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Calcio. Espulsioni.

Le espulsioni avvengono quando meno uno se le aspetta, il che vuol dire che non sono preventivate.
Sembra però che ci siano delle motivazioni più profonde, non individuabili facilmente a prima vista.
Alcuni calciatori si comportano lealmente in campo e pensano a giocare al meglio la loro partita.
Altri giocatori si credono molto più furbi degli altri e si comportano in modo reprensibile.
Sicuramente il fatto che alcuni giocatori picchiano non è un fatto casuale, ma è previsto nella tattica di gioco, perché alla fine il bilancio diventa positivo.
La responsabilità prima può essere degli allenatori, che educano la squadra e sono ritenuti responsabili del comportamento della squadra sul campo di gioco.
Oltre alla solita tattica dei falli a inizio partita per saggiare la sensibilità dell’arbitro e massaggiare un pochino le gambe degli avversari, si è instaurata una psicosi quasi di diritto all’immunità.
La cosa che non deve meravigliare è che sono proprio le migliori squadre, quelle che hanno i migliori giocatori, che commettono questo genere di sbagli.
Una squadra che ha giocatori fortissimi e che fa un gioco molto buono, direi eccellente, non si deve permettere di rovinare tutto facendo degli errori, che possono costare molto caro.
Una squadra forte è quella che vince per la potenza del proprio gioco e non quella che vince indebolendo gli avversari con una serie infinita di calcioni.
Così facendo si rischia di rovinare tutto il lavoro di preparazione svolto.
Ci sono degli allenatori che ritengono che sia più facile vincere la partita se si massaggiano per bene le gambe degli avversari, specie quelli maggiormente dotati di classe.
La tattica della partita diventa così inaccettabile dal punto di vista sportivo e la classe arbitrale dovrebbe prendere provvedimenti per stroncare i tentativi messi in atto sempre dagli stessi giocatori.
Quando l’arbitro prepara una partita, si studia i giocatori e di ciascuno cerca di studiare i comportamenti meno regolamentari, per cui quando un giocatore si comporta male, l’arbitro non è colto di sorpresa.
Basta vedere più partite giocate dalla stessa squadra e si nota subito quali sono i giocatori che picchiano e quali sono quelli correttissimi, che cercano di giocare al meglio e lealmente la propria partita.
È evidente che il gioco rende, le squadre avversarie sono indebolite per gli acciacchi, che i picchiatori procurano ai loro giocatori e la pratica del picchiare generalmente sulle gambe degli avversari è ritenuta la migliore tattica del momento.
Le motivazioni di questi comportamenti possono essere trovati nella furbizia degli allenatori che invitano i loro giocatori meno dotati di tecnica a picchiare i loro avversari diretti, se non il primo avversario, che capita loro sotto tiro.
Quelli che possono sembrare incidenti casuali sono invece infortuni procurati apposta da professionisti nel colpire più le gambe degli avversari che il pallone.
Oramai l’andazzo è così incartapecorito nell’uso di alcune squadre che gli arbitri non ci fanno più caso e consentono ai picchiatori, evidentemente raccomandati, di fare il loro lavoro per fare vincere la propria squadra.
Può essere che qualche giocatore o lo stesso allenatore di fronte all’incertezza del risultato decida di mettere in atto tattiche diverse, che niente hanno a che fare con il gioco corretto, ma riguardano esclusivamente un comportamento antisportivo, che dovrebbe essere sanzionato e sanzionato di brutto.
Può essere che in qualcuno prevalga il timore di soccombere, per cui ritiene che se gli avversari vanno incontro a degli acciacchi è molto meglio ed è più facile vincere.
Al pubblico interessa solo la vittoria, a qualsiasi costo.
Pur di vincere alcuni giocatori ricorrono a mezzucci, che non fanno loro onore.
Mi rifiuto di credere che ai dirigenti interessi solo la vittoria, senza badare al gioco o ai mezzi con cui tale vittoria è conseguita.
Se si vogliono cercare delle motivazioni più profonde, occorre guardare il rovescio della medaglia.
Non ritengo che esista la cosiddetta “sudditanza psicologica”, ma se esistesse, potrebbe essere la causa di comportamenti controproducenti.
Quei giocatori che amano fare del male all’avversario diretto, per emergere, per fiaccarne la tenuta o per qualsiasi altro motivo non si fanno i conti molto bene.
Certamente la maggior parte dei loro tifosi, che li vede picchiare sorride e pensa che sia meglio darle che riceverle, ma questo non è il gioco del calcio ma il gioco dei calcioni.
Il fatto che l’arbitro nella fase iniziale della partita abbia tralasciato di fischiare qualche fallo può avere indotto qualcuno a pensare che dare calcioni sia ammissibile, perché tanto l’arbitro farà finta di niente.
Non si capisce il motivo per cui l’arbitro debba fare finta di niente.
Sia gli allenatori sia i giocatori sono fermamente convinti che l’arbitro debba lasciare correre e se l’arbitro fischia qualche fallo, anche abbastanza grave, sia l’allenatore sia i giocatori si ribellano in modo plateale e si comportano in maniera molto irriguardosa.
È probabile che nella fase iniziale l’arbitro non voglia mettere subito mano ai cartellini per mantenere il livello disciplinare lontano dal nervosismo e perché voglia magari sperare che gli animi si calmino e i brutti falli non abbiano a intensificarsi.
L’arbitro ritiene giustamente che ammonire un giocatore nei primissimi minuti può generare un certo nervosismo, per cui la partita potrebbe anche scappargli di mano ed egli essere costretto a provvedimenti più severi.
Gli allenatori conoscono questa psicologia arbitrale ed è forse per questo che invitano i loro giocatori con la qualifica di picchiatori a dare qualche calcio bene assestato sulle caviglie, le gambe o le ginocchia degli avversari.
Forse l’arbitro non tiene conto della furbizia di alcuni giocatori, quelli almeno che si credono furbi e che in realtà sono così imprudenti da causare un danneggiamento della propria squadra.
Il livello psicologico in cui si svolge la partita non è accettabile.
A farne le spese è innanzi tutto il gioco e la partita diventa scialba e inguardabile a meno che uno non si debba eccitare a verde picchiare i giocatori della squadra avversaria.
L’arbitro in genere è un “signor arbitro”, a volte anche “internazionale”.
L’arbitro non può far credere che egli i falli non li veda e diventa inspiegabile il fatto che evita d’intervenire.
C’era un famoso arbitro che quando vedeva un fallo, che non “voleva” vedere, girava la testa di scatto da un’altra parte e quando i giocatori si lamentavano, allargava le braccia e scuoteva la testa come per dire “io non ho visto niente”.
Quell’arbitro ha fatto una grossa carriera ed è stimato da quelle squadre, che lo reputano una persona per bene.
Fatto sta che il livello dei falli cresce e si assiste a tutti quegli espedienti volti a far male agli avversari, da una parte e dall’altra.
Quando l’arbitro tralascia di punire qualche fallo evidente innesca tutta una serie di falli, che vedono come protagonisti i picchiatori, anche se militano in squadre molto importanti.
Immancabilmente l’arbitro deve mettere mano ai cartellini se i falli sono così evidenti che egli non possa dire di non avere visto il fallo, ma questo non invita i picchiatori a desistere.
Accade che l’arbitro alla seconda ammonizione espella il picchiatore di turno e la squadra in cui gioca il picchiatore per questo si trova in inferiorità numerica.
La cosa non sembra essere convincente.
I picchiatori continuano nel loro sport preferito e l’arbitro può anche espellere qualche altro picchiatore.
A questo punto gli animi si calmano e la squadra dei picchiatori si calma.
Con il passare dei minuti sembra che la squadra dei picchiati, cioè di quelli che hanno preso le botte, venga un pochino fuori dalla propria metà campo e accenni a qualche azione tanto timida quanto inconcludente.
La squadra degli ex picchiatori soffre e a cominciare dall’allenatore, tutti imprecano verso l’arbitro come se lo stesso fosse colpevole di non aver loro consentito di continuare a picchiare.
La squadra dei picchiati si fa molto prudente perché sa che l’arbitro, per fare finire le proteste della squadra dei picchiatori, alla prima occasione cercherà di riequilibrare la partita espellendo anche qualche giocatore della squadra dei picchiati.
Questa storia si ripete normalmente e il tutto va a scapito della qualità e della correttezza del gioco.
Non si capisce come una squadra, o meglio uno squadrone, formato da campioni d’indiscusso valore, debba rovinare tutto per una tattica suicida quanto pericolosa per il male, che può arrecare ai giocatori della squadra avversaria.
Se i giocatori si comportano in questo modo la colpa, o forse il merito, è certamente dell’allenatore, che ha insegnato loro la tattica basata sull’azione dei picchiatori.
Siamo sicuri che questa sia una tattica o è solo un espediente inutile, che rischia di rovinare il campionato di una squadra formata da autentici campioni di altissimo livello.
Le partite di calcio non sono giocate con la sportività, la lealtà, che le regole del gioco del calcio vorrebbero imporre.
Ci sono i furbi, che evidentemente hanno una potenza tale da poter tenere sotto controllo la situazione e conseguire i risultati con comportamenti al di fuori del regolamento, ma che sono premianti perché le squadre dei picchiatori occupano posti in classifica più in alto verso le posizioni iniziali della classifica.
I vantaggi sono anche in termini economici perché se una squadra vuole giocare molto pulito e onestamente paga lo scotto e forse non raggiunge quelle qualificazioni alla coppa dei campioni e altre, con danno economico rilevante.
Le squadre danneggiate non possono alla fine avere capitali importanti per acquistare i migliori giocatori e questo potrebbe anche giustificare la tattica del danneggiare le altre squadre per indebolirle.
A questo punto la tattica di scatenare i picchiatori alla fine potrebbe avere un certo rendimento.
Questa potrebbe essere la spiegazione sul perché invece di giocare al calcio, si preferisce giocare ai calcioni.

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