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Il giardino dei Pellerossa

I pellirossa sono stati tanti.

Una volta in America erano numerosi come le cavallette, che vengono in agosto a mangiarsi tutto quello che trovano nelle campagne.

Hanno commesso un grave errore.

Quello di fare trattati con il Grande Padre Bianco.

E sono finiti in malora.

Si sono fidati.

Ed hanno capito che l’uomo bianco è un criminale assassino, di cui non bisogna mai fidarsi.

Le tribù dei pellerossa erano numerose e vivevano nei loro territori a volte in pace, a volte in guerra.

Avevano un Grande Dio, chiamato Manitù, e lo veneravano aiutati dagli stregoni.

Erano popoli onesti, puliti, sereni, buoni.

Quando era il momento cavalcavano a pelo i loro mustang, i loro cavalli, e inseguivano i bisonti, che cacciavano armati delle loro lance.

I giovani diventavano guerrieri dopo avere superato prove molto severe.

Erano un popolo, un solo popolo.

Avevano rispetto per i vecchi.

Ascoltavano il loro parere, quando c’era un problema e si riunivano per risolverlo, seduti in circolo e fumando il calumet della pace.

Avevano vestiti multicolori, ben fatti.

Vestivano quasi sempre di pelli conciate nel loro villaggio e tratte dalle bestie che avevano cacciato.

Le squaw masticavano per giorni e giorni la pelle, per fare più morbido il mocassino del loro uomo.

Erano un popolo felice, prima che arrivasse l’Uomo Bianco e il Grande Padre Bianco.

I loro villaggi erano pieni di tende, con un foro in alto per fare uscire i fumi, quando all’interno c’era un fuoco acceso per riscaldarsi e per cuocere qualche cibo.

I bambini scorazzavano felici per tutto il villaggio, riempiendo delle loro grida di allegria tutta l’atmosfera.

I bambini venivano sempre rispettati e mai puniti dai grandi.

Erano considerati dei bambini, incolpevoli se commettevano qualche marachella.

C’erano pure i cani, che abbaiavano e ricevevano qualche avanzo per saziare le loro fameliche fauci.

I villaggi erano pieni di sole, di felicità e quando il cibo era scarso le donne erano di aiuto agli uomini, nel non far pesare la scarsezza della caccia.

Era un popolo buono e felice.

Poi arrivò la “civiltà”, portata dall’Uomo Bianco.

Ritengo che tutto quello che è stato fatto contro i popoli pellirossa sia quanto di più obbrobrioso e vergognoso che l’uomo abbia mai commesso.

Gli anziani, quando non erano più in grado di essere utili alla comunità, sapevano quello che dovevano fare.

Gli anziani si prendevano una coperta, la loro preferita, la loro pipa, una manciata di tabacco, abbondante per poter fumare a sazietà, e, cominciando ad intonare la loro ultima nenia, si avviavano verso il deserto.

Si portavano a 100 – 200 metri dal villaggio, tali da rimanere sempre in vista e , mai smettendo di cantare la loro canzone di morte, si sedevano là in mezzo alla prateria e si coprivano le spalle con la loro coperta e continuavano a cantare, sempre a cantare e a fumare.

Dal villaggio si ascoltava quella nenia e , quando smetteva, tutti drizzavano le orecchie e trattenevano il fiato.

Poi la nenia ricominciava, sempre più flebile, sempre più flebile.

Erano gli avvoltoi a roteare sopra il punto, in cui si era fermato il vecchio pellerossa, a dare il segnale.

Allora, e solo allora, si muoveva lo stregone, che, aiutato dai suoi collaboratori, si portava nel punto dove il vecchio giaceva e non cantava più.

Non avrebbe cantato più per sempre.

Lo prendevano, lo adagiavano su una lettiga, fatta di due assi longitudinali e vari elementi trasversali, trainata da un cavallo e lo portavano nel luogo sacro, dove solo lo stregone e i sui adepti potevano entrare.

Il vecchio veniva disposto su un assito di assi sorretti da quattro pali, alti circa un paio di metri, e lì veniva lasciato al sole, adornato di erbe profumate raccolte nella prateria.

Il sole avrebbe seccato il suo corpo.

Gli animali non lo avrebbero corrotto.

Il luogo sacro era indicato da qualche teschio di bovide.

Nessuno si sarebbe avvicinato.

Tutti avrebbero rispettato quel luogo sacro, proibito, dalla fede in Manitù.

Il vecchio poteva riposare in pace, rispettato da tutta la tribù.

Il suo sacrificio era inteso a risparmiare il cibo, talvolta molto scarso, da riservare ai bambini e agli altri componenti della tribù.

Il vecchio si sacrificava, compiva un ultimo atroce sacrificio, per conservare il cibo alla tribù, per non pesare eccessivamente sulla tribù.

Era una cosa naturale.

Oggi mi viene da pensare a quel vecchio, che non so come si chiama, ma che rispetto, come penso egli meriti il rispetto da parte di tutte le persone, che si definiscono civili e democratiche.

Oggi i vecchi non vanno più spontaneamente nella prateria, non vengono raccolti i loro resti da parte degli stregoni, non vengono portati nei luoghi sacri, proibiti a tutti tranne che agli stregoni e a Manitù, che li protegge.

Oggi i vecchi muoiono per mancanza di assistenza da parte delle Autorità, che per anni hanno incassato i contributi di assistenza malattia e che al momento di rispettare i loro impegni si tirano indietro.

Un vecchio, ammalato di tumore, e ce ne sono tanti al giorno d’oggi, chiede un esame, una visita, un’operazione e invano stende la mano, perché c’è la lista d’attesa.

Il male progredisce e il vecchio viene operato quando non c’è più niente da fare.

Il vecchio muore e i politici, amministrano i soldini, che hanno ricavano dalla pensione del vecchio, che non viene più pagata.

I politici amministrano le “risorse”.

Questo accade al giorno d’oggi nella nostra società civile, dove i magistrati hanno altro da fare che indagare su fatti criminosi, come quelli perpetrati ai danni della povera gente, bisognosa di cure, e nessuno di essi si permette di intromettersi in questa vera e propria strage di pazienti a rischio della vita.

I pazienti diabetici vengono ostacolati in tutti i modi nella loro cura.

Ad essi viene negato il diritto a farsi le analisi per l’autocontrollo e inevitabilmente sono condotti alle complicanze tardive.

Diventeranno ciechi, avranno amputati mani e piedi, avranno problemi di cuore e, finché Dio non se li viene a raccogliere, vivranno nella sofferenza.

Il Venerdì Santo in tutti i popoli civili dalla Sicilia al Venezuela la salma del Nostro Redentore viene accompagnata in quella rappresentazione, che fa parte delle cerimonie del Venerdì Santo, da una marcia funebre.

La compose nell’800 un certo Petrella, che dopo Verdi era considerato il più grande musicista compositore di opere liriche.

Si tratta di una marcia funebre tratta dall’opera “Ione”.

Il Petrella, diabetico, morì molto povero, abbandonato da tutti.

Io non ritengo giusto che tanta povera gente abbia a soffrire tanto dolore, dopo avere pagato per tutta la loro vita lavorativa tanti bei soldini all’Amministrazione dello Stato per essere poi abbandonati, non curati e costretti a morire tra le più atroci sofferenze.

E i cardiopatici?

Anch’essi sono condannati a morire, forse d’infarto, forse di stenti.

Il fatto è che la povera gente non dispone di mezzi per poter continuare lo stesso le cure loro necessarie.

E la magistratura che fa?

La magistratura fa finta di niente, non indaga sugli scopi delle persone che amministrano la Cosa Pubblica.

La povera gente non può contare sulla Magistratura, può solo morire tra atroci sofferenze, senza nemmeno uno stregone che li venga a raccogliere per portarli in un luogo sacro protetto da Manitù.

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