono pillole che possono creare sbandamenti, morte improvvisa, tumori maligni, come per es. alla vescica, inibizione della gluconeogenesi, abbassamneti della soglia di sfioramento del glucosio nelle urine, una glicosuria a basso valore di glicemia, e tanti altri guai, per cui è necessario che i medici stiano molto attenti quando prescrivono certe pillole ipoglicemizzanti.

Fare uso delle pillole ipoglicemizzanti può essere molto rischioso e i medici devono prestare la massima attenzione nelle prescrizioni.

Quando nel sangue la glicemia è insufficiente si è in ipoglicemia.

In tal caso il cervello cerca il glucosio nel sangue, ma non trova abbastanza glucosio.

Il cervello si rivolge al fegato, cercando di ottenere glucosio con la gluconeogenesi, ma il fegato è impossibilitato a fornire il glucosio richiesto per effetto della pillola ipoglicemizzante universalmente raccomandata, che gli inibisce la gluconeogenesi.

Questo è un esempio di come l’organismo possa trovarsi in seria difficoltà perché al cervello non resta altro da fare che sospendere l’attività e il paziente sviene per mancanza di glucosio per il nutrimento del cervello.

Occorre portare il paziente al pronto soccorso il più presto possibile per la somministrazione di glucosio, di glucagone o dei medicinali necessari per l’emergenza in atto.

E se il paziente è, per es., solo in casa e sviene, come la mettiamo?

Non bisogna scherzare con la glicermia, con il diabete perché le conseguenze potrebbero essere molto brutte, veramente molto brutte.

Giustamente gli standard per la cura del diabete mellito mettono in guardia contro la possibilità di trovarsi in ipoglicemia, perché questa è una condizione di rischio per il paziente, specie se il paziente è solo in casa e non c’è una persona che possa intervenire per dare l’allarme e avviare i soccorsi.

Il paziente diabetico non dovrebbe mai trovarsi da solo, in particolare quando possa trovarsi in condizioni di ipoglicemia.

Molte delle pillole ipoglicemizzanti se usate male possono diventare molto rischiose per i pazienti e i medici devono prestare la massima attemìnzione quando le prescrivono.

L’unica via sicura per la cura del diabete mellito rimane l’insulina da iniettare sotto cute e nella dose prescritta dal medico, senza rischiare e senza modificare le dosi arbitrariamente, perché l’eccesso d’insulina significa che il paziente va in ipoglicemia con tutti i gluai possibili e immaginabili.

Occorre evitare le condizioni di ipoglicemia perché ci potrebbero essere dei rischi, che potrebbero cogliere impreparato il paziente diabetico.

 

La compensazione energetica è fondamentale che sia associata alla compensazione glicemica.

Con la compensazione glicemica si tiene sotto controllo la glicemia mentre con la conpensazione energetica si tiene  d’occhio l’esigenza di energia di cui il paziente ha bisogno per vivere serenamente.

L’associazione tra compensazione glicemica e compensazione energetica può rappresentare la seconda fase della terapia diabetica.

 

La terza fase.

La terza fase al momento è ricerca pura.

Tutti i ricercatori sono al lavoro per cercare di trovare l’ottimizzazione della terapia diabetica con grandi sacrifici molte volte personali.

Quanti bravissimi ricercatori si trovano da soli ad affrontare i sacrifici imposti dall’attività di ricerca.

Quante notti passate a lavorare su qualche ipotesi, che poi si è rivelata quasi sempre inutile.

La ricerca molto spesso è sacrificio, è fatica, molte volte è anche difficoltà insuperabile, quando la soluzione sembra essere a portata di mano ma è difficile, molto difficile da raggiungere.

 

 

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